Che cos’è la letteratura, se non un tentativo di spiegare il cambiamento? Questo è stato per noi, un modo per parlare di noi stessi, di difendersi e di attaccare. Era, e forse lo è ancora, l’unico modo che avevamo per esistere.Ci attaccano con le parole, e noi con le stesse parole rispondiamo. Allora ci attaccano con leggi speciali, con centri di detenzione, con diffide ed ordini ma non rispondiamo, non possiamo più rispondere. Non abbiamo leggi ed organi, non abbiamo il potere reale. Abbiamo solo le nostre parole.
Si parlava di noi tra una pubblicità e l’altra. STERMINA FAMIGLIA PERCHE’ VOLEVA VIVERE COME NOI. MUCCA RIMANE INTRAPPOLATA IN UN PIANOFORTE. I RAPINATORI AVEVANO UN FORTE ACCENTO DELL’EST. Non sempre era razzismo, oggi lo riesco a capire. Spesso era xenofobia, paura, pubblicità o, ancora peggio, ignoranza.
L’abbiamo capito, l’abbiamo smontato e poi l’abbiamo scritto. Ma non solo, perché questa letteratura non deve essere necessariamente solo razzismo od antirazzismo. Ha ragione Sepulveda; la letteratura è anche quella lima che in certi film in bianco e nero gli amici mandavano all’amico prigioniero all’interno di una torta. L’amico segava le sbarre dalla finestra e fuggiva. Un libro è anche questo, ed anche questo deve poter fare. E questo, attenzione, noi non lo dobbiamo dimenticare neanche per un secondo. Perché dobbiamo ricordare che gli scrittori scrivono storie che devono anche piacere e divertire, sfogare l’immaginazione e far sognare.
La letteratura scava nell’anima umana per decifrare il mondo, per darne una spiegazione, per descrivere il cambiamento sociale, per anticipare il futuro. La letteratura è una mappa, un modo di vedere il mondo. Alla fine della giornata ci troviamo, tutti con le nostre mappe, e sappiamo di aver capito qualcosa in più del mondo che circondiamo. Perché lo facciamo? Ebbene, io credo questo: lo facciamo perché una volta che riesci a comprendere le cose, queste non ti fanno più paura. Mi dispiace dirvelo, ma presto vi accorgerete anche voi di questo.
Vedete, queste meccanismo complesso che noi chiamiamo razzismo, queste persone non ce l’hanno tanto con me, con l’amico Tahar Lamri o Karim Metref. Noi siamo casi disperati, siamo indisciplinati e vaccinati, tanto che oramai ci hanno rinunciato a modellarci. C’è l’hanno con voi, con la vostra classe, con i vostri colleghi stranieri che frequentano i vostri banchi. Il fatto che voi vivete e studiate assieme, il fatto stesso che voi esistite certifica la loro sconfitta. E tra un po’ arriveranno a vendicarsi: vi verranno a dire che i vostri colleghi stranieri vi disprezzano, e poi andranno da questi a dire che i colleghi italiani vi odiano.
Che non va bene avere amici stranieri agli uni, e che non va bene avere amici italiani agli altri. Che di fondo c’è qualcosa di sbagliato e di innaturale in questo, che ognuno deve starsene zitto e buono a casa sua e che se è arrivato fin qui lo ha fatto sicuramente per ragione malvagie o giù di lì. Ve lo diranno i vostri parenti, i vostri stessi genitori probabilmente, e ve lo diranno ancora di più gli organi di informazione. Ecco, il mio consiglio per i vostri prossimi 4-5 anni è solo questo: cercate di non cascarci.
Discorso tenuto in occasione di “Con le scarpe piene di passi” Ferrara , 31 marzo 2012