¡Qué es la vida? Un frenesí.¡Qué es la vida? Una ilusión,una sombra, una ficción,y el mayor bien es pequeño;que toda la vida es sueño,y los sueños, sueños son.
La piazza non è piena, disincanto. Non è bastato il lessico leghista, Rosarno, le cronache che scarabocchiano di nazionalità, l’Italia non è un mare giallo.
Tanti piccoli torrenti e qualche fiume però sì. Cagliari, Torino, Verona, Padova, Pavia, Parma, Reggio Emilia, Abbiategrasso, Reggio Calabria, Udine, Rimini, Firenze, Ancona, Monza e Brianza,Varese, Lecco, Lucca, Campobasso, Como, Taranto, Trieste, ForlìCesena, Venezia, Oristano, Bolzano, Bari, Trento, Bergamo, L’Arno di Bologna, Perugia, Siracusa, Catania, il Po di Napoli, Brescia, Genova, Palermo, il Tevere di Milano, Roma e altri rigagnoli sparsi qua e là per il paese; come se il giallo del primo marzo avesse riunificato la geografia stessa dell’Italia.“Abbiamo fatto l’Italia, ora facciamo gli italiani” è il detto di Cavour che si insegna nelle scuole superiori. Il giorno dopo eccola l’Italia, quella che già c’era e che da oggi sarà più consapevole, visibile, ha fatto un cenno, battuto un colpo. Certa che sarà anche l’Italia di domani. È invitabile e lo è anche per lor signori valligiani che trovano nel leghismo il socialismo degli idioti. Rifugiati della ragione, clandestini di compassione.
Il paese reale è questo, umanità sfuggite. Scappate, sotto la pressione di paure indotte, distanti da quelle concrete, la più pulsante delle quali si chiama povertà.
I piccoli fiumi che sono scesi in piazza ieri questo lo sanno, sono la parte sana della società.
Argini di civiltà.
Se proprio di un successo numerico non si può parlare bisogna fare i conti anche con le ragioni. Manifestazioni oraganizzate su internet (come a Teheran), organizzazione alle prime armi, nessun appoggio istituzionale se non a parole da parte di quei partiti tradizionali che hanno ormai perduto ogni vocazione a rappresentare. Se con queste premesse manifestazioni si sono svolte in tutta Italia il sorriso esce spontaneo.
Dopotutto, per costruire serve tempo ma occorre anche partire….“Non credo che essere riusciti a condurre una azione come la nostra sia una vittoria definitiva. L’importante è un’altra cosa, è sapere ciò che si può fare. È quello che ho già detto mille volte: noi, nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo vincere. È il potere che vince sempre; noi possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo, cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare”.