Termine derivato dalle scienze naturali, nelle scienze sociali la stigmatizzazione rappresenta il fenomeno che attribuisce una connotazione negativa a un membro della comunità in modo da declassarlo a un livello inferiore.
Noi lo abbiamo portato davvero lo stigma dell’essere albanese, sotto la forma della etichetta di quelli arrivati con le navi stipate all’inverosimile e coi gommoni. Immagino che tutti almeno una volta abbiamo sentito dal nostro interlocutore nato nel Belpaese “Tu non sembri albanese!”.
Questo perché dei nostri connazionali sono state inoculate nel fotogramma collettivo italiano proprio le immagine dei profughi di Brindisi e Bari nel ’91, quando l’Albania aveva appena cessato di essere la Corea del Nord d’Europa e ci ripresentammo – dopo 45 anni di oblio- di fronte al Vecchio Continente con le foto di coloro che popolavano quelle navi di migranti.
La Brindisi del ’91 accolse gli albanesi con la solidarietà umana di associazioni, Comune e persone, fotografando così una realtà dissimile alla criminalizzazione a buon mercato dei migranti nei giorni nostri.
(Questa nuova realtà rappresenta lo specchio del rancore delle disuguaglianze che cova nella società italiana, a ricostruire la quale su nuove basi dopo il Covid-19 è chiamata anche la nostra comunità.) Tutti gli albanesi arrivati negli anni ’90 che ho incontrato parlano dello stigma che li marcava, anche nei media. Poi sono diventati famosi i Kledi, le Anbeta, gli Igli e gli Ermal e sono riusciti a far abbattere nel pubblico lo stigma, simbolizzando la nostra riscossa di integrazione.
Intriso di una stoica resilienza e adattamento alle avversità e di un culto al sudore della fronte, l’orgoglio albanese ha incontrato l’etica del lavoro ed ha portato la nostra comunità a incanalarsi nel viatico della piena integrazione in Italia. Sicuramente aiutati dalla infarinatura di italiano data dalle TV e dalle comuni radici della espansiva cultura mediterranea ma soprattutto dalla voglia di riscossa attraverso il miglioramento della loro realtà economica e per abbattere lo stigma, gli albanesi hanno salito i piani dell’ascensore sociale d’integrazione da soli, eccellendo anche nelle università e immettendo nel circuito nazionale del Belpaese forze fresche e motivate.
A mantenere vive le radici identitarie sono nati giornali, associazioni culturali e scuole di lingue e cultura albanese gestite con il lavoro volontario dei più dedicati ad esse. La principale lezione da trarre da questa integrazione è che gli albanesi in Italia, immessi nelle giuste condizioni di dignità sociale ed economica per emergere, hanno realizzato da Trentino a Ragusa la più grande aspirazione del ’91: non l’hanno trovata ma hanno costruito “Lamerica” con il loro impegno. E’ quello che fanno gli immigrati se nelle società ospiti si guarda il frutto del loro impegno lavorativo e non la cronaca nera: arricchiscono se stessi e i paesi che li ospitano, generando profitti e interscambio culturale che portano verso nuove mete le conquiste del progresso. Nel 2020, malgrado la pandemia, secondo i dati diffusi dalla Fondazione Leone Moressa il numero di imprenditori albanesi in Italia è cresciuto del 6%, segno di una vocazione che segue la stabilizzazione perpetua nel paese.
Insieme alla diaspora albanese globale, dopo il terremoto del 2019 in Albania la comunità albanese in Italia si è unita immediatamente negli aiuti. Secondo i dati della Banca d’Italia le rimesse dei migranti albanesi verso la madrepatria usando i canali formali di invio sono ogni trimestre del valore di decine di milioni d’euro, con un incremento molto marcato nel secondo (68,45 milioni) e terzo (46,94 milioni) trimestre del 2020 della pandemia. Dal 2019 si sono giuridicamente iscritte tre associazioni di professionisti albanesi in Italia: avvocati, dottori commercialisti e medici; opera anche un network di psicologi. Questa è una comunità che, abbattuta lo stigma nel paese ospite, è pronta a dare un concreto sostegno alla madrepatria nel percorso di networking con la sua diaspora, confermandosi fonte di ispirazione e cognizioni guadagnate sul terreno di un percorso virtuoso.
Nel marzo 1991 l’integrazione albanese in Italia era un risultato non scontato da raggiungere, tutto in salita. Il fatto che oggi sia realtà visibile dimostra i nostri valori migliori e rafforza le potenzialità di futuri raggiungimenti sul solco di un approccio più proattivo verso l’Albania delle radici