Nato a: Milano. Scuola dell’infanzia: Milano. Scuola primaria: Milano. Medie: Milano. Superiori: Milano. Cittadinanza: albanese, marocchina, macedone, senegalese. Stranieri nati in Italia.Una palese contraddizione: la parola “straniero” fa pensare ad una lingua e ad una cultura diversa, ma anche ad un passato non condiviso. I ragazzi della seconda generazione non hanno mai provato l’esperienza dell’emigrazione, ma si sentono chiamare “immigrati”. Sono stranieri ovunque: spesso si sentono tali anche nel paese d’origine dei genitori. I ragazzi della seconda generazione infatti non hanno il diritto alla cittadinanza italiana, e sono considerati dunque, a tutti gli effetti, non italiani. Ius sanguinis o ius soli? Molti Paesi europei conciliano i due principi concedendo la cittadinanza ai bambini nati sul territorio e che vi risiedono da un certo numero di anni. In Italia bisogna aspettare la maggiore età. Una vera corsa ad ostacoli. Una corsa perché, a quel punto, si ha un anno di tempo per procedere alla richiesta di cittadinanza. Ad ostacoli perché bisogna poter dimostrare di essere stati residenti regolarmente sul territorio per tutta la durata dei 18 anni. Non sempre è così scontato. Anche qualche errore burocratico, o qualche mese all’estero, possono pregiudicare il diritto alla cittadinanza.
Oggi in Italia i ragazzi tra i 17 e i 18 anni nati in Italia, ma di origine straniera, sono circa 15.000. Molti di loro non sono sufficientemente informati sul loro diritto alla cittadinanza. Per questo motivo Anci, Save the children e Rete G2 stanno promuovendo una campagna rivolta ai neomaggiorenni figli di immigrati, “18 anni… in Comune!”. L’obiettivo è quello di sollecitare i Comuni a informare questi ragazzi con una lettera al compimento della maggiore età. Un modo per augurare loro buon compleanno e allo stesso tempo per dare loro il benvenuto tra i cittadini italiani. Per ora sono 300 i Comuni che hanno aderito alla campagna.
Non riconoscere il diritto di cittadinanza a questi ragazzi, se non al compimento dei 18 anni, significa ripetere loro insistentemente che lo Stato italiano li considera “stranieri”, “ospiti”, e magari “intrusi”. Che cosa significa per un ragazzo non avere la cittadinanza? Chiedere il permesso di soggiorno nel Paese dove si è nati. Avere difficoltà nel viaggiare all’estero: il permesso di soggiorno dà possibilità di circolare per una breve durata nell’area Schengen, niente di più; inoltre, durante la data di rilascio o rinnovo del permesso non è possibile uscire dai confini italiani. Non votare e non candidarsi. Non partecipare a concorsi pubblici. Addirittura, non accedere alle borse di studio di alcune università, che prevedono la cittadinanza italiana come clausola per l’accesso. E i ragazzi della seconda generazione, proprio nell’anno in cui si diplomano, sono in bilico tra una nazionalità e l’altra. Questi ragazzi bilingui, che attingono a sorgenti educative molto variegate culturalmente, a seconda che esse siano la famiglia, la scuola o le amicizie, possono essere una risorsa inedita e un motivo di confronto e scambio nella scuola italiana. Riconoscere loro la cittadinanza è “non solo diritto elementare, ma dovrebbe anche corrispondere ad una visione della nostra nazione di acquisire nuove energie per una società invecchiata, se non sclerotizzata”: parola di Giorgio Napolitano.