In tempi non sospetti avevamo salutato con favore la Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione promossa dal allora ministro Amato. Certo, non capivamo allora, e non capiamo tutt’ora l’utilità di questa carta che si limitava a parafrasare la Costituzione italiana.
Assieme alla Carta dei Giornalisti di Roma andava a formare un sottobosco costituzionale che francamente appare assolutamente inutile in quanto non aggiunge, non completa e neanche sostituisce niente. Eppure, anche se si limita a ribadire quello che tutto dovrebbero sapere, siamo contenti. Del resto siamo semplici ragazzi di bottega e non aspiriamo a comprendere i misteri della vita. Il passo successivo sembra essere il così detto “Accordo di integrazione”.
Era stato introdotto dalla legge sulla sicurezza del 2009, ed oggi (28 luglio 2011)ha avuto il via libera dal Consiglio dei Ministri. A poco è valso il fatto che un anno fa l’Accordo ha incassato il parere negativo degli Enti Locali, preoccupati soprattutto, per la copertura finanziaria della formazione degli immigrati. Prevede il famoso permesso di soggiorno a punti, e si preavvisa una procedura più tosto complicata.
In pratica l’integrazione si misura con dei punti associati alle conoscenze linguistiche, ai corsi frequentati e ai titoli di studio di ogni straniero, ma non solo. Ci sono sedici crediti iniziali che possono essere incrementati attraverso l’acquisizione percorsi di formazione professionale, conseguimento di titoli di studio, iscrizione al Ssn, stipula di un contratto d’affitto o di acquisto di un immobile, volontariato. Al termine, lo straniero deve sostenere un esame con il quale ottiene il permesso di soggiorno. Accettando l’accordo, inoltre, lo straniero è obbligato a rispettare i principi della Carta dei valori istituita con decreto del ministro dell’Interno nel 2007.
Stranamente però, la norma riguarda tutti gli stranieri dai 16 anni di età in su, entrati in Italia per la prima volta, che chiedono un permesso di soggiorno superiore a un anno, e non anche gli stranieri che già si trovano sul territorio nazionale. L’accordo, secondo il ministro del lavoro, Sacconi, rappresenta ”un autentico strumento di integrazione”, che chiede allo straniero ”la conoscenza della lingua e delle regole fondamentali” del nostro paese. ”Non e’ un percorso a ostacoli, al contrario e’ un modo di sollecitare l’integrazione.” “Il Governo” – ha detto successivamente il ministro Maroni – “sostiene tutti gli oneri di questo vero e proprio processo integrazione.
Lo straniero deve partecipare a tutta una serie di attività che sono riconosciute attraverso il sistema dei crediti.”Il ministro però non ha voluto indicare quando l’applicazione di questa norma sarà effettiva, ne cosa succederà in casi speciali. Stiamo parlando di uno sforzo colossale che sicuramente dovrà mettere in moto centinaia se non migliaia di scuole, insegnanti, aule e così via.
Il tutto regolamentato da appena tre pagine uscite dal Consiglio dei Ministri che si limitano a stabilire un paio di punti generali senza preoccuparsi di stabilire tempi, costi e procedure. Inoltre il testo dev’essere firmato in un Decreto del Presidente della Repubblica, e a quel punto bisogna assolutamente indicare risorde, modalità e tempi. Al momento insomma, la proposta sembra destinata a rimanere solo sulla carta.Su questo punto c’è il silenzio totale. Ma i dubbi non sono solo questi. E’ impensabile per esempio, espellere il capo famiglia ma allo stesso tempo lasciare in Italia gli altri componenti.
Il punto d appare ambigue come solo certi legge possono essere. Sostiene: risoluzione dell’accordo ed espulsione dello straniero, fatta eccezione per le ipotesi in cui l’espulsione non sia possibile a norma di legge = crediti pari o inferiori a zero;La vera note dolente però si trova al punto C, i casi nel quali i punti possono essere decurtati. Infatti questo può succedere in caso dia) condanna penale anche non definitiva; b) sottoposizione a misure di sicurezza personali anche in via non definitiva; c) commissione di gravi illeciti amministrativi o tributari
Non si capisce quindi come mai il mantra di “fino alla condanna definitiva nessuno è colpevole”, ripetuto fino alla nausea da parte di autorevoli esponenti giuridici e politici, non debba valere per gli stranieri. La frase giusta sembra essere “ fino alla condanna definitiva nessuno è colpevole, sempre che sia italiano”. E’ una frase che suggeriamo di dire a chi vi fare il test di integrazione che garantisce la parità di trattamento tra italiani e stranieri.