Tirana, Albania, anni ’80.
Nomen omen…
Lei, per coincidenza con i versi del “Rigoletto” che mia nonna intonava sottovoce, si chiamava Xhilda – versione albanese del nome “Gilda” – e abitava nel mio quartiere.
Rappresentava il luogo comune dell’incostanza femminile, che durante la dittatura in Albania, soffocava la figura delle donne, con fantasticherie morali tra le più animate nel Gran Teatro delle apparenze.
Guarda caso, quella Xhilda albanese, incarnava “la donna volubile nella parola e nel pensiero, la donna menzognera nel pianto e nel riso, la donna che non è porto sicuro per l’uomo che le si affida…”
“La donna è mobile
qual piuma al vento,
muta d’accento e di pensiero.”-
Erano i versi che canticchiava la mia nonna italiana a Tirana, quando solitamente vedeva passare quella vicina di casa, una bellissima ragazza, da una bellezza insolita per quei tempi.
Anzi, tra la nonna e lei, devo dire correva affetto e simpatia.
A differenza del resto del vicinato, da cui la ragazza veniva snobbata, veniva guardata con un certo occhio critico, severo a dismisura, mia nonna nei suoi confronti si dimostrava affettuosa e addirittura premurosa, vista anche la sua giovane età.
Il tutto, rischiando anche lei stessa di avere delle sfrecciatine e le prese di posizione da parte di qualcuno, “perché difendesse quella poco di buono…!”
Ma, la nonna era ferma nella sua “filosofia” che il pettegolezzo, quando raggiungeva orecchie intelligenti, moriva…
Nomen omen…
“Gilda” per antonomasia.
Lei, per coincidenza con i versi del Rigoletto che mia nonna intonava sottovoce, si chiamava Xhilda – versione albanese del nome “Gilda” – e abitava nel mio quartiere.
Era di una bellezza unica: mora, occhi verdi, di statura media, carnagione olivastra, capelli lunghi fino alla vita e dalle forme perfette.
In quartiere non parlava quasi con nessuno. Passava taciturna davanti alle piazzole antistanti dei nostri condomini, facendo un mezzo sorriso ed un saluto con la testa ai vicini di casa oppure ai bambini che scorgeva lì fuori giocando – tempi in cui noi, ci si intratteneva molto all’aperto – e si chiudeva a casa sua, per non comunicare con nessuno.
Io ero ancora una bambina, ma questa giovane ragazza la vedevo con un occhio curioso, perché mi sembrava un personaggio misterioso.
Ed era per l’appunto, una che non passava inosservata, proprio per la sua bellezza, che non sembrava una cosa vera.
La sua era una famiglia molto povera.
Entrambi i suoi genitori svolgevano lavori umili ed io, questo “disagio” della ragazza e questo suo lato introverso del carattere, li associavo in modo ipotetico alla condizione sociale della sua famiglia.
Perché, nonostante “la parità sociale”, leitmotiv della società albanese dell’epoca, era chiaro che i ceti sociali tra le persone fossero ben distinti, per i parametri classici di ogni società alla fine, quali istruzione, impiego lavorativo, cultura e tradizione familiare, ecc.
Una donna chiacchierona, un’altra vicina di casa che guardava la tv italiana di nascosto – perché il regime impediva agli albanesi di guardare le tv straniere – diceva su Gilda:
“Ah, lei è bella come Ornella Muti, ma stai alla larga da lei! Non la frequentare, è una poco di buono…!”
Anzi, devo dire che qualche ignorante e bigotta di turno, ridacchiava quando a Xhilda veniva accostato il paragone con Ornella Muti, per via del significato improprio in lingua albanese del cognome della bella attrice italiana…
Io pian piano, entravo in una fase di età, l’adolescenza, in cui si inizia a prendere coscienza del tuo nuovo “Io”, esteriormente ed interiormente.
I paradossi albanesi sul microcosmo femminile iniziavano a creare un notevole subbuglio nella mia mente.
Vedevo da un lato, questa voglia sfrenata da parte degli albanesi a “sbirciare” i paesi vicini confinanti per lo stile di vita che conducevano, essendo che l’Albania era soffocata nella gabbia sotto dittatura e non poteva avere nessun contatto né con i paesi vicini confinanti, né con l’Occidente ed il resto del mondo.
Per cui, era solito scorgere la personificazione della bellezza femminile nelle attrici straniere, quelle italiane specialmente.
I detti riferiti alle donne albanesi, per far loro un complimento, si diffondevano con rapidità:
“È bella come un’italiana!”, oppure “Lei è la Sofia Loren albanese”, “La Cardinale o la Lollobrigida albanese”, “La Ornella Muti albanese”, “La Goggi albanese” (perché si era proiettato da poco in Albania il film “La freccia nera”, in cui Loretta Goggi, giovane bella e bionda interpretava “Joanna”.
E via via, l’incarnazione dello stereotipo di bellezza femminile albanese, accostata ad attrici famose mondiali, quali la Bardot, la Taylor ecc, diventava un cliché, paradossale però…!
Perché in modo contradditorio, da quelle bellezze albanesi, “ci si doveva mantenere le distanze, in quanto erano moralmente incostanti…!” Invece di ammirarle ed apprezzarle.
Almeno era questo il modo in cui veniva – apparentemente – considerata la bellezza femminile, quasi quasi come una disgrazia oppure una persecuzione.
Dico “apparentemente”, perché è chiaro che quelle donne erano un sogno per gli uomini albanesi.
Un’ altra netta antitesi era quella collegata alla nostra fierezza peculiare come popolo, spesso rispecchiata anche nella concezione tutta nostra, della “Bellezza”.
Esiste un detto molto diffuso in Albania a questo proposito, che fa:
“Ne shqiptarët jemi racë e bukur!”- “Noi albanesi siamo una bella razza!”
che delle volte finisce in un’enfatizzazione di questa nostra caratteristica, quando io credo che anche sotto questo aspetto, gli albanesi siano uguali a qualsiasi altro popolo, con i suoi pregi o difetti, anche esteticamente e a livello di connotati fisici.
Ma, se ti autodefinisci una bella “razza”, perché paradossalmente miri all’educazione degli occhi “al contrario”, ergo a non scorgere la Bellezza pura?
Anzi, programmare un disegno per dissimularla, mascherarla?
Le domande sono retoriche alla fine, perché sotto quel sistema si trovano facilmente le risposte.
Detto questo, nella società albanese in mezzo secolo di dittatura – fino ad inizio anni ’90 – da un lato patriarcale e, d’altro canto, stretta nel sistema della rigida morale ideologica dittatoriale, chissà quanti “Duchi di Corte”, perché no, attraverso i loro intermediari, “giullari di Corte o Rigoletti”, sono caduti ai piedi delle “Gilde albanesi”, che l’abbiano mai ammesso o meno.
Ecco, inevitabilmente, queste riflessioni le avrei dovuto scambiare per forza con “Rigoletto”, a casa sua a Mantova…