Il 15 gennaio del 1999 le forze speciali serbe uccisero 44 persone nel villaggio di Reçak, in Kosovo, in quel che è tristemente passato alla storia come “il massacro di Reçak” e che fu denunciato dalla comunità internazionale come crimine contro l’umanità.
Oggi, 21 anni dopo il tragico evento, il Kosovo e tutto il mondo ricordano le vittime di quel massacro che in seguito portò all’intervento della NATO per costringere il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic a ritirarsi dal Kosovo e fermare il genocidio in corso.
Il racconto del massacro
Proprio in quei tragici momenti, in Kosovo era presente l’inviato del quotidiano francese “Libération”, Pierre Hazan, il quale raccontò (con una serie di articoli come questo) le violenze perpetrate dalle forze serbe nel villaggio di Reçak
“Fai attenzione mamma, ti uccideranno.” – sono state le ultime parole di Halim Beqiri, 12enne colpito da un proiettile dietro alla nuca proprio accanto alla mamma che nel massacro perse anche il marito.
“Gli uomini sono stati divisi in alcuni gruppi. Circa 29 sono stati mandati fuori dal villaggio, dicendoci che ci avrebbero portato nella stazione di polizia. Si sentivano urla e grida da tutte le parti. L’altra parte del gruppo è stata mandata verso il ruscello dove la polizia serba era in attesa di ucciderli. Nella giornata di sabato, i corpi di questi uomini erano ancora uno sopra all’altro, nella posizione in cui erano stati uccisi.
Un massacro preparato ed eseguito a sangue freddo. Alle ore 17:00 i serbi si sono ritirati. I sopravvissuti iniziarono a muoversi. Una delle prime case del villaggio, vicino alla moschea, era quella di Banush Azem Kamberi, 62enne. Il suo corpo senza testa era posizionato vicino alla sua abitazione. Suo fratello cercava la testa, ritrovata più tardi dagli abitanti del villaggio.” – riferiva Azemi, cittadino del villaggio, al giornalista di Libération.
Nei suoi articoli, inoltre, Hazan riportò anche la testimonianza diretta di un rappresentante dell’OSCE presentato con lo pseudonimo di Mike:
“Intorno alle 15:45, le forze serbe si allontanarono dal villaggio e noi decidemmo di entrare a Reçak Una dozzina di civili erano lì in totale choc. Uno di loro ci porse qualcosa: era una parte di uno scheletro. Il nostro traduttore ci spiegò che l’uomo aveva appena trovato il cadavere di suo fratello, a cui la testa era stata completamente fratturata. Ci dissero che una 20ina di uomini erano stati arrestati, mentre una donna ci disse che erano mandati per essere condannati.” – affermava il rappresentante dell’OSCE.
Le testimonianze dirette continuano con quella del capo della missione OSCE in Kosovo, il generale William Walker:
“Accuso le forze di polizia e militari serbe di essere responsabili di questo massacro. Alcuni giorni fa, l’UCK ha rilasciato otto militari serbi. Ci aspettavamo una misura reciproca. E cosa abbiamo ricevuto? L’uccisione di 40 civili innocenti. Desidero sapere chi ha dato quest’ordine. Dovranno presentarsi davanti alla legge. Non sono uomo di legge, ma a mio parere è accaduto un crimine contro l’umanità.” – affermava Walker, che per queste parole fu dichiarato “persona non grata” dalla Jugoslavia.
La commemorazione delle vittime
Gli ambasciatori del Quintetto per il Kosovo (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno diffuso un comunicato stampa per commemorare il 21esimo anniversario del massacro di Reçak.
“Ventuno anni fa, il massacro che ebbe luogo a Reçak, spinse gli alleati della NATO a intervenire e a porre fine ad una catastrofe umanitaria.
Onoriamo il ricordo di coloro che persero la vita a Reçak e in tutti gli altri massacri in Kosovo, lavorando insieme per costruire un futuro di pace, giustizia e prosperità per le generazioni future. I governi del Kosovo e della Serbia devono garantire alle vittime e alle loro famiglie il pieno accesso alla giustizia e alle informazioni del destino dei loro cari.
I cittadini di tutte le etnie dovrebbero sentirsi a casa e liberi di vivere e lavorare in pace con i loro vicini. Come afferma la dichiarazione d’indipendenza di questo paese, il Kosovo è un paese impegnato a confrontarsi con il retaggio doloroso del passato recente in uno spirito di riconciliazione e perdono, dedicato a proteggere, promuovere e onorare la diversità della nostra gente. Il nostro obiettivo comune è sostenere continuamente il Kosovo in questo percorso.” – recita il comunicato congiunto delle ambasciate.
Polemiche e indignazione per le dichiarazioni di Vucic
Lo scorso dicembre, le dichiarazioni del presidente serbo Aleksander Vucic – il quale aveva definito il massacro di Reçak un “crimine inventato” – provocarono dure reazioni tra i rappresentati della politica albanese.
“Come si può ancora negare oggi un orribile crimine di guerra ben documentato. Perché è così difficile capire che fino a quando la Serbia vivrà in negazione della realtà del Kosovo, i fantasmi del passato continueranno a minare la strada della Serbia verso il futuro.
[…] Facciamo insieme ciò che tutti dovremmo: costruire la pace e la prosperità per tutti i nostri figli e iniziare a rendere la nostro regione un modello di riferimento.” – recitava il tweet pubblicato dal primo ministro Edi Rama e indirizzato a Vucic.
“Vedo funzionari serbi che negano uno dei peggiori crimini contro civili che sono avvenuti in Europa e confermato dall’ICTY, il massacro di Reçak. Le politiche di genocidio serbe non possono essere difese. Devono essere denunciate. La pace, la riconciliazione e la giustizia non possono essere costruite sulla base della negazione dei crimini.” – aveva twittato, invece, il presidente del Kosovo, Hashim Thaçi.