Affondano le radici in tempi remoti un insieme di gesti simbolici e riti nuziali praticati a Tirana ed adiacenze, come espressione di fede ed autenticità, come osservanza alle usanze ed ai costumi ereditati dagli avi.
Un importante mosaico folcloristico che compone il ricco tessuto etnologico della popolazione e della società della capitale albanese.
Come capitale provvisoria dell’Albania, Tirana è stata proclamata dal Congresso di Lushnjë del 1920, invece definitivamente fu proclamata capitale dall’Assemblea Costituente nel 1925.
-A Tirana, la celebrazione nuziale iniziava rigorosamente il giovedì.
Le porte delle rispettive case venivano spalancate agli ospiti.
A suon di musica e servendo dei dolci in abbondanza, venivano accolte le visite della cerchia di amicizie che faceva gli auguri alla coppia.
I canti nuziali erano specifici e dai testi dedicati agli sposi. Il genero non si vestiva con l’abito da ceremoniale il giovedì.
In questo modo elegante e specifico, lui si vestiva solo quando sarebbe andato a prendere la sposa.
– Il venerdì veniva definito come “giorno del corredo”, in quanto, dalla casa della sposa veniva trasportato il corredo verso la casa del suo futuro marito.
Un gruppo di donne osservava nella casa della sposa stessa il contenuto del corredo e la sua qualità e un simile atto lo applicava anche un altro gruppo di donne che attendevano di visionare il corredo della sposa nella casa del suo futuro marito.
Nel baule o nelle valigie del corredo, la famiglia della sposa usava inserire tra i panni, delle caramelle, dei chicchi di riso e qualche fiore fresco, in segno di buon auspicio, bontà e prosperità.
– Il sabato veniva definito come “giorno della sposa”.
Questo, attribuito al fatto che la sposa organizzava una cena da trascorrere in allegria tra amiche, senza lo sposo. Come una specie di ‘addio al nubilato’.
La cena iniziava alle ore 20:00 e da tradizione aveva luogo in un grande “oborr” -“cortile” delle tipiche abitazioni di Tirana, solitamente anche non la propria casa della futura sposa, ma in una casa del vicinato, dotata di un enorme cortile adatto al grande numero di gente.
Dopo mezzanotte, venivano raggiunte dai parenti più stretti dello sposo, “i krushq”, i quali si presentavano senza lo sposo, in veste di rappresentanti della sua famiglia, con il compito di salutare la sposa ed i suoi familiari, non soffermandosi però, per più di un’ora e come il retaggio ancestrale dettava, dovevano eseguire un ballo in onore della famiglia della sposa.
-La domenica, verso le ore 11:00, in casa della sposa si presentava lo sposo, solitamente accompagnato dallo zio materno ed un bambino – maschietto – loro nipote o parente, il quale portava in dono alla sposa un mazzo di fiori e quest’ultima gli doveva offrire qualcosa in cambio, rigorosamente secondo la tradizione.
Lo sposo veniva accolto dal fratello della sposa oppure, in mancanza di un fratello, da un suo cugino e secondo il rito, lo sposo veniva schiaffeggiato, lasciando intendere che in quella casa, c’era sempre qualcuno con cui la sposa si poteva confidare e che la poteva proteggere in ogni evenienza.
Uno dei “krushq”, i rappresentanti dello sposo, si doveva mostrare molto abile a “rubare” un qualsiasi oggetto dalla casa della sposa senza venire scoperto – rendendolo poi immediatamente indietro – per il solo gusto di poter dire a seconda della tradizione ed il senso di “sfida” che essa imponeva:
“Vi abbiamo superati, noi siamo più agili di voi!”
In seguito, la sposa si faceva salire sul cavallo bianco – cavalla bianca da sella per la precisione – oppure, a seconda dello status sociale delle famiglie, nell’automobile dell’epoca in possesso, quest’ultima abbellita a dovere per la cerimonia e si dirigevano verso la casa dello sposo.
-La sposa raggiungeva la casa del futuro marito, accompagnata dai suoi “krushq”, rappresentanti della sua famiglia.
All’entrata la attendeva la suocera. La suocera teneva in mano un lokum (dolce), il quale veniva diviso a metà e consumato da entrambe nuora e suocera, contemporaneamente.
Inoltre, la suocera portava del miele in un piattino, in cui la nuora avrebbe dovuto attingere le sue due dita e le avrebbe poi fatte strisciare sull’uscio di casa.
Come segno di dolcezza e prosperità che la nuora si auspicava che portasse in quella nuova casa per lei.
Una volta superato questo passaggio nel ceremoniale, la tradizione dettava che la sposa entrasse in una stanza, per ricevere gli ospiti che venivano a fare gli auguri alla coppia, ma per alcune ore lei doveva stare con lo
sguardo basso e ringraziando tutti con un “grazie”, senza guardarli in volto.
Successivamente arrivava il fatidico momento: la sposa veniva accompagnata nella stanza riservata alla coppia dei neo sposi, arredata dai parenti dello sposo, completata ed abbellita dal corredo che lei stessa vi aveva prima mandato e in questa stanza lo attendeva un bimbo, un parente, al quale la sposa doveva fare un regalo – in segno di auspicio per figli maschi nel futuro – e lo sposo le toglieva la scarpa.
Quella scarpa andava riempita dallo sposo, piena di monete d’oro, in segno di prosperità per la loro nuova vita di coppia.
Il banchetto nuziale a casa dello sposo era caratterizzato dall’abbondanza di portate.
Nelle “sofër” – “tavoli bassi e rotondi di legno”, rigorosamente dovevano essere servite 5 kg di carne principalmente, cucinata a vario modo oltre ad altre specialità tradizionali.
Non mancava il raki e il dolce, baklava.
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