Esiste una strategia del terrore, della paura, così come esiste una strategia della diffidenza e dello smarrimento: a cosa serve?
- Condannare il paese a un futuro carico di fratture e di odi intestini relegandolo nell’incapacità di costituire barriere e ribellioni al potere e alle ingiustizie.
- Indirizzare gli italiani verso un bieco conservatorismo in modo di portarli ad imbracciare ogni sorta di politica reazionaria.
“La differenza fra un albanese e un terrone?
L’albanese parla meglio l’italiano. detto che circolava nella Milano degli anni 90
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Diventare italiani, quindi conquistare la cittadinanza in base alle leggi e alla costituzione italiana è un privilegio ma anche un fardello. Amare il Belpaese da straniero è molto difficile quando non si tratti del suo passato fra arte e storia o dei grandi uomini. Amarlo nel presente significa qualcos’altro, significa rapportarsi con questa classe politica, con questo mondo culturale, con questa realtà sociale e con questi italiani.
Avere la cittadinanza italiana è un privilegio che serve, come asseriva Montanelli, a permetterti di avere voce: «non rinuncio alla cittadinanza italiana solo per parlare male degli italiani», diceva il giornalista.
Per gli stranieri più fortunati che in Italia hanno avuto modo di formarsi intellettualmente, costruendosi una personalità autonoma e un punto di vista obiettivo scevro da iperboli identitarie, odiare il proprio paese come esaltarlo acriticamente, è sintomo di cecità. Lo stare sopra le visioni manichee, soprattutto sul tema della migrazione, permette di vedere oltre e pensare il presente in funzione di un futuro alternativo al solco che sta creando la politica italiana.
Non è la prima volta che alcuni argomenti vengono riproposti dal nulla o gonfiati oltremodo per poter nasconder qualcos’altro altrove, o meglio, per poter ottenere altro, un po’ come il gioco delle tre carte, ma con il mazzo intero, il ché diventa difficile da comprendere anche da parte delle menti più acute.
La questione immigrazione che pare oggi compenetrata in tutto ciò che in Italia è straniero, nomi stranieri, pelle straniera, vestiti e cibi stranieri (eccetto quella dei radical chic sinistroidi), nasconde dietro di sé molti interessi, non quelli direttamente legati agli approfittatori o alle mafie e cooperative che lucrano su progetti e fondi, ma a livello politico.
Divenendo un tema politico senza che gli stessi diretti interessati fossero in condizioni di costituire un bacino elettorale ed avere voce politica, esso ha coinvolto le forze politiche in termini puramente elettorali, danneggiando colpevolmente non solo la vita delle persone coinvolte, ma soprattutto il futuro del Paese.
La questione dei profughi oggetto della diatriba europea non è stata tenuta distinta dalla immigrazione storica di coloro che sono presenti da anni nel Paese e i loro figli che, nati in Italia e con vissuti simili a quelli dei loro coetanei italiani, continuano ad essere trattati come stranieri.
Tale confusione è causata in parte dall’incapacità della sinistra anche di essere di Sinistra arrivando al punto di trascurare uno dei temi focali del proprio bagaglio storico e ideologico e non serve certamente scomodare Nanni Moretti o Pasolini per averne conferma.
Tuttavia, se la Sinistra nella sua incapacità di occuparsi degnamente della questione sta venendo meno al suo impegno facendo del male al paese e al suo futuro per incapacità, la Destra sembra stia facendo lo stesso ma in modo quasi cosciente e ragionato, con degli obiettivi ben precisi.
Alimentare negli italiani, attraverso la paura indotta, diffidenza e smarrimento potrebbe rispondere a diversi interessi e a diversi scopi, politici, sociali ed economici; uno è certamente distogliere l’attenzione dalle questioni molto più gravi (e in questa sede non intendo spingermi oltre nei meandri occulti delle trame di potere o nei malanni della società italiana) ma ce n’è un altro, molto più pericoloso e rilevante, ovvero portare il paese verso il fallimento di ogni forma di collaborazione fra parti sociali con gli stessi interessi di classe. Sollecitare la guerra fra poveri non è certo una novità ma per ottenere i voti dalla propria parte pare sia lecito tutto, da entrambi i fronti.
Non è la prima volta che il nemico inventato sia prezioso nell’essere sfruttato per mantenere invariati le redini del potere o per incanalare altrove il malcontento delle masse. Lo si è sempre fatto: gli ebrei, se non ci fossero, si sarebbero sicuramente inventati – come diceva qualcuno. In questo contesto rientra anche la confusione tematica riguardo ai profughi e alla legislazione europea in merito, e ad argomenti come lo ius soli o altri aspetti degli stranieri che vivono regolarmente da anni.
Sicuramente viene da pensare che questa voluta sovrapposizione parta dalla necessità di creare divisioni e odio fra i disgraziati, con il solo obiettivo di fornire la propria soluzione ad hoc. E’ il famoso metodo Luciano: creo da me il problema per darti poi io la soluzione.
Allora, che senso ha oggi, dopo l’indiscutibile e acclarata integrazione degli albanesi in Italia, riaprire con una carattere di viva problematicità la questione albanesi?! Mi riferisco qui alla lettera di minacce socialmediata dall’onorevole Matteo Salvini.
Posto che quella lettera sia scritta da albanesi, (ma ovviamente non è e non potrebbe, come ha sostenuto la professoressa Shkreli), che senso avrebbe divulgarla per riaprire artificialmente la strada alla albanesofobia o in generale alla immigratofobia?
Tra l’altro, forse i consiglieri politici di Salvini non sanno che la maggioranza degli albanesi sono, neanche tanto paradossalmente, simpatizzanti della destra, (è sempre stata molto amata la figura di Gianfranco Fini presso gli albanesi, e questo la dice molto sul livello dell’elettorato se il leghismo liquido di Salvini guadagna il triplo dei voti).
Inoltre, gli albanesi non sono ricorsi a simili risibili espedienti quando si era in piena campagna antialbanese, con volgari e discutibili personaggi politici che inneggiavano ad affondare i gommoni; perché dovrebbero farlo oggi visto che sono completamente integrati?
Tra l’ altro, non va dimenticato che, al pari di molti italiani, gli albanesi, sia quelli con la cittadinanza italiana sia quelli in patria, oggi guardano alla Germania come meta ideale. Dunque, perché ribadire che il cattivo, quello ‘puntato’ verso qualcuno per fare del male è albanese?!
Tale quesito trova subito una risposta se a porselo è una persona allenata a chiedersi come mai accadono certe cose in certi momenti, e che interesse c’è dietro. Il riportare all’attenzione “l’albanese cattivo” è legato alla necessità di offuscare il risultato indiscutibile di una avvenuta e piena integrazione.
Le statistiche sull’integrazione degli albanesi sono semplicemente straordinarie: in 25 anni, ma per tanti molto meno, il livello di vita è sbalorditivo per una comunità migratoria, nell’istruzione (ma già nel loro arrivo la comunità albanese possedeva il doppio degli anni scolastici della media italiana in quegli anni ’90), nel lavoro e nell’ imprenditoria, con presenza da monopolio in interi settori dove la riuscita della comunità albanese è pari, se non superiore alla media nazionale.
In verità questo grado di integrazione, preso ad esempio anche a livello europeo dalla Mogherini, è frutto innanzitutto della capacità degli albanesi di superare con successo quella tremenda ondata dell’antialbanesità montata negli anni del loro arrivo, sicuramente anche grazie a una affinità di mentalità e cultura fra le due popolazioni e la conoscenza del Belpaese, tanto che, già al loro arrivo in Italia, si ebbe subito impressione che si trattasse di gente simile agli italiani e in alcune zone del nord antimeridionali e leghiste cominciò a circolare la battuta: “la differenza fra un albanese e un terrone? Che gli albanesi parlano meglio l’italiano”.
Dunque, se all’epoca gli albanesi avevano questo italiano, come potrebbero scrivere in modo tanto sgrammaticato oggi? Quindi, tornando alla domanda principale, ovviamente a qualcuno interessa screditare la dottrina dell’integrazione riuscita, mettere in dubbio la sua validità e ribadire per i figli di questa gente, anche a distanza di anni, una supposta e intrinseca «differenza» in chiave negativa, ben lontana dalla diversità positiva, quella in cui questi giovani potrebbero mirare a qualcosa di più rispetto alla banalità dell’essere solo degli italiani medi.
Ricreare il clima del sospetto e del nemico anche agli occhi di una popolazione modello di integrazione e di vita civile (naturalmente ottenuta con un prezzo molto alto, anche con una rappresentazione più o meno gonfiata dei “cattivi”) serve a mettere in secondo piano il prezioso contributo, potenziale e concreto, della stragrande maggioranza di questa comunità, oramai parte integrante di un paese che arranca, messo a dura prova dall’esodo forzato di molti dei suoi giovani più talentuosi. Non solo operai, pizzaioli o muratori, ma anche e soprattutto studiosi, registi, scrittori, scienziati, arrivati attraverso viaggi regolari o su gommoni con documenti falsi, animano e rinverdiscono con dignità e passione la vita del paese che amano.
Gli albanesi vivono in modo ancor più doloroso l’assenza di quell’Italia tanto amata per la sua lingua, per la sua arte, per i suoi grandi scrittori e registi, per la sua musica, ma anche per il politici del passato; accostare quel grande passato alla realtà odierna dell’ Italia è estremamente doloroso anche per loro e li lascia perplessi, tanto che, come spesso accade nelle dinamiche della reciprocità dell’alterità, divenuti più cattolici del papa, e spesso più italiani degli italiani, hanno interiorizzato fra tante cose anche il difetto italianissimo, ovvero il «parlare male del proprio paese», dunque dell’Italia ovviamente.
Quindi tentare di distruggere una realtà meravigliosa di integrazione pressoché totale, ma soprattutto culturale, pare abbia come obbiettivo l’instillare il dubbio indiscriminato e acritico verso il diverso, attraverso diffidenza e smarrimento, incanalando verso il conservatorismo bieco la popolazione, in modo che questa possa essere facile oggetto di qualsivoglia manipolazione politica. Esiste una strategia del terrore, della paura, così come esiste una strategia della diffidenza e dello smarrimento.
Ma, alla fine, davvero mi chiedo: questi politici che proseguono questa strategia hanno mai visto le statistiche delle nascite? Hanno una minima idea della popolazione italiana di origini straniere? Hanno mai pensato alle fratture e alle divisioni, non solo sociali, ma anche culturali e umane, che consegneranno all’Italia del futuro?