Stiamo assistendo in questi giorni, un po’ in tutta Italia, a un dibattito in merito ad alcune ipotesi di accorpamenti di province scaturite dalla proposta di riforma istituzionale messa in campo dal governo.Il tutto è partito dal desiderio dell’opinione pubblica di tagliare i costi, ormai esorbitanti, della politica. Dopo alcuni anni che se ne parlava, sembrava di essere ormai sul punto di svolta: l’abolizione delle province, per cominciare, e poi il dimezzamento dei parlamentari, ecc. Del secondo per il momento non c’è neanche l’ombra, mentre l’ipotesi di abolizione delle province si è trasformata in un semplice riordino di quest’ultime. Come sempre, stranamente, i tempi non sono ancora maturi in Italia per fare riforme un briciolo più coraggiose. Tra i diversi criteri che il governo ha messo nero su bianco c’è anche quello del numero di abitanti residenti. Qui gli immigrati regolari -malgrado non votino per scegliere un bel niente in Provincia, cosi come da altre parti- contano invece per salvare poltrone di assessori e presidenti di provincia. Ci sono alcune province che senza gli immigrati sarebbero sotto la soglia di salvezza; quindi, per una volta, tutti vorrebbero avere più immigrati sul territorio, solo per potersi salvare. Su queste ipotesi di accorpamenti si è scatenato il putiferio. Province che rifiutano di unirsi ad altre vicine a loro, discussioni animate su ruoli, capoluoghi e via dicendo, richieste di deroghe, campanilismi degni delle migliori commedie italiane del dopoguerra che a quanto pare sono vivi e vegeti. “Livorno e Pisa una provincia sola? Diamossi una mano. Pisano mangia sapone per lavarsi la coscienza. Un livornese conziglia. “Poi falla asciugà ar sole”. – si legge su una delle tante copertina del Vernacoliere. Ad Arezzo il sindaco e tutta la città hanno dichiarato guerra al presidente della regione Rossi, il quale ha proposto Siena come capoluogo. In Sardegna i sindaci sono in subbuglio e stanno nascendo comitati in difesa del territorio un po’ ovunque: sembra che ci si stia preparando a una guerra. L’Umbria rimane una regione monoprovincia, con la città di Perugia. Parma e Piacenza rischiano di trovarsi sotto lo stesso tetto e pare che non siano proprio contente, cosi come Modena sembra doversi unire a Reggio Emilia, Ferrara e Ravenna. Intanto gli immigrati per una volta non sono visti come nemici, anzi, chi ne ha di più salva la sua provincia. Per una volta non sono “il nemico”, anzi, il “nemico” è proprio il concittadino di una provincia accanto che vuole “annettere”. Intanto il mondo va veloce, cambia, si trasforma e cerca di uscire dalla crisi. Quanti spazi ci sono per l’integrazione degli immigrati in un Paese che non riesce a mettere insieme due territori a livello amministrativo? Molti territori si lamentano del fatto che diventerebbero periferici, perché i servizi e gli uffici sarebbero altrove. Pensate a 5 milioni di immigrati regolari che sono “invisibili”, pagano le tasse ma non scelgono chi siede in Provincia, nè chi decide le sorti degli uffici che di loro si occupano.
Ecco, allora, aboliamole tutte le province, dimezziamo i parlamentari, diamo il diritto di voto amministrativo anche agli immigrati che da molti anni soggiornano in Italia. In poche parole: cerchiamo di vedere oltre il nostro cortile, perché solo cosi possiamo costruire un Paese dal futuro solido. Se invece vogliamo proseguire con il cabaret, siamo sulla buona strada.