Tutti segnali dei tempi, in un autunno di coscienze ormai inoltrato. Basterebbe il sussurro della vicenda rom nella basilica di San Paolo per riaccendere antenne di certezza.
Al di là dei vuoti discorsi di circostanza c’è da credere che il 25 Aprile ormai non sia più una data di tutti; perché se è vero che quel preciso dispositivo che vedeva nel dibattito pubblico un gioco a somma zero, ha continuato a lavorare incessantemente portandoci alla bilancia del sangue dei morti – tra fascisti e comunisti – riecheggiando la teoria degli opposti estremismi e trasformando legittimità dialettiche in un puro qualunquismo nel quale si annullano le differenze e i significati storici della violenza nazifascista; è anche vero che per celebrare veramente quella ricorrenza occorre ricordarla come lotta politica tramite le sue valenze e le sue specificità.
In questa data allora sarebbe interessante gettare uno sguardo sulle resistenze attuali per svelare in qualche modo quella domanda sul “dove ci troviamo“. La premessa senza dubbio è quella di avere chiaro ciò che rappresentarono i regimi nazifascisti e la violenza politica in loro inscritta.Unamarcia cadenzata nella quale la prassi burocratica scivolava verso una funzione governamentale assoluta e che veniva esercita sul corpo delle persone. Un flusso triste, pesante e militare nel quale un governo riecheggiava la morte in una normalità asfissiante. Una seconda premessa è quella che ci ricorda di come la libertà sia un fatto antecedente al potere perché quest’ultimo si può esercitare solamente su soggetti che sono liberi. Per questo la misura delle battaglie quotidiane che si professano nella penisola sono lo spettro speculare del tipo di potere che abbiamo di fronte.
In questo giorno di festa, la lezione arriva dalla provincia reggiana e l’esempio lo lanciano lavoratori indiani rimasti senza acqua e senza cibo perché privati di giustizia.
La vertenza già descritta è quella che vedeva opposti i facchini della cooperativa Gfe alla Snatt del Ceo Fagioli in una salsa Marchionne riprodotta nel mondo reale. Pendenza trascinata per mesi nell’assordante silenzio delle principali forze politiche del territorio, Pd in primis che in quelle zone catalizza molto consenso.
La normalità vorrebbe i sindacati occuparsi dei lavoratori e i partiti politici risolvere le divergenze che emergono dal territorio.
La normalità purtroppo è sfuggita altrove nell’Italia targata 2011 e per ottenere ciò che spetta di diritto pare occorra mettere in gioco la vita stessa. Sotto la tenda che presidiava da più di cinque mesi la Snatt, lunedì 18 Aprile nove lavoratori hanno cominciato uno sciopero della fame e della sete. Uno sciopero vero.
Tanto vero da preoccupare medici di soccorso e le precedentemente sorde istituzioni dopo tre ricoveri per accertamenti in ospedale. Un gioco di sconfitta che ha mostrato pienamente la falsa coscienza istituzionale, la morale ipocrita dell’amministrazione e l’arte dell’abbandono in una terra, patria di diritti e di tradizioni operaie. Il silenzio unito all’incessante procedere dell’indifferenza ha coinvolto tutti: dal tribunale che ha respinto la procedura d’urgenza per la causa contro la Snatt, al comune di Campegine fino alla Provincia di Reggio Emilia. Sindacati restii alle rivendicazioni e un futuro già tracciato.
Ricordiamo allora la Liberazione e ciò che è stato costruito nelle lotte partigiane perché è vero che la Resistenza è stato anche un atto di violenza politica eccezionale ma non possiamo permetterci di estrapolarlo dal suo contesto originario: una violenza quotidiana istituzionalizzata e burocratizzata. I partigiani di allora che scelsero una lotta clandestina lo fecero per tornare a una vita normale, per restituire un carattere democratico e di legalità sociale a un’Italia schiacciata dalla dittatura.
La loro scelta può sembrarci lontana così come il rischio della vita ma possiamo ipotizzare che la verità sul “dove ci troviamo” non sia molto distante dalla scelta dei nove lavoratori indiani. Una scelta di dignità che alla fine dei conti, è stata confinata sul loro corpo, sulla nuda vita come forse avrebbe detto qualcuno, su un atto libero che ci ha costretti a considerare le loro esistenze nelle vergogna di un corpo allo stremo . Una scelta di libertà che allo stesso tempo, voleva ricordarci di come la vita sia degna di essere vissuta solo quando la si trascorre con dignità.
La violenza politica in questo caso è stata esercitata su se stessi, sul proprio corpo. Riflessi forse, ma riflessi inquietanti se si ricorda Mohamed Bouazizi , l’ambulante tunisino che col suo gesto ha dato orizzonte alle rivolte scoppiate nei paesi del Nord Africa.
Siamo ancora in tempo perché basterebbe osservare, prima della vergogna su un corpo allo stremo, una vita umana nel suo pieno con pensieri e diritti connessi e riconsiderare una normalità che non può essere schiava solo della ragione economica dominante nella quale non vi è limite al peggio.
La speranza ha ancora residenza se la trattativa della Gfe ha aperto un tavolo con la Regione dove gli accordi prevedono una cassa integrazione (dovuta ma finora non corrisposta in pieno) e una prospettiva di riassunzione. Peccato solo che la Snatt del Cavaliere Giovanni Fagioli (Console onorario in Bulgaria per la Regione) non abbia ancora assicurato nulla, nonostante la vera lezione di democrazia in salsa indiana.