Era nell’aria da mesi, è accaduto nel peggiore dei modi. In nome dello spread, tutto ciò che l’opposizione italiana ha tentato in anni e anni è riuscito in pochi giorni. E’ nel plebiscito dei mercati e tra il verbo liberista che si compone la colonna sonora dell’ultima scena del governo Berlusconi.
Tra i festeggianti si scomodano addirittura paragoni con il 25 aprile, in mezzo, bottiglie stappate e un climax da tifoseria calcistica, urla e slogan come promesse di una vendetta che non verrà.
I paragoni fanno morale, serrano le fila ma basterebbe osservare l’evidente per disarcionare gli entusiasmi: tra i tanti che festeggiano nessuno ha giocato alcun ruolo significativo nella caduta del governo. In tale frangente evocare la festa di Liberazione diventa atto incerto, quasi blasfemo.
Il paese è commissariato e il sequestrato della nostra Repubblica riguarda tanto la sostanza quanto la forma di ciò che pensavamo di conoscere con il termine democrazia parlamentare.
Lo stesso presidente dimissionario era ariete di spicco di questo processo, non c’è sua frase nè comportamento che non abbia calpestato consuetudini istituzionali.
Tuttavia anche colui che abbiamo considerato provincialmente come il principe dell’italiana sorte possedeva rispettabili rivali che le consultazioni le facevano inborsa e le verifiche sul mercato dei Btp. Questo sta scritto nelle forme e nelle tempistiche della sua rimozione.
Parallelamente alla Grecia infatti il cambio della guardia a palazzo Chigi è stato guidato nei due giorni che precedono la riapertura dei mercati in modo da lasciar loro la possibilità di esprimere un primo gradimento al nuovo primo ministro.
Dopotutto non sono state le piazze, gli attacchi delle opposizioni o i tranelli in parlamento ad avere avuto un ruolo attivo in questa vicenda. Da questa estate infatti l’Italia si è fatta oggetto di ‘attacchi speculativi’ di inaudita intensità e più che alle convention dei partiti o alle manifestazioni di piazza è allo spread fra Btp e Bund tedeschi che bisogna guardare nel tenere la contabilità del racconto della caduta di Berlusconi.
Nell’aprile 2011 questo spread era circa pari a 120 ed è rimasto sostanzialmente stabile fino ad agosto quando, a seguito della famosa lettera della Bce all’Italia, si è registrato il primo picco che ha raggiunto i 350 punti base. Dopo una significativa flessione durante il mese di settembre al quale ha corrisposto una manovra aggiuntiva (quella dell’iva al 21% per intenderci) si èregistrata un’ulteriore impennata, che ha portato i differenziali a circa 600 punti base. La fame dei mercati non era stata soddisfatta adeguatamente e la risposta da parte del governo italiano alla lettera della Bce non è stata letta in maniera sufficiente dagli operatori di borsa. L’Italia doveva offrire di più e porre sul piatto maggiori sacrifici alla nuova divinità del mercato.
Per comprendere però occorre fare una lieve digressione perché i meccanismi che determinano questo gigante impenetrabile risultano interessanti quanto esplicativi.
L’ultimo G20 ha stanziato una cifra pari a 1000 miliardi di dollari destinati rimpinguare le casse del Fmi nel tentativo di arginare l’ ormai palese crisi economica globale. Denari pubblici ovviamente.
Nella teoria questa immensa liquidità si sarebbe resa disponibile per quei paesi colpiti duramente dalla speculazione finanziaria.
Nella pratica però le cose si svolgono in altro modo.
La Bce (l’altro attore in concerto col Fmi) per statuto non può prestare direttamente denaro agli Stati in difficoltà e per ovviare alla perturbazioni che creano instabilità, presta denaro alle banche private. I tassi sono agevolati, l’1% inferiori al tasso di inflazione, queste ultime, a loro volta, prestano denaro agli Stati: Grecia, Portogallo, Italia… a tassi ben più elevati però 5%. In pratica è come pretendere di accendere il riscaldamento in un cortile esterno e per la Bce questo significa prestare il fianco alla speculazione finanziaria.
Il pretesto è che le grandi banche sono le maggiori creditrici degli Stati in bancarotta tuttavia, è bene ricordarlo, anche queste ultime non se la passano del tutto bene, il 2008 con i suoi crolli e salvataggi non è lontano così come non sono distanti le preoccupazioni di francesi e tedeschiin merito all’esposizione dei loro istituti di investimento più prestigiosi nell’inesigibilità della Grecia.
In pratica il cuore del problema rientra in quel rapporto quanto mai incestuoso tra istituzioni pubbliche e grandi istituti di credito privati.
La Bce ad esempio dovrebbe essere un’istituzione pubblica ma risulta costantemente ricattata da banchieri privati che paventano un loro fallimento e il collasso di gran parte del circuito di credito mondiale.”O ci fornite i denari o chiudiamo” sembra essere il motto più in voga a margine delle riunioni del G20 o dell’Ecofin.
È un intreccio perverso quello che intercorre tra il debito e la crisi, amministrazioni pubbliche, interi Stati e moltitudini di lavoratori e cittadini si ritrovano incatenati in un sistema di debiti contratti attraverso l’emissione di titoli finanziari il cui volume è otto volte superiore all’economia reale, quella “strana dimensione” composta dalla produzione di beni di consumo, servizi, assistenza alle persone e investimenti. La speculazione (che non è un epifenomeno, ma l’anima stessa della finanza) è in caccia i guadagni e solo quando questi si avverano si rivolge verso altre direzioni. Chez nous, come dire che la storia si ripete, il precedente più significativo fu quello relativo a tangentopoli e alla Finanziaria d’emergenza da 90 miliardi di lire approvata nel 1992 dal governo Amato per cercare di sedare la tempesta finanziaria che si era scagliata contro l’Italia e la sua lira, va da sè un impoverimento complessivo e una compressione dei diritti sui lavoratori di allora così come è quanto mai limitativo il paragone di oggi a quel periodo. Altre cifre, altri disastri.
Allora c’era la Lira oggi c’è l’Euro e il nuovo salvatore Mario Monti (ex International Advisor della banca Goldman Sachs) è l’uomo chiamato ad applicare i diktat della Bce capitanata dall’italianissimo Draghi (ex vicepresidente della Goldman Sachs), le riforme si chiamano tagli e il tanto auspicato “salvataggio” dell’Italia non sarà altro che un’ulteriore passo verso lo smantellamento del sistema paese. Per “crescere” si licenzia, la sicurezza sarà controllo, la libertà diventerà schiavitù, Marchionne docet.
In questo clima le carte politiche si rimescolano in un ballo impazzito tra chi governa e chi farà opposizione. Le forze cosiddette “responsabili” saliranno a malavoglia in un carrozzone sacrificale costrette di volta in volta alla menzogna per giustificare il tale o il determinato provvedimento tra la promessa di una patrimoniale e un’offensiva alla scuola pubblica, tra una chiacchiera sulle rendite finanziarie e un attacco alla sanità. A margine del campo gracchieranno coloro che confondono l’incuria del territorio e la progressiva cementificazione come una manna anti-Rom e l’ignoranza sarà forza in una tale confusione.
Se il Paese può avere una speranza, la serietà vorrebbe che in una tale situazione un governo degno di questo nome, di concerto con la Grecia e con la Spagna, cominciasse a trattare con l’Europa, in particolare con Francia e Germania, per una riforma sostanziale dei meccanismi della Banca centrale europeao esigere da quest’ultima quantomeno un prestito con un tasso di interesse fissato a livello politico. Un 1% magari, lo stesso che viene offerto alle banche private per giocarein borsa sul rischio di default al mattino per poi invocare politiche di rigore che lo scongiurino al pomeriggio. Italia e Spagna sono paesi dal calibro possente, il primo addirittura è un paese fondatore dell’Europa e dovrebbero cominciare ad osservarsi (e a contrattare) con la consapevolezza di essere too big to fail, troppo grandi per fallire, debolezza che a ben vedere può rivelarsi come l’unica forza che essi hanno da esercitare. [Cit] Minacciare l’insolvenza forese è l’unica ancor
ache la nava Italia può ancora gettare prima di affrontare la tempesta in mare aperto.
Oggi la borsa ha parlato e nonostante Monti, era negativa. L’Italia è un boccone che cuoce a fuoco lento.
Girolamo De Michele da Carmilla on line