Se non è l’ultima spiaggia poco ci manca. Tra un possibile tracollo dell’Euro, una recessione ancora lunga e pauredi default può capitare che sulla stampa internazionale venga riservato poco spazio alla conferenza delle Nazioni Unite che oggi si apre a Durban in Sudafrica. Per la verità il silenzio dura da anni ma le insistenti conferenze sui cambiamenti climatici (Copenhagen 2009 e Cancun 2010) sembrano non produrre alcun effetto sulle autorità mondiali. Punture di spillo o poco più durevoli una manciata di giornate, giusto il tempo del dibattito. Peccato che il tempo scorra e la realtà anche quando nascosta torni a parlare inesorabile.“Non c’è più tempo” e questa volta non c’è davvero.In Sudafrica si terrà la Cop 17 l’ultima conferenza a disposizione per il rinnovo degli accordi di Kyoto quelli per il contenimento delle emissioni che sono all’origine dei cambiamenti climatici.
Al di là delle raffigurazioni più ottimistiche che molto spesso celano interessi il giudizio degli scienziati (verrebbe da definirli “tecnici” tanto per rovesciare un termine oggi tanto in voga) è categorico: in assenza di una rivoluzione, contenere il riscaldamento dell’atmosfera entro i 2° centigradi (l’obiettivo di Kyoto) è già oggi diventato impossibile .
In uno studio pubblicato su Nature , Joeri Rogelj dell’università ETH di Zurigo scrive: “in assenza di un’impegno fermo nel mettere in campo dispositivi capaci di provocare una rapidae significativa diminuzione delle emissioni globali, esiste il rischio concreto che l’obiettivo dei 2°C, che tante nazioni hanno accettato, ci sia già sfuggito.” Solo dal 1990 le emissioni mondiali di CO2 sono aumentate del 45% e non pare strano che gli scienziati di tutto il mondo, riuniti nell’International Panel on Climate Change (Ipcc) continuino a mettere in guardia i governi sulle possibili catastrofi che tale musica potrebbe generare se la sinfonia non compierà al più resto un cambio di scala. L’aumento globale delle temperature significherebbe desertificazione e scioglimento dei ghiacciai, fenomeni già in atto ai quali sarebbe offerta una sensibile accelerazione, conseguenze connesse: migrazioni climatiche e aumento significativo della violenza dei fenomeni climatici. Senza la presunzione di volere legare strettamente situazioni troppo complesse sicuramente un buon metro di giudizio ce lo offrono tutti gli sconvolgimentiche anche nel nostro paese hanno causato il dissesto di interi territori producendo morti e danni incalcolabili, specchio della fragilità delle nostre città intrappolate tra l’incuria e il mero profitto (le vere origini dei disastri) al punto da temere anche i fenomeni atmosferici di una certa intensità.Se la crisi del 2008 (dentro la quale siamo immersi acor più in profondità) provocò un piccolo rallentamento delle emissioni, oggi queste sono ripartite ad un ritmo catastrofico tanto da dipingere il 2010 come l’anno record per le emissioni dei gas serra a livello mondiale. Nonostante l’urgenza, a Durban, la conferenza si concluderà con il solito compromesso al ribasso, sostanzialmente ininfluente. Se al disinteresse della stampa si sommano le contrarietà di Usa e Cina e l’attuale debolezza dell’Europa le speranze non possono che essere estradate.
Il clima è un bene comune e come tale è contrario alle logiche di governance che le attuali istituzioni stanno applicando a livello globale. Si pensa alla crescita e al Pil. Ma quale crescita ci potrà essere ancora in un mondo che si avvia verso l’esaurimento delle risorse e che alle tempeste finanziarie dovrà per forza sommare una stagione di crescenti sconvolgimenti climatici?Riconversione industriale, transizione energetica, difesa del territorio e sostegno delle economie locali sono tutti temi che dovrebbero essere inseriti come priorità nei taccuini delle cancellerie mondiali, ma forse l’unico modo per non mutare il clima è quello di cambiare sensibilmente modello.