A rispolverarla ci ha pensato il presidente serbo Aleksandar Vucic che, facendo riferimento alla frozen war di Nagorno Karabakh, ha voluto rimarcare al termine di un incontro avvenuto a metà novembre con ambasciatori del quint Italia, Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Germania – la prontezza della Serbia a consolidare il proprio apparato militare – quasi a voler ostentare l’appeasement ormai evidente che la comunità internazionale sta attuando nei confronti di Belgrado.Il fatto che la Serbia e Vucic si sentano autorizzati a invocare nuovi conflitti e intensificare il processo di armamento per prevenire nuove tensioni nella regione non costituisce però motivo di stupore per numerosi osservatori. Nello stesso tempo la Serbia continua a negare i massacri e il genocidio compiuto durante gli anni 1998 – 1999 nel Kosovo. La dichiarazione del premier serbo, che all’epoca del regime di Milosevic ricopriva il ruolo del Ministro dell’Informazione, rispecchia pienamente la politica di “non pentimento” regolarmente applicata da Belgrado nei confronti della guerra e delle vittime del Kosovo in questi vent’anni.
A seguito della fine della guerra, il Kosovo è stato affiancato da amministrazioni internazionali sui generis come UNMIK ed Eulex, che hanno gestito il potere giudiziale e dominato la transizione nel Paese. Le stesse istituzioni hanno bloccato sin da subito alcuni processi avviati dai giudici albanesi nei confronti di criminali di guerra serbi, paramilitari e collaboratori di etnia albanese che si erano macchiati di crimini di guerra. Secondo i dati di alcune organizzazioni internazionali , in Kosovo tuttavia sono stati avviati 47 processi per crimini di guerra mentre in Serbia solo 17. Gli imputati per tali illeciti sono stati 117 in Kosovo, mentre in Serbia sono stati accusati 64 persone implicate nello stesso conflitto, di cui 43 di etnia albanese e 21 di etnia serba. In Kosovo analogamente la maggioranza degli incriminati è stata di etnia albanese con 64 processi aperti contro i 43 nei confronti dei cittadini serbi. I processi svolti in Kosovo hanno portato a 38 condanne per i crimini summenzionati di cui 34 riguardano cittadini di etnia albanese, mentre 4 i cittadini serbi. In Serbia invece sono stati finora condannati 2 cittadini di etnia albanese e non si hanno notizie su 4 cittadini serbi finiti sul banco degli imputati e sui quali la condanna pareva scontata.
Oltre al rifiuto da parte di Belgrado di perseguire e consegnare alla giustizia i principali vertici militari macchiati di crimini contro l’umanità, le autorità serbe sono da tempo impegnate in un processo di occultamento dei corpi di cittadini di etnia albanese uccisi e sepolti in fosse comuni in località segrete.
Fino ad ora sono almeno cinque i luoghi con fosse comuni , che nascondono oltre 1600 cadaveri scomparsi nel periodo dal 24 marzo alla fine di maggio 1999 e che sono stati trovati sul territorio della Repubblica di Serbia. Le vittime erano principalmente uomini disarmati, ma anche donne e bambini, uccisi dalle forze serbe in Kosovo. La direttrice del programma giuridico dell’HLC, Milica Kostić, ha affermato in una sua intervista che l’obiettivo principale dell’occultamento dei corpi di civili albanesi era quello di coprire i crimini e quindi prevenire le indagini penali, conformemente a quanto pianificato ai più alti livelli di governo, poiché tra i coinvolti vi sarebbe una parte considerevole dell’apparato statale.
La stessa organizzazione ha pubblicato nel 2017 un dossier3 riportante i nomi di 110 persone invischiate nei crimini contro l’umanità, così come un cospicuo numero di prove, che potrebbero rappresentare una preziosa fonte per avviare i primi procedimenti penali presso i tribunali in Serbia.
L’Unione Europea, alla quale la Serbia aspira ad aderire, non ha mai fatto dell’obbligo di accountability per i reati commessi in tempo di guerra una delle sue principali condizioni. Inoltre, il ritardo albanese in Albania e nel Kosovo nel condannare il genocidio della Serbia sta contribuendo nel convalidare un capovolgimento della verità storica, avvantaggiando Belgrado nella sua campagna di delegittimazione della guerra di liberazione nazionale portata avanti dall’UCK.
A maggio del 2019 il Parlamento del Kosovo ha approvato una risoluzione che ha formalmente condannato il genocidio serbo ai danni degli albanesi del Kosovo. Facendo eco a questa risoluzione, il Centro del Movimento Autodeterminazione in Albania sta cercando di scuotere la politica ufficiale di Tirana, chiedendo passi concreti da parte delle istituzioni a partire dal parlamento, affinché si adotti una posizione netta che condanni il genocidio serbo, si richiedono riparazioni di guerra, e si riconosca l’ufficializzazione del 15 gennaio quale giorno della commemorazione del genocidio serbo contro gli albanesi del Kosovo.Nello specifico, il Centro Vetevendosje Albania ha rivolto il 12 novembre, una richiesta ufficiale alle più alte cariche dello Stato ed ai leader dei partiti politici – per invitarli a sostenere e approvare in seno al Parlamento una Risoluzione sul genocidio della Serbia in Kosovo.
L’iniziativa invita i protagonisti della vita politica in Albania a impegnarsi per avere giustizia per le verità e le ferite del passato, costruire le future relazioni internazionale sulla base della reciprocità politica, ed evitare di mettere a repentaglio i risultati fin qui ottenuti con molti sacrifici da parte del popolo albanese. La lettera ricorda ai destinatari le obbligazioni e le responsabilità legali di cui sono investiti, le quali derivano dal Preambolo della Costituzione della Repubblica d’Albania, che stabilisce nell’articolo 8, paragrafo 1 “l’obbligo della Repubblica a tutelare i diritti nazionali del popolo albanese che vive fuori dai suoi confini”.Nella richiesta si fa riferimento alla “Risoluzione sul genocidio serbo commesso in Kosovo” adottata il 16 maggio 2019, alla vigilia del 20° anniversario della guerra, da parte del Parlamento del Kosovo. Nel testo del documento che i promotori hanno provveduto ad allegare alla richiesta ufficiale, si afferma quanto segue:
“Durante la guerra in Kosovo, le forze di Serbia e Montenegro, ma principalmente quelli della Serbia, hanno deportato oltre un milione di albanesi, hanno ucciso oltre 12 mila persone, civili non protetti di tutte le etnie, sono stati uccisi oltre 1300 bambini, violentate oltre 20 mila donne e sono stati perpetrati oltre 100 massacri … molte delle fosse comuni sono state trovate in Serbia. Lo Stato serbo continua ad occultare la verità su oltre 1600 persone scomparse. Inoltre 100.000 tra edifici residenziali, edifici scolastici, siti religiosi e culturali, scuole, moschee e chiese cattoliche sono stati rasi al suolo”.
La Risoluzione del parlamento di Prishtina fa riferimento alla Carta delle Nazioni Unite, e alla Convenzione di Ginevra, alla Convenzione sulla prevenzione e la condanna del crimine di genocidio, ai rapporti e risoluzioni del Consiglio d’Europa e di altre organizzazioni internazionali, con l’obiettivo di riconoscere e condannare ufficialmente il genocidio serbo, quale crimine contro gli albanesi e l’umanità. La risoluzione del Parlamento del Kosovo apre inoltre la strada all’istituzione di un tribunale per indagare
e condannare il genocidio attuato da parte della Serbia in Kosovo, nonché per sollevare la questione in tutte le organizzazioni internazionali e intergovernative.
La Repubblica d’Albania ha l’obbligo morale, storico, politico, nazionale e costituzionale per adottare una risoluzione nell’Assemblea della Repubblica d’Albania, che faccia riferimento e utilizzi come base il testo della Risoluzione dell’Assemblea del Kosovo. L’adozione di questa risoluzione nel parlamento albanese sarebbe un passo istituzionale necessario verso un’ulteriore internazionalizzazione della questione, dato che il Kosovo non è ancora membro a pieno titolo di molte organizzazioni internazionali e intergovernative di cui l’Albania è già membro – statuisce la lettera firmata “Vetevendosje” (Movimento Autodeterminazione),citando anche l’azione simbolica che lo stesso movimento ha svolto il 15 gennaio 2020, che tramite una conferenza stampa davanti al Palazzo del Consiglio dei Ministri a Tirana, aveva già chiesto per la prima volta pubblicamente, l’approvazione della stessa risoluzione da parte dell’Assemblea della Repubblica d’Albania.
Il governo Rama sta vivendo un momento di forte imbarazzo. Da una parte, c’è l’iniziativa per la risoluzione del Parlamento, che gode di crescente popolarità, ma dall’altra parte, Rama si e immerso da più di due anni in progetti e rapporti stretti con Alexandar Vucic. Ciò nonostante la proposta di Vetevendosje ha prodotto i primi risultati. Cresce infatti il numero di analisti, giornalisti, e parlamentari che hanno deposto a favore di una risoluzione del Parlamento albanese per condannare il genocidio serbo in Kosovo. Supporto pubblico per la risoluzione è stato dato anche da membri dell’opposizione e della maggioranza. Vale la pena ricordare che gli effetti che la risoluzione potrebbe produrre sarebbero vitali non solo per rendere giustizia alle vittime e dare la giusta visibilità internazionale alla verità sul conflitto del Kosovo, ma anche per stabilire una cooperazione duratura basato sul rispetto reciproco nella regione.
***
1 Si leggano articoli di HRW e HLC https://www.hrw.org/
2 L’ultima fossa comune in ordine cronologico è stata rinvenuta presso la citta serba di Raska nel mese di novembre 2020. Si legga: https://balkaninsight.com/
3 Il dossier e consultabile nel seguente link: http://www.hlc-rdc.org/