Otto anni fa, l’8 agosto del 2001 nella città di Novi Ligure, una ragazza di 16 anni, Erika De Nardo, uccise con colpi di coltello la madre 42-enne e il fratellino di 11 anni, aiutata dal suo fidanzato Omar Mauro Favaro, 17-enne.
Le vittime furono trovate trucidate dai colpi di coltello; solo al bambino, immerso nella vasca da bagno, li furono trovati oltre 50 colpi di coltello.
Subito dopo il delitto, Erika disse alla polizia che il duplice omicidio era il risultato di una tentata rapina da parte di una banda di extracomunitari, offrendo tra l’altro anche una descrizione dei malviventi, che porto subito all’arresto di un giovane albanese (e chi altro), il quale fu poi rilasciato grazie ad un alibi di ferro.
Dopo, fu intercettata una conversazione tra i due fidanzati nella sala di attesa di una caserma dei carabinieri, durante la quale essi si assumevano la responsabilità del delitto.
Una telecamera immortalò Erika mentre mimava il gesto del colpo di coltello, dicendo “gliel’ho infilato qui”, mentre successivamente chiedeva al fidanzato: “Davvero ti è piaciuto mentre li stavi uccidendo?”, e Omar la avvicinava a lui trascinandola per un braccio.
Poco prima, Erika aveva detto al fidanzato: “Ora possiamo anche uscire fuori come una vera copia” e lo aveva raccomandato di vestirsi a modo per i funerali delle vittime. La corte ha condannato Erika De Nardo a 16 anni e Omar Favaro a 14 anni di reclusione. Si è detto durante il processo che il piano di entrambi era quello di uccidere anche il padre di Erika, ma dopo Omar avrebbe detto che gli si era stancata la mano durante i primi due omicidi e quindi non aveva più le forze fisiche per poter uccidere una terza persona.
Fin qui questa potrebbe essere benissimo una storia quasi uscita da una delle pagine di Maupassant: due giovani amanti, la vita soffocante di provincia, il delitto come fuga dalla routine, l’autoritarismo dei genitori, oppure come manifesto pratico della libertà, come fuga dall’inferno degli altri.
Il seguito di questa storia, al contrario, Maupassant non l’avrebbe potuto immaginare. Mentre era in carcere, Erika ha avuto una densa corrispondenza con un musicista di Verona, un certo Mario Gugole, il quale fu presentato dai media come “il nuovo fidanzato di Erika”.
Gugole diede anche alcune interviste in giro e prese parte in alcuni talk show. Nel maggio del 2006, a Erika fu permesso di uscire dal carcere alcune ore, per giocare una partita di pallavolo che era parte di un programma di reinserimento dei detenuti.
Anche questa volta, i giornali, le radio e le TV, diedero uno spazio spropositato a questo evento, lasciando margini di equivoco. Finalmente, gli ultimi giorni le agenzie di stampa ci informano che Erika De Nardo si è laureata con 110 e lode in Lettere Moderne alla Cattolica di Brescia, discutendo una tesi sulla filosofia di Socrate.
Non so se l’assurdità di questa laurea superi l’assurdità del delitto che l’ha preceduta in termini temporali; d’altra parte, la componente sociale dell’omicidio in famiglia da parte della futura studentessa del pensiero socratico, si può compensare con la scelta della filosofia di Socrate come tema della tesi di laurea di una matricida.
Comunque, questo è uno di quegli scenari in cui l’ottusità della provincia si scontra con la follia adolescenziale. E se questo scontro fino a ieri scatenava melodrammi, oggi il risultato prende la forma di un reality show, dove a Erika non rimane altro che candidarsi alle politiche europee.
La sinistra forse sbaglia quando sostiene quasi sempre una giustificazione sociale del delitto: la povertà, l’oppressione, il razzismo, la discriminazione, la persecuzione; quando non ha pronto un’altra spiegazione psicologica come infanzia difficile, abusi sessuali, incesto, maltrattamenti fisici, padre alcolizzato e bullismo; oppure anche una giustificazione di tipo culturale – la violenza nei film, nei video game, l’irrequietezza dovuta all’età adolescenziale che cerca di andare oltre ogni forma di autorità.
Anche la destra non è da meno quando, come mezzi di protezione dalla criminalità e dall’anarchia, chiama in causa l’autoritarismo, il rispetto delle tradizioni, delle gerarchie ecc; visto che le frustrazioni generano un bisogno di autorità, così come l’esercizio dell’autorità genera frustrazioni.
Comunque, e indipendentemente da tutti questi fattori, sono una minuscola minoranza le ragazze di 16 anni che trucidano le loro madri e i loro fratellini: questa patologia grave d’altronde non si può ovviamente contrastare con partite di pallavolo e temi di filosofia – anche se personalmente potrei suggerire ai programmi di reinserimento di preparare magari infermieri per malati terminali di cancro anziché esperti di filosofia socratica.
Ad una assassina non si può certo negare il piacere intellettuale della filosofia greca, tanto meno il diritto di studiare durante la detenzione; ma il protagonismo, anzi l’eroismo, sia anche solo mediatico, cade in netta contraddizione con l’umiltà come condizione propedeutica alla riabilitazione della persona. Quel che preoccupa in questo contesto è l’uso che fa la cultura di massa del crimine e dei criminali, per presentarli come alternativa al potere.
Naturalmente l’establishment ha le prerogative per poter creare e formulare leggi che possano gestire la criminalità; e buona parte di queste norme hanno come obiettivo la difesa dello stesso establishment da quello che può minare la sua egemonia; detto ciò però il criminale e il crimine non si prendono come dei modelli cool solamente perché sono contro il sistema, ma perché incarnerebbero la libertà, altrimenti soffocata dalla routine.
In questo modo una parte della sinistra parte dal presupposto che la riabilitazione delle persone che commettono reati debba interessare all’opinione pubblica più delle pene che si infliggono ai delinquenti; in questo modo però non fa altro che rafforzare una filosofia mediatica (per niente socratica) per cui ogni comportamento deviante costituisce anche ribellione al sistema.
Tratto dal blog “Peizazhe të fjalës” di Xha Xhai (titolo originale “Krim dhe dëfrim” ).
Tradotto per AlbaniaNews da Ismail Ademi