Uno dei giornali albanesi,“Gazeta Shqip”, tratta in un articolo della questione del diritto di voto degli emigrati albanesi dall’estero. Oggetto alquanto insolito per un pezzo giornalistico perché non succede spesso che questa tematica venga trattata da parti politiche o politologi, studiosi, giornalisti o persino conduttori televisivi in Albania.
In un precedente articolo (cfr), si è già dibattuto sulla complessità, importanza e tecnicismi di questa prassi, a cui il giornale “Gazeta Shqip” espone una nuova faccenda: la trasformazione del diritto di voto dall’estero in attività di selezione e trasporto dell’emigrato in patria. I candidati alle elezioni in Albania si propongono di eseguire, in collaborazione con le agenzie di trasporti (linee aree, autobus, traghetti e quant’altro), il trasporto di cittadini albanesi dall’estero in occasione delle votazioni, creando una specie di ponte con l’obiettivo di condurre il voto di questi elettori nelle loro tasche. “Gazeta Shqip” continua affermando che tale condotta non ha niente a che fare con il principio democratico e che ci sono metodi quali il voto tramite ambasciate, elettronico o per posta che possono facilmente e in modo trasparente vincere l’ostacolo dell’incapacità di controllo del voto dall’estero (come usano giustificare i politici albanesi l’assenza di tale diritto). Si devono menzionare gli altri effetti collaterali della pratica del “ponte” in evidente contrapposizione ai principi democratici che l’articolo insolito tralascia. Innanzitutto questi espatriati sono selezionati in base alle simpatie politiche già individuate da una parte politica che si offre di pagare loro il viaggio, e dunque non sono eterogenei. Altri non hanno nessuna convinzione politica dominante, ma semplicemente si trovano davanti ad un offerta di viaggio per rivedere il proprio focolare, e magari –nel mentre- accettano di fermarsi alle urne. Mentre, la maggior parte che vorrebbe dare il proprio voto ma per motivi di lavoro, lontananza, o disinformazione non lo può fare e rimane irrimediabilmente escluso. La “democrazia scenica” del caso albanese lo si capisce meglio dai numeri. In Albania ci sono 3milioni 164 mila e 859 elettori ufficialmente registrati, divisi in 4932 circoscrizioni. Mentre alle ultime elezioni hanno partecipato poco più di 1 milione e 500 mila votanti- come riferisce la stessa fonte. Buon viso a cattivo gioco.
Mentre la maggioranza politica in Albania elogia il grande afflusso di turisti e cittadini albanesi che in massa ritornano durante le vacanza in patria, e il ministero delle finanza fa i conti del denaro che questi inviano ai propri cari in Albania, investono o spendono durante le loro vacanze, e la banca centrale vede un ottima opportunità di ottenere liquidi nel momento di crisi finanziaria internazionale, a questi extra-residenti non si offre nessun diritto nonostante il peso per l’economia del paese.Nessuna rappresentanza o diritto di partecipazione politica, poche attrazioni finanziarie o assistenze per il loro eventuale ritorno permanente, e insufficienti servizi che possano assomigliare alle efficienze che invece ricevono nei paesi in cui vivono. Quel che è peggio è il frequente rivivere la vecchia immagine di una folla disperata e ignorata dai servizi pubblici, come quella volta in cui si decise di varcare i confini albanesi.“La colpa non sta mai da una parte sola”- si dice quando qualcosa non va! Infatti, tali condizioni devono avere i responsabili da diverse parti per essere durate tutti questi anni. Ciò nonostante, non essendoci rappresentanti che parlano a nome della popolazione che vive all’estero è difficile persino inquadrare il problema e individuare l’interlocutore. Perché in fondo non ce un diritto di cui gli emigrati sono beneficiari e che possono rivendicare. Essi sono semplicemente gli appari -scompari sulla scena politica albanese che non occupano spazio pertanto non sono rilevanti come elettori e nemmeno come cittadini presenti, tanto da sembrare innocui alla politica seppure indispensabili per l’economia del paese. Una fonte di ricchezza che non pretende nessun diritto.
Gli emigrati da parte loro si mostrano quasi incapaci di far sentire la loro voce. Come se non avessero nessuna conoscenza, idea o esigenza da chiedere alla classe politica albanese. Come se la loro dipartita avesse segnato anche la loro esclusione da tutto ciò che riguarda il paese. A questo punto vien da chiedersi se questi esclusi pensano mai ad un futuro diverso per se e i loro figli proprio in quel paese che tanto dicono di adorare? Quando saranno pronti per iniziare a pretendere maggiori diritti? Quanto pesa per loro questa condizione di limbo?