Poco più di vent’anni fa il popolo della terra rossa era tormentato dall’invidia che nutriva nei confronti dei suoi vicini stranieri che, secondo lui, vivevano beati e felici fuori dai confini della loro Albania fortificata e blindata anche nei minimi dettagli dal regime comunista di Enver Hoxha.
Questo tormento era alimentato a dovere dal contatto con la televisione estera, visto che nonostante l’isolamento universale qualche segnale (specialmente quello della televisione italiana), raggiungeva le coste albanesi.
Le aquile della terra rossa, prive di esperienza diretta con una televisione vera e propria, non erano in grado di capire che il mondo della televisione era (lo è tuttora), una realtà fittizia. Specialmente gli spot. Quelle casalinghe bellissime, dal tocco alla Luigia Gina Lollobrigida (una delle attrici più importanti in Europa negli anni 1950-1960), e i padri di famiglia stile Steve McQueen (l’attore più pagato di Hollywood”,”il re del cool”, negli anni 60′ e 70), erano semplicemente degli attori, quindi recitavano la loro parte.
Ovviamente selezionati dai casting con molta cura per rappresentare quella breve e ingannevole realtà. Dove i vestiti venivano lavati quasi magicamente da detergenti super buoni in lavatrici eccezionali. Mentre cibi quasi pronti si cucinavano facendo quattro salti in padella, la famiglia, felice e gratificata, dava da mangiare ai suoi animali domestici squisiti cibi serviti in ciotole colorate (spesso color oro) all’interno di appartamenti lussuosi. Questo era quanto bastava per persuadere, e far soffrire ancora di più, gli albanesi rinchiusi in una concretezza alquanto terrificante.
Dopo la capitolazione del sistema politico legato agli estremi delle idee marxiste – leniniste, le aquile della terra rossa, che avevano preservato, quasi morbosamente, il loro sogno, fornite di libertà (anche se non avevano una consapevolezza vera e propria di quel termine capitalista), spiccarono il volo e partirono a esplorare il mondo fantastico oltre i confini della terra rossa.
Esaltati da quella libertà arrivata quasi improvvisamente, in tanti finirono rinchiusi nelle gabbie di ferro del mondo capitalista. Dove neanche le visioni oniriche riuscivano a entrare, a rincuorare il dolore che provavano per aver sprecato la loro libertà desiderata cosi intensamente.
Dopo vent’anni e passa gli albanesi hanno avuto modo di esplorare il mondo fuori dalla loro piccola Albania. La maggior parte l’ha esplorato in modo diretto.
Gli altri, quelli mai usciti dai natii confini, l’hanno esplorato in modo indiretto, tramite familiari, amici e quant’altro. La maggior parte di loro ha compreso che vivere all’estero non è poi cosi facile e bello come può sembrare. Non si diventa ricchi facilmente in un mondo soffocato da tasse e mille altri problemi. Ovviamente per chi ha fatto, e continua a fare, un lavoro onesto.
Negli ultimi tempi un elemento molto curioso si sta infiltrando nel sogno del popolo albanese: “quanto stanno bene gli albanesi che soggiornano all’estero”. Pare che sia il nuovo spot della politica albanese, immersa in una crisi che ha le sembianze di quella del 1997, la quale sfasciò definitivamente il Paese che stava nascendo.
Il governo, sostenuto dalle sue infinite e corrotte testate giornalistiche, si impegna a documentarsi e a esibire le prove che dimostrano il “fatto curioso”: “quanto stanno bene gli albanesi che soggiornano all’estero”. Trasformando le notizie e i dati effettivi, oscurando i problemi e le difficoltà che gli albanesi all’estero incontrano ogni momento della giornata, senza avere una minima attenta valutazione né dall’ambasciata, né dai vari consolati. Vale a dire: abbandonati a sé stessi. Nonostante tutto, loro stanno creando una nuova realtà fittizia.
Personaggi importanti, ma alquanto bislacchi, della vita politica albanese si rendono disponibili e partecipano anche per la minima “arlecchinata” organizzata all’estero da organizzazioni/associazioni albanesi politicizzate e coordinate tra di loro. A condizione che vengano ripresi da telecamere e rappresentati con precisione per poi finire nelle prime pagine dei loro giornali/televisioni esibendo le prove di “quanto stanno bene gli albanesi che soggiornano all’estero”.
Quindi siamo testimoni di una nuova “fabbrica dei sogni” indubbiamente inferiore, ma molto simile, a quella di Enver Hoxha. Cambia solo la logistica, prendendo atto che la fascia di mercato è sempre la medesima. Vale a dire: se Enver Hoxha cercava di impedire loro di lasciare l’Albania, l’arte del governo attuale fa di tutto per mandarli via. Così il piccolo Paese assiste a un vero e proprio allontanamento del suo popolo, soprattutto dei giovani. Senza tralasciare il fatto che l’Albania da anni aderisce volentieri all’esportazione dell’intelletto, la così detta “fuga dei cervelli” Come avviene tutto questo, e a quale proposito?
Chi vive qualche tempo all’estero per lavoro, o per motivi di studio, osserva la realtà albanese in un’altra maniera. È meno coinvolto emotivamente nella vita politica del proprio Paese, quindi è molto più razionale. Un eventuale ritorno stabile in quel luogo significherebbe impegnarsi seriamente a cambiare prospettiva di vita: non tollerare le ingiustizie e denunciare le magagne dei politici corrotti. Quindi più lavoro e più serietà per chi è al potere. Questi pensieri vengono sradicati dalla mala amministrazione prima di germogliare.
Il dramma di ognuno si sposta verso Albania e comincia nelle città portuali. Attraversa, anche se probabilmente in modo indiretto, le proteste di chi si dà la morte dalla disperazione, incontra anche il vigile stradale corrotto, il presunto datore di lavoro che non sa fare nemmeno la “O” con il bicchiere.
Arriva a casa dove i familiari sono di certo bombardati 24 ore al giorno da notizie impensabili, e si conclude confermando i pensieri che girovagavano nella loro mente “Non chiedermi il perché, ma vattene da qui”.
A dare voce a questi pensieri, e persuadere l’opinione pubblica, ci pensa da una parte il governo, ormai marcio, e dall’altra le autorità contrastanti che spesso per motivi insensati (solo ed esclusivamente per motivi personali, usano la scusa di lottare nelle piazze per migliorare la situazione ormai degenerata in Albania), invitano la massa a riempire le piazze delle città anche a costo di colorarle di rosso.
A quelli che, dal 2004, attendevano che il Paese entrasse nell’Unione europea, oggi viene ricordato, quasi in modo asfissiante, che c’è stata la liberalizzazione dei visti. Quindi se in Albania le speranze di costruirsi una vita dignitosa, e vivere in armonia con la propria famiglia, sono meno di una condizione negativa, in linea retta tutti si trovano davanti a una scelta alquanto scontata: o diventi complice di una realtà fatiscente o “non chiedermi il perché, ma vattene da qui”.