L’introduzione di Darien alla serata del Primo Marzo di Forlì in Sala Bruni, piena zeppa. Molti dei partecipanti hanno voluto testimoniare la loro esperienza ed esprimere la loro opinione sulle questioni relative ai migranti. Noi vi proponiamo quella di Darien.
Devo confessare che avevo dubbi sulla buonuscita di questa giornata. Non tanto per le nostre idee, perché so che la nostre proposte, il nostro modo di essere (o dovrei dire, la nostra “lotta”? ) sono giusti, quanto perché dubitavo nella capacità di questo popolo di tirare fuori una tale potenzialità.
Per molti anni abbiamo visto un Italia diversa, e credo che la maggio parte degli stranieri sanno a cosa mi riferisco. L’Italia di chi ti affitta la casa basandosi esclusivamente su quello che c’è scritto nel tuo passaporto; l’Italia degli stranieri che muoiono il primo giorno di lavoro; l’Italia delle ronde (risata automatica dal pubblico) o meglio, delle non ronde; l’Italia dei Centri di permanenza temporanea (CPT), ora denominati Centri di identificazione ed espulsione (CIE), come se cambiando la forma potesse cambiare anche la sostanza, l’Italia, purtroppo, di Rosarno…Rosarno, è solo un nome no? Spesso ripetere i nomi all’infinito, genera malintesi perché diventano qualcosa di indefinibile. I nomi spogliano dei fatti e lasciano solo una vaga sensazione di ingiustizia e di geografia. Diventano qualcosa di inafferrabile, come dire Stalingrado, Kronstadt, i due Berlini, piazza Loretto, Pontida e cosi via. Ed è anche questa la ragione per la quale ogni volta che penso a via Padova o a Rosarno mi sforzo di pensare anche alle altre decine di vie e città sparse in tutta Italia, dalle fabbriche del Nord agli immensi campi del Sud, ai caporali che coltivano non più condomini o pomodori, ma morti; al tanto lavoro che abbiamo fatto ma che sembra non bastare mai.
Per ritornare al Primo Marzo, sembrava che non ci fosse in Italia una formula per organizzare quello che abbiamo visto oggi. O che se c’era, era ben nascosta in certi locali diversamente di sinistra, in certi blog di nicchia, in certi autori o giornalisti marginati in pagine 40, insomma, che temesse di venire alla luce del sole. Ad ogni feroce provocazione – e non sto ad elencare quali se no si fa mattina – corrispondeva una timida reazione, quasi sempre moderata, pacata, imparziale, che grosso modo corrispondeva al “timbrare il cartellino”, da parte di tutti quelli organismi di rappresentanza che si sentivano il dovere di spendere una parola sugli immigrati.
Intanto, cresceva l’indignazione di una massa, quella che poi sarebbe diventato il mucchio giallo che siete voi, che sono quelli altri centinano di migliaia che oggi parlano, ballano e cantano in nome di quella multiculturalità che, bisogna capire, non si può fermare facendo una legge o chiamando i CPT CIE o introducendo il reato di clandestinità. Un reato unico nel suo genere perché è la prima volta che una persona viene condannata non già per quello che FA, bensì per quello che E’. Ed è questa la ragione per la quale è incostituzionale, oltre che, va da se, inapplicabile.
Questo movimento non si può fermare, almeno non più di quanto si possa fermare la pioggia o l’avanzare dell’età. E chi sa se questa energia che abbiamo visto in piazza non possa diventare portavoce degli interessi dei singoli, e quindi della nazione. Perché, per quanto bello sia stato il 1 marzo, il vero lavoro comincia da domani.