Non capivo cosa si intendesse per “questioni culturali” fino a poco tempo fa. Ora non solo lo capisco, lo vivo anche nel mio rapporto. Sono sposata con un cittadino albanese da quasi due anni.
Io, bergamasca doc, lui albanese del nord, arrivato in Italia a quindici anni. Ci siamo conosciuti dieci anni fa. Un grande amore, un bellissimo incontro. Lui lavorava in un locale, io non avevo idea di cosa significasse essere albanese, o rumeno, slavo, greco, spagnolo…vedevo la persona, non la provenienza o l’origine. Poi lui ha intrapreso una nuova carriera, tornando nel suo paese natale.
E cosí la nostra relazione ha preso una piega nuova, insolita: bella da un certo unto di vista, difficile da altri. Entrambi facciamo i pendolari Bergamo-Tirana, non volendo rinunciare al nostro amore. Ce l’abbiamo fatta! Ora abbiamo un bambino e continuiamo a viaggiare.
Tuttavia nel nostro rapporto si sono presentate queste “questioni culturali” che non avevo mai considerato prima. Non sono pericolose se ci si vuole bene, ma vanno tenute in grande considerazione perché le diversità devono essere incanalate e gestite nel modo corretto o si possono trasformare in una bomba a orologeria.
Qualche esempio: l’ospitalità bergamasca (per quanto già io e la mia famiglia siamo bergamaschi atipici e molto accoglienti) è TOTALMENTE diversa rispetto a quella albanese. Ti offro il caffè significa che veramente ti invito a bere un caffè con qualche biscotto o una fetta di torta (se sei fortunato), non ti apparecchio la tavola servendoti un pasto pantagruelico con ogni ben di Dio!
I miei parenti sono discreti, a tratti inesistenti, conosco a malapena alcuni cugini. I suoi parenti?! Sono una stirpe infinita a cui far visita ogni volta e se vengono a trovarci in Italia il concetto di privacy si dissolve in un attimo.
Bevo un caffè al bar significa che in cinque minuti vado al bar, ordino al bancone, bevo il mio espresso ed esco. Per lui ci vogliono almeno un paio d’ore e sorvoliamo sui pranzi o le cene! Il mio concetto di famiglia è di nucleo ristretto: io, mio marito e il bambino. Il suo?! Da dove comincio?
I colleghi di lavoro sono e rimangono colleghi di lavoro. Al massimo ci condivido un aperitivo. I suoi colleghi di lavoro sono altri parenti acquisiti, con cui condividere pranzi, cene, vacanze…
Ti faccio un favore si limita a quel favore. Ti faccio un favore nella sua lingua significa considerami a tua disposizione ora e sempre.
Pensate che stia esagerando?! Lo sto raccontando in tono scherzoso e canzonatorio, ma veramente i concetti di ospitalità, famiglia, relazioni sono molto diversi. Non esiste un modo corretto e uno sbagliato, si tratta solo di differenze culturali che però possono portare a litigare, minacciando la serenità di coppia
La soluzione? Trovare dei compromessi che richiedono uno sforzo da entrambe le parti. Solo cosí – e con molta pazienza e amore – si possono appianare le questioni culturali.
Solo cosí!
Elena Pagani è autrice di due libri sull’Albania
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