I richiedenti asilo sono la parte più fortunata dei migranti anche perché molti non ricevano nessun tipo di assistenza ufficiale, essendo “sans papier”.
Ma cosa succede a quelli “assistiti”?
L’accoglienza prevede diversi servizi, che dal punto di vista teorico sono rivolti al benessere degli ospiti, ma in pratica risultano essere di beneficio soprattutto per le cooperative e gli stessi cittadini italiani.
Il sistema dell’accoglienza funziona con un “modus operandi” nel quale l’arrivo o la permanenza degli immigrati – in questo caso dei richiedenti asilo – è fonte di reddito per gli altri.
Finché ci saranno i richiedenti asilo, e finché la loro permanenza presso le strutture di accoglienza sarà attiva, i posti di lavoro saranno al sicuro. Anche gli “ospiti” di queste strutture…lo sanno.
E, negli ultimi anni, molti giovani italiani (e non solo) hanno trovato lavoro presso queste strutture di accoglienza o istituzioni ed associazioni che svolgono attività di diverso tipo inerenti all’integrazione degli richiedenti asilo nel territorio italiano.
Da qui, il primo passo per contraddire l’immaginario comune che vede nei rifugiati dei semplici invasori.
Quest’ultimi sono un buon “boccone” per gli ex precari o ex disoccupati, che adesso si trovano a svolgere una professione come quella dell’operatore sociale o altre figure associate all’accoglienza.
Una buona parte degli operatori sociali e dei loro coordinatori si trovano impreparati a tale professione.
Una professione che si attua in un contesto già difficile per ovvi motivi. Perlopiù, si tratta di badare a degli adulti, e seguirli durante tutto il loro processo di “integrazione” all’interno della nostra società.
Perfino i più grandi esperti di psicologia saprebbero in difficoltà nel darci delle indicazioni esatte su come gestire la vita di un adulto, che, nella maggior parte degli casi è perfettamente in grado di intendere e volere.
Perciò, immaginate, per un’instante, di accudire una persona. Che la persona che state cercando di accudire, ha vissuto una guerra, ha attraversato il deserto, ha conosciuto la mafia, la povertà, ha preso un barcone e voi che non avete messo mai rischiato la vita nelle vostre esperienze di “viaggi all’estero” –pretendete di essere la loro guida, i loro mentori.
Mettetevi nei panni di un richiedente asilo il quale viene affidato al controllo e all’assistenza quotidiana da parte di una persona estranea: come vi potete sentire?
Probabilmente, la suddetta persona ha la metà dei vostri anni e della vostra esperienza di vita. Provate ad immedesimarvi nella loro condizione e pensate ad un eventuale momento in cui vi siete trasferiti in un paese estero, e dite: quanti di voi sono stati affidati ad una casa di accoglienza e sono stati “accuditi” – o meglio dire, gestiti – da un operatore sociale, in qualità di mentore e guida quotidiana, che vi aiuta a integrarvi nella società ospitante? Il richiedente asilo ha un mentore per l’integrazione – il quale, il più delle volte non ha nessuna qualifica per farlo ….
E’ del resto discutibile anche il concetto stesso di qualifica associato all’assistenza quotidiana all’integrazione.
Fa sempre piacere ricevere un aiuto, dei consigli oppure assistenza in situazioni particolari, ma il resto del tempo siete uomini liberi di capire ed interagire con la società circostante.
Siete uomini liberi di sbagliare, di cadere e di cercare la vostra strada come avete fatto fino ad ora, per arrivare, in un possibile paese che vi ospita in attesa dell’accoglienza della vostra richiesta di asilo. Già, perché qui parliamo di persone e non di animali che hanno bisogno di “integrarsi” nel nostro recinto.
Detto francamente, essi hanno bisogno principalmente di avere un documento che regoli la loro permanenza qua e di un lavoro che possa soddisfare non solo i loro bisogni primari ma che possa renderli soggetti attivi della costruzione del loro presente e futuro. L’inserimento all’interno di qualsiasi società, inizia proprio da qui.
Oltretutto ciò che succede dietro le quinte dell’accoglienza, una volta abbassato il sipario, non è un fenomeno …..approfondito.
Non si parla molto degli eventuali abusi di potere, dei meccanismi di manipolazione di questi individui che, alcuni considerano, come soggetti più deboli e facilmente manipolabili a nostro piacere. Il loro bisogno, il loro dipendere in qualche modo da noi (operatori sociali, coordinatori inclusi) fa sì che essi vengano trattati come soggetti inferiori a noi.
Con i quali diventa facile approcciarsi ed iniettare proprio il nostro bisogno di potere, di affermazione e perché no, di approvazione. Si, perché il lavoro nel sociale, in casi come questi – in cui il tuo ruolo è quello di essere di aiuto ai possibili soggetti in situazioni di disagio – è uno status che fa gola a coloro il cui l’appetito di affermazione e quant’altro è piuttosto rilevante.
Noi dovremmo domandarci semplicemente: quanto veramente ne sappiamo di questo sistema, oltre a quello che indoviniamo oppure che ci viene sussurrato nelle orecchie? Solitamente, le testimonianze dirette di possibili operatori, o persone che hanno lavorato all’interno delle cooperative sono poche, o assenti.
Cominciamo con il dire che sono le prefetture che danno gli appalti alle cooperative, e controllano anche un po’ “l’immagine” -chiaramente sulle basi della propria ideologia- ma non c’è un’ atteggiamento etico, né c’è più di tanto un reale controllo sugli operatori e, soprattutto di coloro che li gestiscono.
Comunque gli operatori stessi si trovano, spesso,a dover svolgere un ruolo da semplici esecutori, per lo più obbedienti e incapaci di gestire, essi stessi, situazioni più grandi di loro. Essi sono spesso nelle mani di chi ha una responsabilità più alta (coordinatori, capi). E, chi ha un potere, non di rado, tenta di abusarne, se manca di professionalità o di un codice etico.
Le coop in questione, sul territorio fiorentino sono circa una decina. Difficile fare una stima sul numero delle persone che impiegano, anche per l’intrinseca precarietà dei contratti nel campo delle cooperative.
La qualità dell’ospitalità verso i migranti è spesso discutibile, anche a prescindere dalle responsabilità delle cooperative. Le cifre indicano, per il territorio fiorentino circa 1200 richiedenti asilo, anche se l’esatto numero è controverso.
Esistono “case di accoglienza diffusa” a Firenze. In queste case vengono accolti diversi richiedenti asilo che provengano, nella maggiore dei casi, da diverse parti dell’Africa e dal Pakistan. In ogni appartamento vengono accolte, dieci o più persone che, passano, più di tre o quattro anni prima di ricevere una risposta decisiva della loro richiesta di asilo politico o quant’altro.
Tutto questo processo è lento e lungo e ciò comporta un grave disagio per la vita di molti di loro, la cui vita si trasforma in una perpetua attesa e speranza, oltretutto in molti casi il risultato finale è negativo.
Quando chiediamo ad M., (un ex richiedente asilo) se mai volesse cercare lavoro come operatore, dato la sua buona padronanza della lingua italiana, lui, risponde: “Non potrei prendere in giro i miei fratelli”.
Ora, ogni cooperativa, chiaramente “è un discorso a sé”, tuttavia, almeno in alcune di esse è possibile notare come il meccanismo stesso dei progetti e degli appalti stimoli la concorrenza e non la cooperazione tra le varie cooperative e peggio ancora, tra gli stessi operatori che vengono così incoraggiati a copiarsi le idee, fino a compiere dei veri atti di “copia ed incolla”, per mettere sotto il proprio nome di iniziative e progetti altrui; a diffamarsi gli uni con gli altri, e a zittire ogni “voce fuori dal coro”; a formare “gruppuscoli di potere”, il tutto non certo a vantaggio dei migranti.
Deleteria è anche la pratica dei “premi” al miglior operatore…assegnati non certo dagli immigrati. Diventa così molto più importante fare il gioco di chi potrà conferirti il premio (cosa questa alquanto stupida visto il contesto), in cambio del famoso “io non vedo, non sento, e non parlo” – aggiungerei anche “a me non importa nulla”.
Cosa si può trasmettere ai richiedenti asilo così, semmai ad odiare e manipolare …Quando non vengano proprio messi l’uno contro l’altro, favorendo piccole “delazioni” … con il risultato di creare un tangibile clima di paura. Significativo è poi, per dimostrare come vengano trattati “non da adulti” è il fatto che gli operatori/ coordinatori possano ordinare anche di “andar subito in quel letto” ad uno degli “ospiti” . Ecco, la ninna nana prima della buona notte. Un individuo ridicolizzato nella sua dignità di persona adulta.
Bisogna riflettere su quanto siano deleterie le logiche di potere quando sono coinvolti dei soggetti più deboli…Soprattutto quando di questi ultimi, dovremo rispettare l’autonomia e l’indipendenza e non cercare solo di aggiogarli ai nostri errori…
Fatjona Sejko, Fabrizio Cucchi