Con queste parole l’EITI Extractive Industries Transparency Initiative inizia il rapporto del 2015 sull’Albania realizzato in collaborazione con Deloitte.
Dopo il fallimento del tentativo grossolano di privatizzare le compagnie pubbliche di estrazione del greggio (ALBPETROL) e quella di raffinazione (ARMO), ed assegnarle al controverso imprenditore Rezart Taçi, il governo albanese ha deciso di riaprire le porte alle compagnie petrolifere estere. La seconda compagnia che è stata beneficiaria di questa decisione è stata la cinese (all’epoca canadese) Bankers Petroleum, che gode del diritto di poter estrarre oro nero nelle basi di Patos-Marinez, con accordi non sempre chiari sulle commissioni da pagare allo Stato, e con promesse non sempre mantenute, o comunque con risultati discutibili come quella di bonificare l’area circostante.
Lo storico
Nelle settimane scorse, il colosso petrolifero anglo-olandese Shell ha iniziato le prime esplorazioni a Shpirag, in base all’accordo nel giugno 2018 stipulato con il governo albanese. Shell ha sempre avuto interesse per il territorio albanese. La stessa compagnia è stata infatti il primo operatore di idrocarburi ad affacciarsi già nel 1994 in Albania, per poi ritirarsi dopo i disordini interni del 1997.
Guardando i numeri
Il giacimento di Shpirag potrebbe aumentare in maniera rilevante la produzione di petrolio in Albania, che attualmente oscilla sui 20.000 barili al giorno circa e viene quasi del tutto effettuata dalla compagnia Bankers Petrolum, la quale, citando Il Fatto Quotidiano dell’aprile 2015, è la società più lucrosa del Paese, con introiti che si aggirano sui 600 milioni di dollari all’anno.
Citando ancora l’articolo de Il Fatto Quotidiano i giacimenti di Fier della zona di Patos-Marinez “ospitano quello che viene considerato il più grande campo petrolifero on-shore d’Europa per riserve di greggio, quasi due miliardi di barili – contro i soli cinquecento milioni della Val D’Agri (Basilicata).”
Considerando queste cifre e questi numeri di barili, in un Paese normale si tratterebbe di una ricchezza, in Albania invece è una condanna. Il costo alla pompa più caro d’Europa, o quasi.
Secondo le statistiche di indexmundi.com, l’Albania è al 15° posto in Europa per produzione giornaliera di petrolio, ma potrebbe facilmente diventare prima se si considerasse la dimensione territoriale.
Con l’intervento di Shell, naturalmente la scalata alla classifica in questione diventerebbe molto più facile in virtù dell’enorme quantità di barili giornaliere che si prevedono di estrarre.
I dubbi sull’operazione
Però, a meno che uno Stato non si regga solo sui numeri delle statistiche, senza cercare di interpretarli, gli interrogativi sono molteplici sulla fattibilità di questa operazione.
Guardando l’operato della sua concorrente (Bankers Petroleum) e l’incidenza in positivo quasi inesistente del suo lavoro nelle casse dello Stato, la prima domanda che sorge spontanea è perché con Shell la situazione dovrebbe essere diversa?
Se diamo uno sguardo all’accordo firmato dal governo, sembra chiaro in che non sarà affatto diversa.
Decreto nr.350, data 12.6.2018
FATTORE “R” | PETROLIO | GAS | ||
La parte del CONTRAENTE | La parte di AKBN | La parte del CONTRAENTE | La parte di AKBN | |
0<R≤1.50 | 99% | 1% | 100% | 0% |
1.50<R≤2.00 | 95% | 5% | 100% | 0% |
2.00≤R≤2.50 | 90% | 10% | 100% | 0% |
2.50<R | 85% | 15% | 100% | 0% |
- * FATTORE R = Il rapporto tra le entrate e le uscite cumulative del contraente nell’anno
- * CONTRAENTE= SHELL
- * AKBN= Agenzia nazionale delle risorse naturale
Il secondo dubbio da sollevare, che in alcuni Paesi ed in particolare in questo contesto storico, potrebbe considerarsi anche più importante del primo, consiste nell’impatto ambientale. L’unico studio su eventuali danni alla natura è stato compiuto da Shell stessa, ed in maniera piuttosto approssimativa.
Di certo Shell non è una delle multinazionali più amate del mondo e non solo per vari casi di corruzione e di manipolazione di statistiche. Basti pensare al caso della piattaforma Brent Spar nel Mare del Nord, della piattaforma Kulluk in Alaska, oppure al caso più eclatante dove è stata condannata con il risarcimento più costoso della storia per avere inquinato il Delta del Niger in Nigeria.
Considerando che nell’accordo si parla di cominciare le trivellazioni in quello che viene definito il “BLOCCO 4” che comprende tra le altre anche un parco naturale quale è quello di Zagoria, un sito di estrazione ovviamente creerebbe un danno ambientale evidente.
Le conclusioni
Il governo albanese ha fatto una mossa inspiegabile vista da fuori, a maggio del 2018 dichiara parco protetto Zagoria e subito dopo, ad inizio giugno, firma l’accordo sulle trivelle anche dentro il parco stesso.
Visti i precedenti in questi genere di casi, lo stato albanese non ha il coraggio e nemmeno l’esperienza di poter dettare le proprie leggi in questo tipo di accordi e con questo tipo di compagnie.
Allora forse la soluzione migliore e decisamente meno dannosa sarebbe quella di puntare al turismo montano piuttosto che alle trivelle.
Sicuramente gli introiti in relazione assoluta sarebbero minori, ma visto che le prospettive che questi introiti rimangano nel territorio è piuttosto esigua, tanto vale che questa terra venga sfruttata in maniera turistica e responsabile dai veri proprietari: i cittadini albanesi. Almeno finché lo Stato non acquisirà le competenze e la serietà di imporre le proprie leggi, conviene confidare nell’autogestione degli interessi da parte degli stessi cittadini di adesso per scongiurare disastri maggiori per i loro figli domani.