Fa discutere la vicenda del padre albanese arrestato a Reggio Emilia ed accusato di abusi nel confronto del figlio di 5 anni. Suo malgrado, sembra che questa storia diventerà una specie di banco di prova per testare la maturità dei migranti albanesi in Italia. Ma fa rabbia perché, anche se la questione è molto delicata,il modo in cui è stata trattata finora non lo è affatto.
Il punto è che, bene che vada il processo, non può finire che male. Insomma, delle due una: o si tratta di un’indagine che giungerà ad una condanna e sarà un’altra squallida vicenda di pedofilia, oppure l’indagato risulterà innocente e sarà un caso di malagiustizia dove qualcuno vedrà un attacco alla culturaalbanese e alle sue discusse tradizioni locali. In uno e nell’altro caso, la famiglia dell’indagato già messa sotto i riflettori difficilmente riuscirà a trovare serenità negli anni a venire. Se una qualsiasi accusa penale può sconvolgere una famiglia, una per pedofilia potrà distruggerla. Ma non ha, e non può aver vita facile neanche la comunità albanese ( nello specifico, quella che fa capo all’associazione Iliria di Roma e simpatizzanti, nonché a vari e non meglio definiti abitanti di Dukat ) che ha deciso di fare di questa vicenda una battaglia. Il rischio è a doppio taglio e si basa sul capire se si tratta o meno di un antica consuetudine albanese, tutt’ora in uso in alcuni parti dell’Albania arcaica e patriarcale. Premesso che, in una vicenda di tale portata, l’orientamento culturale potrà essere calcolato solo come attenuante per l’accusato. D’altra parte, è sicuramente un aggravante nell’integrazione albanese. La paura concerne i due atteggiamenti contrastanti che iniziano a profilarsi in orizzonte.Da un lato chi dice che questo comportamento è solo un affetto estremo socialmente accettato in tutta l’Albania rurale, e dall’altra parte che sostiene che questi comportamenti barbari non fanno parte della nostra etnia. La paura, concreta, è che per giustificare e spiegare questo comportamento si portino come consueti e normali atteggiamenti che sarebbero quanto meno strani anche per buona parte degli albanesi. Di non minore rischio l’altro atteggiamento, quello di chi, desideroso di “volere fare bella figura” per rispecchiare una modernità europea che tutto sommato non ci appartiene, sostiene che questi comportamenti siano assolutamente fuori dalla nostra cultura, sacrificando cosi una persona in nome di chi sa cosa. A mio avviso, c’è anche lo spazio per una terza possibilità, ed è quello che devono imboccare tutti quelli che, come la magistratura, si arrancano alla ricerca della verità.È dovere degli onesti riconoscere che esiste anche una zona grigia nel mezzo di queste posizioni dove l’affetto, mischiato con una dosa di maschilismo, può dare vita a comportamenti simili. E questo è un fatto. Riconoscere che esiste una società rurale come quella dalla quale proviene la famiglia in questione, che certi cervelloni chiamano “socialmente arretrata”, è anche questo un altro fatto. Ma facciamo attenzione ai ruoli. È dovere della magistratura seguire il corso del processo penale, e tutto quello che c’è da decidere si deciderà all’interno di un tribunale. Per nostra fortuna, il giudice è indipendente e non c’è ambasciatore o ministro che lo può influenzare. È dovere della comunità albanese portare le sue ragioni ove queste saranno richieste. L’Albania può essere il paese che guarda avanti, senza per ciò rinunciare alla sua anima e alle sue tradizioni. Ma per farlo tutti devono misurare le parole.