Tutto cambia ma nulla cambia, frase vera al di là dell’Adriatico.– Ma come puoi pensarla in questo modo?- mi chiede A, mentre mi tiene la mano, attendendo il semaforo verde.– Comprendimi, non è che io mi senta superiore ai miei connazionali, ma semplicemente dico che abbiamo scambiato un regime con un altro, e che ciò che un tempo era il bene comune, ormai è solo un ricordo degli anziani. Abbiamo scambiato l’idea di libertà con il capitalismo selvaggio e l’idea di “prone e perbashket”(letteralmente “proprietà comune”), con tutto ciò che va rigettato, odiato e che deve stare al di fuori della soglia di casa.La discussione con A era nata poco prima e derivava dalla mia affermazione secondo cui ogni qualvolta che tornavo in Albania mi era sempre più difficile entrare in una qualsiasi discussione il cui fulcro non girasse attorno all’argomento “denaro”.– Si ma non tutti saranno così. Insomma, non bisogna generalizzare.– Su questo hai ragione, infatti ci sono dei giovani che si stano muovendo in tale direzione ma purtroppo sono pochi e la popolazione sembra ancora incapace di comprendere che sta buttando via il bambino insieme a tutta l’acqua sporca. Basti vedere che stanno uccidendo sanità e istruzione, per non parlare poi delle politiche per la casa; sarà dal 91 che non si costruisce più una casa popolare ma è lasciato tutto in mano al libero mercato mentre gli ex mezzadri statali, quelli che davano da mangiare all’Albania intera, dormono nei bunker delle grandi periferie.– Mi dicevi però che il popolo non ha paura di manifestare e che esiste una libertà dell’agire?– Si, vero.– Dunque una volta presa coscienza della situazione la gente si ribellerà contro il sistema?!– Vero, ma oltre alla presa di coscienza serve quello che fa scaturire tutte le rivolte, cioè la fame. Negli anni ottanta l’Albania era in una tale depressione economica che ci veniva razionato tutto. Mi ricordo ancora i registri alimentari, i “tollona”(libretti) timbrati ogni qualvolta comperavi olio o uova o altri generi confezionati.– Perciò, da quello che mi dici, deduco che la rivolta sia prossima; la mancanza di uno stato sociale che provvede alle necessità del popolo farà si che l’Albania intera si sollevi di nuovo?!– Non credo sia così prossima.– Ma come, hai appena detto che non esiste uno stato sociale e che tutto il bene comune viene meditatamente distrutto, quindi per forza è prossima!– Vero, lo stato sociale non esiste più, ma esiste qualcun altro che ne ha preso il posto, almeno per adesso. Sto parlando dell’immigrato. Buona parte della popolazione albanese vive del guadagno della diaspora.– Cioè voi mantenete una nazione?– All’incirca, si! Molti di noi mandano soldi alla famiglia d’origine, altri producono guadagno tornandoci per le vacanze e spendendo il triplo.– In che senso? Spendono tutto?– Alcuni si, ma anche senza bisogno di fare grosse spese. Comprare un chilo di pomodori entro l’ultima settimana d’Agosto può costarti anche 250 lek(quasi 2 euro) invece dei 50 lek(circa 40 cent) della prima settimana di Settembre.– Quindi la situazione rimarrà tale per un pezzo visto che continuate a mandare soldi?– Mi sa proprio di si.– E quando smetterete?– Quando moriranno i nonni da andare a trovare, quando i padri dovranno pensare alle rate del mutuo, quando i figli decideranno di passare le vacanze ad Ibiza piuttosto che sullo Ionio di Saranda, allora forse. Parte della discussione con A è vera e parte inventata, ma ciò che mi preme dire è che il giorno 22 marzo, festa del ventennio del partito “Demokratike” (l’attuale partito di governo albanese) ho acceso la TV e facendo zapping su canali albanesi all’ora del TG vidi: un ministro del governo che proponeva che la giornata fosse trasformata in festa nazionale; il sultano in persona SB (il gemello diverso) ripetere urlando la stessa frase degli ultimi venti anni e, nonostante lo spettacolo sul palco migliorò con l’entrata in scena di rapper sboccati e tettone in minigonne, cambiai comunque canale per fermarmi sull’intervista ad una pensionata in lacrime, che non era riuscita a ritirare la pensione giacché l’ufficio postale era chiuso causa “festa” e lei, nel fra, non aveva soldi per comprare DA MANGIARE.