Vittoria schiacciante. Stop. Vittoria inaspettata. Stop. Attendiamo istruzioni. Stop. C’è qualcuno? Stop. Già. A sentirli oggi sembra tutto scontato, ovvio. Doveva succedere, dicono adesso, ed è successo. Ma cosa esattamente?
E’ successo che un partito medio-grande è diventato grande. Succede ogni tanto nelle vere democrazie, ed è un buon fenomeno. La questione, posta da molti illustri opinionisti, e come mai è successo? Si fanno due conti, ci si rende conto che l’Italia è cambiato sotto ai nostri occhi, e non c’è ne siamo accorti ne meno. Succede. Il rinnovamento è buono, aiuta a creare confusione nel vecchio stagno immobile, a scavalcare le vecchie idee egenerazioni a favore di quelle nuove. Com’è possibile che un partito da molti considerato “folkloristico” abbia raggiunto questo successo, considerando le pur poche presenze televisive, sempre in confronto a poilitici-filosofi, politici-religiosi, politici incollati ai loro divani preferiti dall’alto del quale ci informano dei nostri problemi e su come possiamo risolverli?
Penso che, al di la della semplice ragione del profondo legame con il territorio – quindi voto perché sono sul territorio e non sulla base di non meglio identificate idee politiche – ci sia anche una ragione che potremmo definire come “ semplicità del messaggio.” Se fino ad adesso era propaganda trasformare problemi complessi in slogan semplici, è altrettanto utile trasformare problemi semplici con slogan semplici. Anche quando non lo sono.
Mi sembra, modestamente, che ci sia un malinteso di fondo. Chiariamo senza entrare troppo nel merito, se possibile. Il partito in questione ha fatto della giustizia una dei suoi cavalli di battaglia. Eppure, c’è qualcosa che non mi torna. Certo, la giustizia è il pilastro di ogni democrazia, ma non dovrebbe essere lo Stato a farsi carico della giustizia? Così mi risultava, sono fermo al barone di Montesquieu che pensò bene di abbozzare la divisione dei tre poteri fondamentali, che si controllano a vicenda. Ma qualcosa sì è rotto, sì. Si è rotto con gli anni di piombo e si è rotto con gli indulti, puntuali come la Biennale di Venezia, per esigenze di capienza o di favori. Qualcosa si è rotto e solo due anni fa ne abbiamo avuto la conferma. Forse più dei tanti problemi economici o politici è stato quell’indulto a spostare i voti, e poco conta che è stato quasi tutto il parlamento a votarlo.
Nessuno, ne meno il più ottimista dei puffi blu può immaginare che buttando a casaccio centinaia di condannati sulla città questi possono decidere di trovare un lavoro e tirare dritto. Consideriamo quella che chiamano “la crisi degli valore” che ha messo da tempo il materiale come posizione dominante ed incontrastata in una posizione di valori umani. Consideriamo una profonda crisi che attraversa questo paese e che si rispecchia per di più in cifre di disoccupazione. Se poi hai anche una fedine sporca…beh, è definitivamente difficile non riprovarci con il mestiere che conosci meglio, che è lo stesso per il quale eri dentro.Ma era matematico, era scontato. Da quanto tempo non si parla più della prigione come “funzione rieducativa e di re-inserimento nella società?” Sono parole strane oggi, mentre dobbiamo fare i conti con i luoghi di detenzione prossimo allo scoppio considerando che sono tutti al di sopra della loro capacità. Allora delle due uno: o non c’è un equa distribuzione delle pene, nel senso che vengono fermati e condannati persone che non presentano una particolare pericolosità sociale, o l’indulto serve e ciascun eletto del popolo si deve sporcare le mani mentre lo approva. Ma non si può accusare e criticare un delinquente che appena uscito prematuramente compie degli crimini. Grazie molto, è questa l’acqua calda? Ma l’ha scoperto lei? Grande.
Veniamo a quello che mi preme di più: è demagogico e in caccia di facili voti anche la distinzione tra condannati italiani e condannati stranieri, usato spesso per vagamente provare la pericolosità sociale di un’etnia in confronto alle altre. Tutti si dimenticano che gli stranieri presenti sul territorio nazionale subiscono le condanne dei loro connazionali più degli autoctoni. Forse nessuno sa che puntualmente dopo ogni TG che insiste sulla nazionalità del carnefice il muro si fa sempre più alto? Nessuno operaio o studente albanese o rumeno o marocchino giustificherà mai il diritto di un suo connazionale a violare la legge. Nessuno lo potrà mai fare in uno Stato che garantisce un giusto processo per qualsiasi crimine. La certezza della pena è un’espressione magica, ma come tutte le magia non sempre funziona. E come potrebbe in un paese dove alle forze dell’ordine non viene garantito il materiale necessario per svolgere la loro funzione, dove la magistratura viene messo in fuorigioco con prescrizioni, sovraccarico di lavoro, limitato uso delle intercettazioni, assunzioni bloccate da diversi anni, attacco sistematico da parte delle altre forze finalizzate alla discreditazione negli occhi della massa, nonché una moltitudine di leggi che si sovrappongono.
E se si riesce a mandare dentro qualcuno, (e c’è ne vuole eh) come si fa se puntualmente arriva l’indulto e liberi tutti. Come può poi essere colpa degli extracomunitari più tosto che dei lombardi o degli emiliani? Prendersela con un gruppo etnico particolare significa o non aver capito niente, o fare finta di. Se c’è qualcosa da riformare nella giustizia bisogna partire dall’inizio, dall’applicazione della legge e non dalla condanna mediatica che lascia il tempo che trova. La prima soluzione è dura ma a lungo tempo ripaga la fatica. La seconda di procura facili voti ed inviti dorati nelle poltrone di prima. Stop. Ma se si intende giustizia per questo, per una corretto applicazione della legge, nessuno può aver qualcosa da dire.Almeno, non quelli che riescono a distinguere uno Stato normale da uno Stato di polizia.