“Il Nostro Oriente. I Balcani nell’Immaginario Occidentale”. Riflessioni.
“Nazism, for instance, can claim Balkan origins. Among the flophouses of Vienna, a breeding ground of ethnic resentments colose to the southern Slavic world, Hitler learned how to hate so infectiously.” R. D. Kaplan
Fu durante un tranquillo pomeriggio d’estate che, per la prima volta, i Balcani[1] entrarono violentemente nel mio immaginario. Ricordo il mare, mio fratello giocare sulla spiaggia, l’ombrellone a strisce verdi e gialle. Poi, d’un tratto, il rumore sordo dei caccia NATO – probabilmente partiti dalla base aeronautica di Aviano, in Friuli, per andare a bombardare le postazioni serbo-bosniache sulle alture di Sarajevo – disturbò la pace di quella giornata. Al tempo non sapevo né dell’esistenza di una Bosnia né di quell’universo jugoslavo che lentamente stava andando in frantumi, ma l’immagine di quegli aerei che si dileguavano all’orizzonte rimase impressa nel mio inconscio. Se anche dimenticai, in seguito, gli aerei, come tanti altri quel giorno, essi non scomparvero mai del tutto dal nostro immaginario, per riemergere ogni qual volta fossero stati evocati.
La seconda volta fu diverso: l’immagine era ancora più nitida, anche se lo schermo televisivo imponeva un certo distacco. File infinite di profughi albanesi che lasciavano lentamente, con ogni mezzo di fortuna, un paese – il Kosovo – dilaniato dal conflitto. La Kermesse continuò per giorni, mesi. Vennero i bombardamenti NATO, gli edifici straziati, gli errori, le scuse. Poi, d’un tratto, la televisione si spense e le immagini in essa proiettate terminarono così com’erano iniziate.
Si concludeva la tragedia balcanica, con i suoi reportage e la speculazione mediatica che ne era stata fatta, vendendo la disgrazia come si vende il pane, consumata questa compassionevolmente; empatia che finisce appena concluso il pasto. Tutto lentamente si spense ed i Balcani tornarono nuovamente là, dov’erano sempre stati; in un qualche punto non ben definito aldilà del mare. Sarà con queste immagini di violenza che verranno per sempre ricordati, in vita come nella morte; così descritti dalla enorme mole bibliografica che la guerra produsse e tutt’oggi continua a produrre. I Balcani non finirono per diventare sinonimo di violenza, lo erano sempre stati. La violenza era l’essenza stessa dell’essere balcanico, non tratto distintivo ma destino inevitabile.
Oggi non si spara più nei Balcani ed il tema non ha più molto interesse. “Balcani”, la sola parola basta a produrre una reazione neurologica istintivamente negativa. ‘Universo misterioso’, ci attrae ed allo stesso tempo ci spaventa. Lontano dai familiari confini dell’Europa, ci giunge in versione soft dalle musiche di Goran Bregović, i racconti spassionati sulla veracità delle donne dell’Est, Emir Kusturica, i viaggi inenarrabili che il più delle volte terminano su qualche anonima spiaggia croata. Là finisce l’Europa ed iniziano i Balcani. I confini lentamente sbiadiscono per poi mano a mano riacquisire colore una volta ritornati in Grecia.
Alla domanda “Dove iniziano e dove finiscono i Balcani?” non è facile dare una risposta univoca. Essa cambia a seconda della latitudine, della giornata, dell’interlocutore. Se chiedete ad uno Sloveno dove inizino i Balcani, lui sicuramente vi risponderà <<in Croazia>>; se lo chiedete ad un Croato risponderà <<Serbia>> e così discorrendo. Non esistono confini precisi, e l’impossibilità di dar loro una chiara definizione – non solo soggettiva ma anche oggettiva – si è spesso trasformata in nevrosi – la famosa ‘balcanizzazione’. Quindi, cosa sono infine i ‘Balcani’? … … … Essi hanno assunto una connotazione negativa nel corso del tempo che lentamente si è andata cementificando nell’immaginario occidentale … … … non è necessario andare più a fondo perché non si troverà altro che una conferma di questo.
“Balkans are always the same: nothig has changed” ricorderà una nota del Carnagie Endowment, famosa think-tank statunitense, nel descrivere l’inalterabile natura dei Balcani e l’innata predisposizione dei suoi popoli alla violenza. Nel 1993, all’interno del rapporto sulla situazione in Bosnia-Erzegovina, lo stesso Carnegie riadattò al contesto jugoslavo l’introduzione che aveva redatto ottant’anni prima riguardo le Guerre Balcaniche. Questo andava a dimostrare come nulla fosse cambiato d’allora. Nella lettura degli eventi bosniaci si trovava la conferma di ciò che era sempre stato. Agl’occhi dell’Occidente, l’esperienza jugoslava – prima nell’esperienza del Regno di Serbi, Croati e Sloveni (poi Regno di Jugoslavia) ed in seguito trasformato in Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia – aveva significato un bel niente. Qualche anno prima, il giornalista statunitense Robert D. Kaplan iniziò un lungo viaggio nei Balcani; nello scrivere quello che poi diverrà il resoconto della sua esperienza – Balkan Ghost diventerà il titolo, libro premiato dalla stampa americana ed elogiato dallo stesso presidente Clinton (che pensò potesse essere sufficiente una copia dello stesso per comprendere le dinamiche della disintegrazione jugoslava) ed allo stesso tempo ampiamente criticato dal mondo accademico internazionale per l’eccessiva dose di superficialità e orientalismo – il giornalista sembrò anticipare quello che poi sarebbe accaduto di lì a poco, come se questo fosse già scritto nella storia ed il conflitto inevitabile. Nella sua più che limitata visione, Kaplan descrisse il Comunismo come un ‘grande preservatore’ che, per decenni, aveva congelato, come un’istantanea, gli antichi odi etnici che avevano da sempre attraversato la penisola. Agl’occhi dello scrittore, la storia dei Balcani non assumeva uno sviluppo lineare ma tendeva a ripetersi in maniera ciclica con periodiche esplosioni di violenza, come se la violenza fosse la ragion d’essere dei Balcani.
Il conflitto ha così finito per colmare, grazie al lavoro di emeriti (sic!) scrittori e orientalisti, l’indice ‘Balcani’, non solo dell’immaginario europeo. L’auto-percezione dei Balcani stessi ha finito per esserne influenzata, riproducendo l’immagine e gli stereotipi di violenza al quale erano soggetti. Fu così che, sul finire degli anni ottanta, con la crisi del modello socialista e le opportunità che questa aprì l’immaginario venne abilmente manipolato e (ri)immaginato, orchestrando alla perfezione un disegno politico ben definito fatto passare per violenza disorganizzata e civile.
Ci si volle disfare violentemente dell’identità balcanica – eliminando o deportando coloro che rappresentavano, agli occhi dei persecutori, questo immaginario (l’esempio delle minoranza serbe in Croazia o dei musulmani in Bosnia) e che ricordavano un passato collettivo che si voleva cancellare – del comunismo, dell’arretratezza, per entrare finalmente a far parte della Europa civile e sviluppata (sic!). Si dice che fu proprio il contatto con il mondo Occidentale a far perdere ai Balcani la loro vera identità. La schizofrenia nacque dal loro non saper più cosa essere, se Oriente o Occidente, ed allo stesso tempo nè uno nè l’altro.
Spesso la verità non è ciò che si racconta. Le storielle sul conflitto etnico in Yugoslavia furono più che alto un mito – in seguito divenuto realtà con l’aiuto dei media – nato da una mistificazione della storia e da una sua profonda ignoranza. Serbi e Croati – a differenza dell’opposizione che è venuta a caratterizzarli, da sempre! – non erano mai stati in conflitto tra loro prima del Novecento, anzi, essi cooperarono fortemente in seno all’Impero Austro-Ungarico per la lotta all’indipendenza da questo. La stessa Yugoslavia non fu una mera costruzione della Conferenza di Versailles – come Mussolini usava sostenere vista la sua estrema ostilità nei confronti del Regno, principale ostacolo ad una sua espansione verso Est, e del quale cerco di minare la stabilità in tutti i modi, armando ed addestrando movimenti separatisti croati e macedoni – ma un progetto politico che nacque ben prima della stessa Italia. Gli Ustaša (Risveglio) di Ante Pavelić – che governarono la breve esistenza dello Stato (fantoccio e filo-nazista) Indipendente di Croazia e si macchiarono di ignobili crimini contro la popolazione serba (ma anche ebrea, gitana, etc), i cui eventi vennero risvegliati nella memoria di molti serbi dopo la dichiarazione di indipendenza della Croazia nel 1991 (non senza fondamenti, questo va detto) per spingere ad una loro mobilitazione collettiva – furono un movimento minoritario e non popolare mentre grande fu l’opposizione degli stessi croati al regime.
Come appaiono oggi i Balcani, a distanza di più di vent’anni dal conflitto yugoslavo? Se da un lato alcuni focolai di instabilità permangono – in particolare la necessità di trovare un soluzione alla Bosnia di Dayton, che continua ad essere bloccata in un folle federalismo etnico, la situazione del Kosovo del Nord (anche se gli ultimi accordi sembrano aver portato a un qualcosa, cosa bene non si sa!) e le tensioni etniche in Macedonia – dall’altro, gli ultimi anni hanno registrato grandi progressi politici ed economici nella Regione. La stessa scelta europeista della stra-grande maggioranza dei paesi balcanici, come via migliore per assicurare la pace e la stabilità dell’area, rappresenta una volontà di cambiamento verso un futuro di integrazione, attenuando fortemente i toni nazionalisti – come le ultime elezioni in Serbia hanno dimostrato.
L’immaginario occidentale sembra non essersi accorto di tutto questo, esso continua ad essere fermo a quel caccia NATO sulla spiaggia. Un cambiamento di percezioni è altresì necessario – abbandono di una visione falsata e stereotipata dei Balcani – senza, alcuna integrazione sarà possibile. Arriverà il giorno in cui i nostri figli andranno in vacanza studio a Belgrado, Tirana o Sarajevo, invece che a Parigi, Londra o Bruxelles. Intanto aspettiamo di vedere quali dinamiche innescherà la prossima entrata della Croazia nell’Unione Europea.
[1] Con il termine ‘Balcani’ qui si intende più propriamente l’area Occidentale, ovvero i Paesi dell’ex-Jugoslavia – Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Serbia e Macedionia – e l’Albania. La scelta è dettata da ragioni di semplicità stilistica che per tanto non vogliono creare incomprensioni sul termine. I Balcani ‘allargati’ comprendono una Regione che include anche Grecia, Bulgaria, Romania, e Turchia Europea, ma che rimangono fuori dalla riflessioni dell’autore.