Il nuovo governo, prossimo all’insediamento a Prishtina, ha una possibilità storica mai prospettata a partire dalla fine della guerra: quella di invertire la rotta dell’economia del Kosovo.
Indubbiamente le differenze tra i due potenziali partner della coalizione sono visibili, ma allo stesso tempo, sembrano esserci anche punti comuni attraverso i quali è possibile costruire un solido programma economico in grado di dare al paese l’indirizzo necessario.
L’economia del Kosovo è caratterizzata da carenze gravi e strutturali. I consumi sono largamente superiori alla produzione, generando così un effetto “terribilmente” negativo nella bilancia commerciale. L’aumento della produzione interna e delle esportazioni, che avrebbero contribuito nella crescita economica, sono stati molto insoddisfacenti negli ultimi anni. Sebbene il Kosovo utilizzi l’Euro, i tassi di interesse si attestano su livelli astronomici e, in controtendenza con i paesi dell’UE, dove i tassi di interesse sono ormai negativi. Gli effetti di questa anomalia si ripercuotono danneggiando sia le imprese domestiche che la capacità di attrarre gli investimenti esteri. Il livello della competitività è allarmante, le scuole producono analfabeti funzionali che non possiedono alcuna competenza utile alle imprese del 21 ° secolo, né in Kosovo né altrove. Per non parlare dell’enorme tasso di disoccupazione, che oltre ad avere un impatto negativo sulla crescita economica, crea in più una situazione sociale caratterizzata da povertà, indigenza e mancanza di prospettiva, da cui poi scaturiscono le cause principali che spingono migliaia giovani a fuggire dal Paese.
Tutte queste rappresentano problematiche serie che non possono essere annullate e/o superate entro un mandato, e forse neanche in cinque anni. Il nuovo governo tuttavia, ha l’opportunità di creare nuove prospettive in modo sostanziale e duraturo.
Il Kosovo richiede di una serie di riforme nelle politiche economiche, che vanno dalla politica fiscale alle priorità delle spese di bilancio. Allo stesso tempo, tuttavia, l’uso di strumenti ordinari si è già dimostrato inefficace, anche nei casi in cui (raramente nei vari governi in carica dal 2008) l’intento politico potrebbe essere stato nobile. Pertanto, la ristrutturazione dell’economia del Kosovo dovrebbe essere accompagnata da una riorganizzazione istituzionale in tema, affidando allo Stato leve nuove ed organiche di interventismo, orientando, ma senza limitare e sostituire il mercato. Questo approccio eterodosso diventa indispensabile se si persegue un reale cambiamento nella direzione economica, e se non si vuole lasciare che le promesse rimangano slogan elettorali, di cui i cittadini potrebbero presto rilevarne l’inconsistenza.
Fortunatamente, il movimento Vetëvendosje ha abbracciato fin dall’inizio un approccio “dissidente” all’economia liberista, non solo per la facile retorica che esso permette a partire dalla crisi mondiale del 2007-2008, ma soprattutto perché i sostenitori di questo movimento sono profondamente convinti della impellente necessità di cambiare il corso economico del paese. Lo stato di sviluppo, che incarna secondo loro il modello ideale in materia, è uno dei cardini del programma della principale forza politica in Kosovo. Il candidato premier, Albin Kurti, deve in ogni caso conciliare questa visione con le prospettive, gli obiettivi e l’approccio economico del potenziale partner LDK, che a differenza del Movimento Vetëvendosje possiede, in ambito economico e sociale, una concezione di centrodestra.
Ma questo non è un divario insormontabile. Il programma economico del LDK ricorda quello di un partito democristiano, piuttosto che di un tipico partito liberale. Credo che non si tratti solo di preferenze ideologiche. Sia il movimento Vetëvendosje che l’LDK hanno da tempo riconosciuto il bisogno di un cambiamento radicale nel modello economico e hanno convenuto che il contesto sociale in cui versa attualmente il Paese risulta ormai insostenibile. In passato d’altronde, entrambe le parti hanno continuamente sottolineato l’esigenza di interventi radicali in temi economici e di sviluppo, differenziandosi dagli altri partiti tradizionalmente affetti da corruzione, nepotismo e interessi individuali.
Ma in che modo si possono conciliare i due differenti approcci? Le tematiche sono molteplici, ma io vorrei focalizzarmi sugli elementi istituzionali evidenziati pocanzi, e che a mio avviso, hanno carattere prioritario.
In primo luogo, il Kosovo necessita di una ristrutturazione delle imprese di proprietà pubblica di importanza strategica, che nonostante forniscano servizi fondamentali, lavorano in perdita mentre vengono dirette da una leadership corrotta di cultura anti-professionale e anti-commerciale che tratta le imprese come feudi propri o di partito. Prishtina eredita attualmente industrie, danneggiate e trascurate, in particolare nel settore minerario e di trasformazione, che rendono il Kosovo un paese di grandi ricchezze sotterranee, attrattivo dinnanzi a grandi gruppi industriali europei e globali, desiderosi di crescere e di materia prima come metalli ed energia. Per conseguire la ripresa del settore pubblico è necessario rinnovare, ma anche proteggersi da investitori stranieri free riders e “predatori”, visti in abbondanza, e che mirano a utilizzare i monopoli e le risorse del Paese per un guadagno facile e veloce. L’istituzione del Fondo sovrano della Repubblica, contribuirebbe non solo al raggiungimento di tali obiettivi ma avrebbe altresì il fine di dissociare il settore pubblico dal controllo politico del governo, funzionerebbe come un fondo di investimenti istituito dall’Assemblea, e prenderebbe il controllo di tutte le imprese strategiche del Kosovo da KEK a Telekom dalla “Trepca” al “Trainkosi”.
Il Fondo Sovrano non diventerebbe il gestore, bensì il principale azionista di queste società, fungerebbe da fondo di investimento indirizzando le imprese verso la redditività e l’efficienza, rifornendo in tal modo attività commerciali, servizi di qualità e aumentando l’occupazione professionale basata sul merito. Esistono numerosi modelli analoghi in tutta Europa, dalla Norvegia alla Slovenia, dove opera la Sovereign Holding slovena, con un mandato simile a quello che avrebbe il Fondo sovrano del Kosovo. Inoltre, il Fondo consentirebbe il rimpatrio del capitale esiliato, vale a dire il denaro fiduciario pensionistico, parte del quale verrebbe riorientato dai mercati finanziari esterni agli investimenti nelle grandi imprese del locali, dando al Kosovo un’iniezione di capitale indispensabile e potrebbe finalmente porre il capitale al servizio dello sviluppo del paese.
In secondo luogo, le imprese e le industrie affrontano elevati costi di finanziamento, mentre i comuni e gli altri enti pubblici non hanno la possibilità di contrarre prestiti agevolati per investimenti in progetti infrastrutturali come la costruzione di scuole, strade rurali, impianti di approvvigionamento idrico, reti fognarie ecc. Tale funzione verrebbe svolta da una banca di sviluppo, che elargirebbe finanziamenti alle grandi imprese, quelle piccole che vogliono trasformarsi in medie e a quelle medie che vogliono espandersi. La Banca di sviluppo è intesa come un ente che concede prestiti anche al governo locale, con crediti agevolati e rimborsi a lungo termine da destinare a progetti di pubblica utilità. Il finanziamento del capitale iniziale della Banca di sviluppo può essere parzialmente realizzato mediante buoni del tesoro, che attualmente consentono allo stato del Kosovo di ottenere prestiti a tassi di interesse molto più bassi rispetto a quelli del mercato commerciale.
L’attività della Banca di sviluppo non interferirebbe né competerebbe con l’attività del settore bancario esistente. Questo meccanismo diventerebbe una banca specializzata operante in aree al di fuori del settore bancario esistente, come la concessione di prestiti ai comuni e gli investimenti specializzati a lungo termine in settori ad alta intensità di capitale, energia e settore minerario, macchinari e tecnologia che migliorano la competitività delle imprese kosovare nei mercati esteri e in nuovi settori contenenti rischi elevati per l’investimento delle banche commerciali. Inoltre, a fianco delle banche commerciali e delle piccole imprese, che rimangono ancora i principali datori di lavoro in Kosovo, continuerebbe ad operare il fondo di garanzia del credito.
In terzo luogo, questi dispositivi non saranno sufficienti per raggiungere le aspirazioni di sviluppo del paese senza un adeguato coordinamento tra risorse governative, fondi di investimento, agenzie indipendenti e settore privato, in particolare le aziende che operano in manifattura, export e innovazione, senza i quali sarebbe impossibile smuovere l’immobilismo economico che pervade lo stato balcanico. Il coordinamento politico strategico e l’integrazione dell’approccio allo sviluppo possono essere raggiunti attraverso l’istituzione da parte dell’Assemblea legislativa dell’Agenzia di sviluppo del Kosovo. Tale agenzia, oltre ad integrare in un’unica istituzione le varie agenzie di regolamentazione e sviluppo già esistenti e distribuite tra i ministeri, (dallo sviluppo agricolo all’efficienza energetica), svolgerebbe una missione fondamentale di collegamento per una crescita rapida ed organico. Essa infatti coinvolgerebbe non solo il governo, ma anche l’Assemblea, le associazioni imprenditoriali e i sindacati, senza partecipazione dei quali, ogni riforma di sviluppo diventerebbe un vano esercizio burocratico e politico. L’Agenzia per lo sviluppo dovrebbe inoltre dar vita ad un istituto macroeconomico e sociale per la politica economica e di sviluppo, dotato di personale di ricerca professionale e apolitico, e che assisterebbe il processo decisionale in materia di politica economica su base empirica e obiettiva.
Un simile triangolo istituzionale: il Fondo sovrano, la Banca di Sviluppo e l’Agenzia di Sviluppo con le sue componenti secondarie completerebbe la riforma istituzionale interna che porterebbe il Kosovo da uno stato in via di sviluppo a un’economia dinamica che potrebbe presto raggiungere i livelli medi europei di sviluppo e benessere. Un simile traguardo non solo lo avvicinerebbe, ma velocizzerebbe il processo di integrazione economica del Kosovo nell’UE, poiché l’UE e i mercati europei cambieranno l’aspetto del Kosovo da un peso economico e sociale a un paese con grandi opportunità e potenzialità. E’ facile immaginare di conseguenza, una agognata ripresa del paese che lascerebbe finalmente l’abisso da cui non è riuscito ad emergere per due decenni, per diventare un luogo piacevole dove vivere, lavorare, innovare e se mi permettete, un modello di successo regionale ed europeo del cambiamento economico.
Besnik Pula è un Assistente Professore in Economia Politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche di Virginia Tech, negli Stati Uniti.
L’articolo è stato originariamente pubblicato in lingua albanese sul giornale Koha dal titolo “Programi zhvillimor i Qeverisë së ardhshme”. Traduzione di Boiken Sinaj