La letteratura migrante ha compiuto 20 anni. Sembra ieri, me era l’anno domini 1990 quando usciva “Io, venditore di elefanti. Una vita per forza fra Dakar, Parigi e Milano di Pap Khouma recentemente pubblicato dai tipi di Baldini Castoldi e Dalai. Altri tempi, quasi ieri. Si iniziava, allora come oggi, a scrivere per reazione, e questo è forse il peccato originale di questa letteratura migrante.Non si scriveva per raccontare qualcosa, ma per rispondere. Credendo, forse, che spiegare la realtà sarebbe bastato anche a cambiare la percezione della realtà: beata gioventù. E questi libri, cos’erano se non un felice mix di appunti di viaggi, orgoglio di appartenenza,denuncia civile e pezzi di giornalismo. Era la fame del mondo che avevamo, e mai, né allora né oggi, possiamo dirci sazi. Purtroppo, si può sostenere senza troppa paura e senza troppa arroganza, che tutto quello che è venuto dopo questo libro non è stato che una riscrittura dello stesso, rigorosamente re-visited. E questo è un gran bel problema. Perché a 20 anni un esercito di parenti e amici di chiedono “ Ma poi, tu cos’è che vuoi fare da grande?”E la letteratura migrante, mi sembra di capire, da grande vuole fare le stesse cose che ha fatto da piccolo. Trattare sempre la stessa tematica, viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda e chiudersi a riccio su se stessa aspettando degnamente il crollo generale.A questo punto di solito è utile distribuire le colpe. Di chi è la colpa?Un po’ del panorama, della definizione, di questi anni senza colori, di un mercato chiuso e via dicendo. Quello che è certo è che la definizione “scrittura migrante” pone dei limiti che dobbiamo rompere. Perché abbiamo scritto sempre la stessa storia, perché abbiamo fatto sempre lo stesso discorso, perché abbiamo ripetuto sempre lo stesso concetto. O forse, esiste un problema ancora più grave, che, con la sua ombra, tende a coprire e a giustificare tutto il resto. È il fatto che si parla molto di scrittori e poco di libri, si parla dell’autore e non del personaggio, della storia di chi scrive e non di quello che ha scritto. La letteratura migrante si è costruita un muro che non sa più ne abbattere ne descrivere in cui tutto, dal personaggio allo scrittore e all’autore è accumulato in capo alla stessa persona: la famosa dittatura del pro lettariato.
Lettura in occasione del convegno Nuovi italiani, Nuova letteratura: scrittori e scritture dell’emigrazione tenuto a Torino presso la Biblioteca civica Italo Calvino, venerdì 7 ottobre 2011