Ventun anni dopo la caduta del regime di Enver Hoxha. Ventun anni dopo l’Albania di ieri per raccontare cosa è diventata oggi, come è cambiata e dove va una società che negli ultimi due decenni si è profondamente legata all’Italia e aperta all’Europa. E avere vent’anni per raccontarla. Come i tre protagonisti che la macchina da presa pedina fra traghetti e autobus e che guidano lo spettatore dentro un road movie in cui si scopre, immagine dopo immagine, un Paese in corsa verso lo sviluppo. Tre viaggi solitari inseguendo contrabbandieri, mostrando minatori, ascoltando i vecchi scafisti, raccontando la vita di gente comune, onesta e volitiva, sullo sfondo della prorompente crescita urbana di Tirana e con la povertà dei villaggi polverosi del Nord alle spalle. È stato presentato al Cineporto di Lecce “Madein Albania” di Stefania Casini, docu-film che attraverso incontri, storie e personaggi, vuol dare il senso dello scorrere tumultuoso che sta vivendo l’Albania, dove il passato è ancora profondamente intrecciato con il mondo veloce di internet e dei telefonini, dove la cultura e le tradizioni secolari si mescolano con l’immaginario televisivo condiviso, dove si cerca un equilibrio tra un passato chiuso dentro i propri confini e la propria lingua e la libertà concessa da tv e internet, dove il senso della famiglia, delle tradizioni, dell’amicizia si mescolano alla volontà di costruire un Paese diverso, democratico, senza corruzione. Un continuo oscillare tra stereotipi da ripensare e la scoperta di un paese pieno di contrasti. Novanta minuti per interpretare la storia contemporanea e “capire qualcosa di questo paese”.
Gli incontri fanno leva sulle impressioni, le emozioni, i ricordi, le esperienze personali, per narrare attraverso i volti quella che oggi è l’Albania. Ma servono anche a far scoprire parti inedite del Paese: dalla periferia del Kombinat di Tirana, dove il vecchio complesso tessile è diventato terra di conquista per chi scende dal Nord e aspetta di trovare un lavoro in città, ai villaggi rurali che sopravvivono, struggenti, alla modernità, alle città minerarie abbandonate e alle montagne dove si cerca il cromo tra fatica e ciminiere. Coprodotto da Bizef produzione srl ed Erafilm Production, è stato realizzato in collaborazione con Raicinema e il contributo di Media e Apulia Film Commission il cui direttore, Silvio Maselli, ha evidenziato l’importanza di investimenti su progetti che contribuiscono a indagare le radici culturali e la storia recente: “Da tempo stiamo cercando di calibrare gli sforzi di finanziamento alle opere cinematografiche, portando in Puglia le grandi produzioni, ma anche progetti più piccoli. Madein Albania è l’Ideal tipo, non imponente finanziariamente, ma che andava sostenuto perché è una storia che rappresenta la nostra identità recente. Se possiamo dire che la nostra regione è in grado di produrre di sé una identità che travalica i confini regionali, lo dobbiamo agli anni ‘90 e ‘91, quando abbiamo scoperto di essere terra di approdo. È lì che nasce la Puglia. Abbiamo capito chi eravamo perché ce l’ha fatto capire chi arrivava”. La regista Stefania Casini ha espresso un apprezzamento particolare per il sistema dell’industria dell’audiovisivo nato attorno all’Apulia Film Commission: “Ho trovato una filiera del cinema interessante con un montatore bravissimo, una troupe preparatissima e paziente. La cosa che mi ha entusiasmata, è stato scoprire questa realtà di cui i pugliesi dovrebbero essere fieri”.
Alla presentazione di Lecce anche l’attore salentino Livio Marsico, 24enne. Ecco cosa ha detto nell’intervista realizzata da “Albania News”:Raccontaci il tuo personaggio e i sentimenti che il docu-film vuole trasmettere, la reazione che vuole provocare.
Il mio personaggio si chiama Vito, è un giovane di 20 anni, ha una forte passione… per la sua moto. È un legame indissolubile, la sua ragione di vita. Nella prima parte del docu-film Vito scopre che la sua moto è stata rubata, inizia a cercarla giorno e notte, finchè qualcuno gli dirà: la tua moto è stata portata in Albania. Una volta arrivato lì, la moto sarà solo un escamotage per raccontare il Paese. Vito abbandonerà l’idea della moto e scoprirà un nuova frontiera…
Quanti pregiudizi ci sono da parte dei giovani italiani sull’Albania?
I pregiudizi sono ancora vivi. Quando arrivi lì scopri un Paese piene di contraddizioni, un Paese di emigranti che volevano costruire un futuro. Ma l’Albania non è solo questo. Questo docu-film vuole far aprire gli occhi alla gente e far conoscere una nuova faccia dell’Albania, non dare il cliché di un Paese arretrato e abbandonato a se stesso, ma un Paese che ha voglia di ricominciare, di costruire partendo dalle sue menti: i giovani. Come sono, secondo te, i giovani albanesi? Qual è la cosa che ti ha maggiorente impressionato di questo Paese che aspetta di entrare in Europa?
I ragazzi sono straordinari, stacanovisti, hanno voglia di conoscere, di studiare, di viaggiare, e talvolta in questo sono ostacolati dalle frontiere. Lo sviluppo a cui puntano i giovani albanesi, non è solo economico, ma anche sul piano delle libertà, negative e positive, delle libertà sociali. Si assapora un grande sogno…appunto il “sogno di libertà” che poi è la cosa che mi ha maggiormente impressionato.
Cosa vede un 20enne oggi in Albania?
Come sappiamo l’Albania è un Paese in transizione democratica, vittima del totalitarismo, del fascismo prima, pensiamo al regno di Albania, e dello stalinismo durante la fase del mondo “bipolare”. Ma girando lì, ho respirato una nuova aria.
Cosa ti ha dato questa esperienza?
Da un punto di vista attoriale io venivo inserito all’interno di situazioni reali, vive, fatte di persone e non di personaggi, per cui Stefania Casini, la mia regista mi dava linee guida da seguire, mi diceva quale fosse l’intenzione del mio personaggio ed io dovevo interagire con queste persone (non attori) in qualsiasi modo, improvvisando, pur non conoscendoli e non sapendo la lingua. D un punto vista umano mi ha fatto riflettere su cosa significa veramente l’emancipazione di un Paese in transizione.