Per capire le vicende del 21 gennaio dell’anno scorso bisognerebbe tornare indietro nella storia albanese e dare uno sguardo retrospettivo ai tempi in cui i comunisti avevano appena preso il potere.
Durante la guerra quasi tutte le operazioni belliche si svolsero nel sud, arrivando fino all’Albania centrale. Mentre i tedeschi si ritiravano ci fu un’ occasione per fare i conti anche con i nemici “interni”, gli oppositori. Al sud fu facile, mentre al Nord l’impresa era più complicata, poiché durante la guerra c’era stata molta indifferenza, e con gli indifferenti non si sa mai come fare.
Bisognava creare dei nemici, e così fu. Si trovava qualche pretesto, e poi giù a fucilare anche 10 alla volta. All’inizio tutto avveniva in presenza dei familiari e della popolazione, facendo della morte uno spettacolo. Più tardi le fucilazioni si facevano di nascosto, in qualche notte buia.
Ogni tanto dentro ci finiva anche qualcuno che nulla aveva a che fare con “la reazione” , come chiamavano i comunisti i propri oppositori. Mi raccontava un vecchietto che era sopravvissuto alla fucilazione: “Una sera arrivò in cella un giovane di una famiglia povera e che tutti sapevano che nulla aveva a che fare con i reazionari. Alla nostra domanda perché fosse lì non seppe dare una risposta, non sapeva”.
Già: perché era lì? Ai tempi non si sapeva, ma ora ci è tutto chiaro: l’intenzione era quella di incutere terrore, e non solo ai nemici. Nessuno doveva sentirsi al sicuro davanti al potere. A volte è meglio quando le vittime sono “massa” senza nome. Quello si chiamava e si chiama “terrore rosso”.
Capimmo il passato ma ci soffermammo così a lungo su di esso, tanto da perdere di vista il presente. Mentre eravamo impegnati a contare le vittime del comunismo, altrettante vittime si ebbero nel ’97: in un solo anno Berisha con la sua politica procurò più morti di quanti ne aveva fatti il comunismo in 40 anni.
Mentre eravamo distratti ad analizzare “la guerra delle classi e dei nemici di partito”, Berisha fece le sue “purghe” allontanando dal partito persino i fondatori, riuscendo ad avere attorno qualche manipolo di servi impegnati a farsi ogni tanto qualche piccola guerra di potere tra loro. Non è casuale che quest’anno le feste democratiche siano stati festeggiate più dal partito socialista che del partito democratico. E’ rimasto solo lui perché qualcuno è morto e qualcun altro se n’è andato prima di morire. Beati gli ultimi.
Perché Berisha fu l’ultimo che si unì al movimento degli studenti e ne prese il controllo. Lo stesso che fece Hoxha, che aveva trovati già pronti i gruppi comunisti.
E ancora, mentre si parlava del terrore comunista, il 21 gennaio dell’anno scorso quattro persone vennero uccise, realizzando così il nuovo terrore democratico, che per distinguerlo da quello comunista chiamerò con il colore del partito: terrore blu. Perché anche in questa occasione funzionò come la roulette russa.
Sono morti che chiedono ancora giustizia, che per ora Berisha è riuscito a fermare. E per riuscirci aveva inventato il famigerato “schema del putsch” riportato alla perfezione su Albania News da Alban Trungu.
Per trovare un precedente bisogna tornare indietro nella storia comunista. Sei mesi dopo la fucilazione dei generali putschisti Hoxha si presenta al parlamento comunista (che si riuniva ogni tanto) con in mano la loro lettera dove si chiedeva la grazia. “Che ne dite, li fuciliamo i putschisti?” E’ l’arroganza impietosa del potere infinito.
Ora, ritornando ai giorni nostri, dopo avere scoperto il putsch, manca solo l’autorizzazione del parlamento per ammazzare ancora le quattro vittime scelte a sorte dal potere. E’ simile anche la storia di un’altra commissione parlamentare che fu creata dopo i fatti del 2 aprile 1991, dove persero la vita quattro persone nelle proteste di Scutari. Anche allora si disse che i manifestanti si erano uccisi tra loro Ma dopo si scoprì che erano stati uccisi dalla polizia, ma i veri assassini non ci sono tuttora. Il nuovo potere ha imparato tutto, alla lettera.
Lo Stato tende sempre a proteggere coloro da cui è protetto, ma trova altre maniere. Ci è utile come esempio il processo a qualche componente delle forze dell’ordine, ritenuto responsabile di violenze durante i fatti di Genova. Si trova sempre qualche cavillo, si fa una leggina, per fare sì che ne escano fuori puliti. Ma in Albania i colpevoli non si conoscono nemmeno, perché lì non si è sparato per difendere lo Stato ma il potere.
Eppure sarebbe utile anche per loro, perché così la colpa si condivide con la società, con la giustizia, con lo Stato, col governo, con la mancata preparazione o con chi ruba i voti. Altrimenti il peso del crimine rimane solo sulle spalle di chi lo ha compiuto. E sconta lentamente per tutta la vita anche se non viene mai condannato.
Mi ricordo un vecchietto con la schiena curva. Riusciva a vedere soltanto la terra che aveva davanti ai sui piedi. “E’ così perché ha ucciso un soldato austriaco per prendergli il fucile. Un giovanotto di vent’anni”. Doveva essere un corriere che faceva la spola tra Scutari e la casa di Orosh,. Chissà da quale campagna dell’Austria o dell’Ungheria veniva, ma anche se nessuno poteva vendicarlo, il peso della sua morte accompagnò l’assassino per tutta la vita. Uno scenario macbethiano al quale non può sfuggire nessuno. Anche nel peggiore dei casi, pensando l’uomo solo cattivo e senza coscienza, rimarrebbe la paura: “forse qualcuno lo sa… non è che mi fanno fuori (come spesso è successo) perché hanno paura che racconti qualcosa?”
Tuttavia, a partire dalle proteste di Scutari Berisha è diventato esperto nella demolizione della giustizia, passando dal tentativo di arrestare Zef Brozi, il presidente dell’Alta Corte (costretto a fuggire all’estero con l’aiuto degli americani), ai fatti di Gerdec, arrivando al 21 gennaio ad accusare il capo della Procura Generale come complice nel presunto colpo di Stato. Tutti sanno cosa sta succedendo. Anche i cablogrammi dell’ambasciata americana screditano il potere. Ma io insisto sulle cose note, perché come dice Hegel “le cose note sono meno conosciute”. Per esempio parlando con i militanti del PD (che al Nord sono tanti) loro non negano che i voti si rubano e non negano le pressioni sulla giustizia su tante questioni. Tanto si sa che la giustizia è corrotta. E’ cosa nota. Ma non vogliono accettare che sia successo lo stesso anche il 21 gennaio. Perché sarebbe la fine. Mi sorprende la mancata capacità di collegare “le cose note” con queste conseguenze.
I colori del terrore
La politica non risponde mai alle aspettative della gente (non sarebbe nemmeno possibile), e a questa logica non sfuggì nemmeno il partito comunista. Ma a me piace pensare che tutto quel sacrificio non sia stato inutile. Coloro che ci tengono al patriottismo, dovrebbero sapere che il comunismo ha completato l’unità nazionale. Altri che predicano l’uguaglianza, sanno bene che un tentativo fu fatto. Perlomeno l’idea che i padroni per quanto siano potenti possono essere sconfitti, è passata. E’ paradossale perché così facendo, Hoxha era diventato il padrone dell’Albania, ma era un padrone che recepiva più o meno cinque volte la paga di un operaio. La fortuna vuole che nonostante lo Stato comunista fosse dichiarato ateo, somigliava molto a quello del Vaticano: una monarchia non ereditaria. Dopo quella meteora che fu Alia, potevamo anche venirne fuori se non fosse arrivato Berisha.
E’ difficile invece trovare un senso al terrore blu. Forse dopo tanta austerità comunista, era necessario uno sfogo di voci e sentimenti che il comunismo aveva represso per anni. Venne fuori nella maniera peggiore. Siccome era necessario, non avrebbe causato molti danni se fosse finito quando realmente finì: nel 96. Ma convincere Berisha che in democrazia si perde anche, non era cosa facile. Lui non volle prendere esempi da altre democrazie. Lech Wałęsa, che ha dato molto non solo alla vita democratica polacca perse le elezioni nel 1995. E non fu così strano. Prima di lui, nel 1945 Winston Churchill, l’uomo protagonista e vincitore della seconda guerra mondiale, perse le elezioni subito dopo di essa. Forse gli inglesi sapevano che i tempi erano cambiati e lui andava bene solo per la guerra. Berisha invece è buono per qualunque stagione perché riesce a fare la guerra anche in tempi di pace.
Ai tempi si rideva di ciò che prediceva un anziano perseguitato che si chiamava Namik Hoti, fondatore del Partito Ecologico: “quando il cafone sale sul cavallo, non scende più. Bisogna uccidere il cavallo”. Da allora siamo qui che paghiamo quella risata. Venne fuori di tutto. Il pensiero contadino (la maggior parte degli abitanti), spogliato delle migliori tradizioni perché mancano di contesto, prese il sopravvento e regna tuttora. Tutto è scivolato nella tamarraggine che permea la società ed è facile da percepire per qualunque straniero che visita l’Albania. Visitando la casa di un albanese ci si rende conto che la tradizione si è mantenuta solo all’interno delle mura di casa. Cordialità e rispetto dentro, delinquenza fuori. L’ospitale padrone di casa veste i panni del cafone e si fa un giro con Mercedes (anch’essa tamarra) a importunare le ragazze, pronto per l’ennesima lite. E ancora, entrando dentro nelle case vedi quasi del lusso se paragonato con il pattume che fuori invade le strade. A nessuno interessa perché quella è cosa pubblica, cioè degli altri, di nessuno. Il disimpegno del governo di Berisha dal Nord ha fatto rinascere le vendette che ora è difficile controllare.
Ma la tamarraggine arriva fino ai più alti ranghi della politica. “Cosa succede – mi chiedono i miei amici italiani che sentono le sirene della polizia, due motociclette e una decina di macchine”. Passano i potenti. Magari è solo un ministro che va a pranzare in qualche locale del posto. Mentre Mario Monti va a casa sua in treno. Nel frattempo l’ambulanza non trova mai il posto per passare e la gente ci muore sopra. Perché le vite non sono uguali. E poi vogliamo entrare in Europa. A fare che cosa? O forse per avere più possibilità di cercare la democrazia altrove.
Inestimabile danno alla democrazia
I morti del 21 gennaio sono un monito per chi vuole fare le manifestazioni di piazza. E’ chiaro che il danno causato con quella protesta va aldilà dei morti. Non ci saranno delle proteste, né politiche né della società civile, perché quel governo uccide. Non si può più protestare nemmeno per difendere la piramide o fermare l’importazione dei rifiuti perché si muore. Il problema nasce dal non ascolto della popolazione. Per portare i problemi alle orecchie dei potenti bisogna parlare da vicino, cioè davanti alla sede di Berisha. Ma cosi facendo sembra che siano lì per estrometterlo, ma lui ha promesso: ” Chi si avvicina al castello…vedrà quanto varrà la sua pelle”.
Quella maledizione che perseguita Berisha
Dicono che certo anime rimangono intrappolate tra le due pareti della vita e della morte. Nessuno sa per certo il motivo ma ci sono delle ipotesi: qualcuna sbaglia semplicemente il percorso e si perde nel labirinto che porta nell’aldilà, qualcuna si sente troppo legata al corpo e non lo vuole lasciare.
La storia di Berisha somiglia a quest’ultima. Infatti lui sembra l’anima mezza corrotta e mezza pentita del comunismo degli ultimi anni. Anima che riuscì a corrompere persino quel paradiso che sognavano gli studenti. Ogni tanto quest’anima tornava dal proprio corpo ancora caldo per vedere attraverso gli occhi metà spenti il passato che fu. E poi ritornava dagli studenti per fare le lodi al passato, ma senza ignorare le loro richieste, perché gli sarebbe stato negato il paradiso. Finche un giorno tornò e lo trovò freddo. Giura e spergiura di averlo ucciso lui, cioè di essersi suicidato, ma tutti sappiamo che era morto perché era arrivata la sua ora. Quell’inquinamento fece sì che la protesta diventasse quasi un movimento goliardico, che invece di attaccare la politica si scagliò contro i professori che finirono a vendere lavatrici e frigoriferi negli angoli della strada. Meglio essere ignoranti, perché così i potenti di turno possono regnare con più tranquillità.
Certo che chi è appassionato di filosofia antica, sa che Platone lo avrebbe raccontato meglio. Avrebbe corretto le pagine del Timeo, descrivendo un demiurgo maldestro che guarda la dittatura per costruire la democrazia. Perciò quella forma perfetta che è la sfera non viene mai tale. A volte è un cilindro, a volte un cubo, un mestolo senza manico e vuoto, oppure una pentola dove però non bolle nulla di buono.
Troppo lontano dalla democrazia promessa, troppo incapace di instaurare una dittatura perfetta, anche se la voglia non gli manca. Si sveglia dittatore, e si addormenta liberale. Magari succedesse il contrario. Promette la democrazia che prevede le proteste ma poi lì vi sono i morti.
Quei morti sono vittime di una guerra ridicola tra un mezzo dittatore e un mezzo eroe che voleva fare la rivoluzione seduto al tavolo dal bar. Di quella guerra tra chi ha fatto una grande palude politica in Albania e di colui che aveva scelto di costruire un piccolo stagno a Tirana. Perché gli eroismi di oggi sono costruiti sulla vita degli altri. Pare che Rama volesse fare paura a Berisha e c’era riuscito. E si sa cos’è capace di fare chi ha paura. Ma poi Rama si piegò, entrando in parlamento. Manca solo una nuova versione della poesia “il Cristo con la frusta” che Noli aveva composto per nascondere il suo mancato coraggio. Ogni uno di noi potrebbe farsi la domanda: non poteva farlo prima che ci fossero i morti? Ma forse una ragione c’è.
L’Albania come laboratorio
Spesso, l’Italia è stata considerato come laboratorio dell’Occidente. Ma con la crescita della consapevolezza di essere tale comincia a non starci più. Anche se nell’ultimo ventennio ci era quasi ricascata. E allora ne serve un altro. Quale posto migliore dell’Albania, dove si fanno a pezzi per un po’ di potere. Anche le vicende del 21 gennaio lo hanno dimostrato. Infatti, è curioso vedere le reazioni delle rappresentanze straniere. Sono tutte comprensibili. Si parte dall’uscita infelice dell’ambasciatore americano, che aveva chiamato Berisha “uomo di Stato” per avere schiacciato la protesta. Non ci sorprende perché gli americani sono abituati a giocare “a dittatore” per poi abbandonarlo quando diventa noioso. Le altre reazioni sono state timide. Tutti hanno una scusa. Il sistema berishiano somigliava così tanto a quello italiano, perciò gli italiani scelsero di tacere. Comunque ultimamente la politica italiana in Albania si è giocata sotto basso profilo; ai livelli di Lavitola. Non si può biasimare Ettore Sequi (rappresentante UE) che è stato colto alla sprovvista. Dopo l’Afghanistan non pensava di trovare di peggio.
Ora noi sappiamo che la politica albanese dipende quasi totalmente dalle rappresentanze straniere. Gli albanesi raccolgono i voti e poi vanno davanti a questi signori e mostrano il sacco con ciò che hanno guadagnato. Quando sono credibili o, come è successo l’ultima volta, “quasi credibili”, danno la loro benedizione. Si vede che anche questa volta hanno agito così. Ecco perché Rama è entrato in parlamento. La loro “saggezza” è linfa vitale per Berisha. Ho l’impressione che gli stranieri vogliano (ma non lo dicono) un paese corrotto ma tranquillo per poterlo studiare meglio. Altrimenti, invece di raccontarlo tramite cablogrammi, divertendosi della disgrazia degli altri, dovrebbero fare pubblico il proprio pensiero. Non è ingerenza raccontare, perché tanto sappiamo comunque che dietro le mossa dei nostri politici ci sono loro. Vedremo se Berisha avrebbe lo stesso coraggio di Hoxha, per scacciarli.
La politica dura… da morire
La cosa che non si è perso Berisha dai suoi predecessori e proprio la durezza del potere. Il primo fallimento di questa linea si è visto nel 97. Nonostante avesse mandato i carri armati a schiacciare le rivolte non ci riuscì. Venne salvato all’ultimo dall’opposizione su indicazione degli stranieri. Dal suo nemico Nano. Ma che cosa distingue l’opposizione dal partito di maggioranza? La differenza sta nell’elettorato. Il partito socialista (i comunisti, come li chiama Berisha) ha un elettorato più occidentale, cioè meno fedele. Loro sanno quando è ora di abbandonare chi hanno votato. E’ successo nel 2005 quando la corruzione dilagava, ed è successo anche a Tirana nelle elezioni dell’anno scorso. E’ chiaro che sostenitori di Rama non vogliono accettare la sconfitta, ma in realtà Rama ha perso. Perché quando la differenza è così esigua si sa come va a finire. Con Berisha bisogna vincere perlomeno al 60 % per dire che si è vinto.
Mentre Berisha non ha dei semplici elettori. Sono tutti militanti, più qualche avvoltoio che sorvola su tanta ingenuità. A criticare Berisha in un bar rischi di non tornare più a casa. Perché lui non è stato mai votato per quello che ha fatto e nemmeno per quello che ha promesso. Si è sempre votato per quello che è: quelli del nord lo votano perche lui è del nord, i musulmani perché è musulmano, qualche nostalgico di democrazia che è rimasto indietro, lo vota perche pensa che sia l’icona della democrazia. E poi c’è qualche patriota che ha visto “la strada della nazione”.
Gli sembra un risultato. Forse bisogna ricordargli che una strada simile Hoxha l’avrebbe costruita nel giro di due anni senza un soldo, mentre Berisha per farlo mise il paese in ginocchio. Hoxha non lo fece per due ragioni: perché non serviva, in mancanza dei mezzi che circolavano, e anche per quella mania della guerra. Perché quando ci si sta molto al potere si trova il tempo di sperimentare anche le proprie manie. E ciascuno ha le sue. Per esempio a Berisha pare piacessero le noci da piccolo, e ha intenzione di farne delle piantagioni.
Dire ai sostenitori di Berisha che l’Albania è il fanalino di coda dei paesi ex-comunisti, ti rispondano che è la colpa dell’opposizione. Come se il governo non ci fosse mai stato.
Ecco in quale guerra sono finiti quei quattro. Raccontava un altro vecchietto: “mentre mio zio moriva nella palude di Durazzo, i Toptani e i Gionmarkaj pranzavano insieme. Era la guerra del 1914 tra chi sosteneva Wied e chi voleva a capo dell’Albania un nobile turco. Potrebbe essere anche falso ma questa era la considerazione che il popolo aveva per la politica, già alla nascita dello stato albanese. Nulla è cambiato. Avremo preferito che queste guerre finte si facessero senza morti, ma non ci si è riuscito ancora.
Perché chi è al potere non lascia spazio agli altri. Mentre il prof. Alpion nell‘ultimo articolo sostiene saggiamente che la vita continua anche dopo l’esperienza politica, chi quest’ultima la fa, la pensa diversamente: “un giorno senza potere è un giorno perso”. Perché loro sanno che senza il potere non valgono più niente. Non hanno nulla da raccontare che ne valga la pena. Perché sono vuoti.
Il vecchietto di allora voleva trovare anche la ragione di quegli egoismi che lasciavano indietro l’Albania, come oggi, e finiva per ripetere la frase: “il prete vuole mettere su famiglia, esce il diavolo e lo ferma”.