Le notizie si susseguono. Corrono come i cingoli della modernità lasciando dietro sé scie di devastazione, manganelli sui corpi, odore acre dei lacrimogeni. Si macinano paure incongrue in un futuro desertificato. È la modernità che si espande, che ara il suo terreno smantellando i sogni e le speranze. Non contano gli Stati e i loro popoli, si produce debito fabbricando schiavitù.
C’era un tempo in cui l’unione del continente era auspicio condiviso. Occorse una catastrofe per dargli alito, un continente pacificato nel quale gli stati non si scagliavano più l’uno sull’altro. Quel sogno l’abbiamo visto crescere lentamente, l’Europa, quella stessa che oggi sta osservando la sua fine.
La recente instabilità finanziaria è sotto gli occhi di tutti, crisi del debito e un bailout dopo l’altro hanno reso manifesta la fragilità della zona euro. Purtroppo non si tratta di tintinnii ma di squilibri strutturali risiedenti nell’impianto liberista del Trattato di Maastricht, in quella pretesa, che non è molto di più di un vero e proprio articolo di fede, di affidare ai soli meccanismi di mercato i riequilibri tra le varie aree dell’Unione e di una politica economica restrittiva e deflazionista.
In questo scenario anche ciò che era stato creato con lo scopo di unire per sempre l’Europa si è fatto spettro sul futuro del continente. L’Euro, la moneta comune, si sgretola. In molti già parlano a carte scoperte di fuoriuscita dalla zona euro e ciò che era considerato come dato acquisito fino a pochi anni fa, oggi è ridotto a carta straccia da un manipolo di banchieri e politici.
Non esistono molte possibilità e anche coloro ai quali è affidata la governance di questa crisi non sanno davvero che pesci pigliare, hanno solo qualche idea sulle correnti da depredare.
I ricorsi alla menzogna sono d’obbligo quando si propongono manovre lacrime e sangue. Non è semplice fare deglutire la rinuncia allo stato sociale, ai diritti, alle regole e alla sicurezza per fare tornare i conti in seno alle grandi banche.
A ben guardare però, lungi dall’essere una soluzione, ciò che viene richiesto è parte integrante del problema. Come possono gli Stati restituire i loro debiti se si saccheggiano in questo modo le loro economie? La risposta è sempre la Tina (There is no alternative) di thatcheriana memoria.
Ma in questo caso, più che in presenza di una falsa costruzione di immaginario, sembriamo immersi in una mirata decostruzione dell’esistente.
Le promesse nazionali risultano puro fumo negli occhi in quanto esiste, ormai, una res publica che oltrepassa i nostri confini. Le regole sono cambiate e chi si muove nelle stanze del potere non sono solo emanazioni dei governi ma individui che rispondono a geografie più vaste.
La democrazia, di fatto, è evaporata senza dare nell’occhio e non è un caso se nel cuore dell’Europa c’è un paese che ha già abbandonato la sua fase nazionale.
Il Belgio ha battuto ogni record. Da un anno a questa parte ormai è senza governo, fagocitato dai meccanismi dell’Unione. Si vota sì ma senza esecutivo. Non serve, gli affari dei funzionari statali si svolgono nel seno della Ue.
La sovranità popolare e la politica in senso compiuto sono perdute.
L’Europa non sta più in piedi e la sua govenance (mai effettivamente democratica, osservare ad esempio l’iter di ratifica della sua Costituzione) viene compromessa dal ruolo dominante delle istituzioni finanziarie e dalle agenzie di rating.
Gli attacchi si susseguono e la logica di Francoforte quella dei grandi centri del capitale finanziario globale sta entrando in rotta di collisione con quel patto sociale che che ha gestito i rapporti europei negli ultimi sessant’anni racchiusi in un contenitore nazionale.
Ove brindano le borse scendono le lacrime, perché sono i popoli ad essere diventati il problema per il capitale finanziario, sono i popoli che non sono capaci di vivere in questo sistema.
Ai greci ad esempio viene detto: vi siete indebitati, avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi?Bene adesso dovete pagare. Ridurre i salari, le pensioni, la sanità, la scuola, privatizzando tutto perché i debiti vanno pagati, quando i debiti sono pubblici poi….
Il conto della Grecia è di 350 miliardi più o meno, a noi per ora è stata chiesta solo una piccola manovrina correttiva da 50 miliardi in attesa di ulteriori turbolenze che arriveranno certamente. La danza funebre che si compie sul paese ellenico dura da tre anni e, al di là dei passi per ingannare l’attesa, il default è già nei fatti. Credere che la sola Grecia possa saziare l’appetito della finanza globale è giusto un moto di speranza poco utile alla comprensione.
L’obiettivo reale è la zona euro nel suo complesso. Parlare di Grecia quindi, è come parlare di noi, del nostro domani. Non si tratta dunque di una questione di pura solidarietà col popolo greco, di amicizia, si tratta di noi e il fatto non dovrebbe lasciare indifferenti. Il conti si pagano coi sacrifici, al popolo greco nulla viene offerto in cambio, solo di diventare superfluo, di cedere la propria sovranità. Si sono indebitati si dirà.
Giusto per ricordare, due anni e mezzo fa le principali banche occidentali rischiavano il fallimento, qualcuna ci ha rimesso le penne, per le altre la faccenda si è risolta piuttosto bene, i governi dei paesi occidentali stanziarono allora circa 3000 miliardi di euro nel salvataggio di questi istituti privati e dei loro profitti. Liquidità trenta volte superiore alla cifra che oggi viene negata alla Grecia. Richieste, nessuna.
Anzi, le retribuzioni dei grandi manager e dei banchieri sono ovunque in netto aumento. Nonostante il colossale aiuto pubblico, i loro lauti guadagni si sono visti aumentare di circa un 30% in un solo anno. Osservata da questa prospettiva, l’insistenza sull’austerità propugnata dalla troika Fmi, Bce, Ue non appare del tutto convincente, mentre il nuovo piano di euro-austerità, Euro Plus Pact sembra piuttosto erigere una nuova costituente delle relazioni sociali partendo dalla devastazione dei diritti finora acquisiti a cominciare dai paesi periferici.
Sbirciare cosa accade in Grecia dunque può offrirci quello sguardo privilegiato dal quale scorgere il nostro futuro. Domandiamoci quanti greci, effettivamente due anni fa, pensavano di ritrovarsi nella situazione in cui sono immersi ora.
L’intelletto è un miscuglio curioso: può pensare e può nascondersi al pensiero; possiede aree di visione e aree di cecità.
Quando il sentimento mostra una strada e l’intelletto, a causa delle forze di circostanza decide che siamo obbligati a prenderne un’altra, si tratta di una circostanza penosa che rientra sotto il termine ipocrisia.
Dalla Grecia in difficoltà qualcosa sbuca: un piccolo documentario costato 8mila euro svela proprio questa ipocrisia. Debtocracy , che da quando è stato messo in rete sotto libera licenza è stato visto da oltre un milione di persone, si presenta come una rivolta verso quella cultura della menzogna che oggi inchioda la maggior parte delle nostre scelte.
Con uno stile che non ha nulla da invidiare a Michael Moore, il documentario pone l’accento in particolare su un concetto: quello di debito detestabile.
In materia di diritto internazionale, tale concetto (debito detestabile), si propone come una giurisprudenza avanzata da alcuni autori. Essa, riferisce a un debito contratto da un regime che, di fatto, finanzi azioni rivolte contro l’interesse dei propri cittadini senza che questi ne fossero stati a conoscenza. Debiti dunque considerati in quest’ottica come debiti di regime, attribuibili a chi li ha contratti e non allo Stato per intero.
Storicamente, la dottrina del debito detestabile, è stata formulata da un ministro dello zar Nicola II, emigrato in Francia in seguito alla Rivoluzione del ’17, Alexander Nahum Sack che dieci anni dopo scriveva: “Se un potere dispotico contrae un debito non già secondo i bisogni e gli intressi dello Stato, ma per fortificare il suo regime dispotico, per reprimere la popolazione che lo combatte, questo debito è detestabile per la popolazione dello Stato intero.
Questo debito non è più obbligatorio per la nazione: è un debito di regime, debito personale del potere che l’ha contratto; di conseguenza, esso cessa con la caduta di quel potere.”Ancora prima, nel 1883, il Messico denunciò un debito contratto dall’imperatore Massimiliano, promulgando una legge chiamata “regolamento del debito nazionale” che dichiarava “Noi non possiamo riconoscere, e di conseguenza non potranno essere converti, i debiti emessi dal governo che pretendeva esistere in Messico tra il 17 dicembre 1857 e il 24 dicembre 1860 e dal giugno 1863 al 21 giugno 1867.”
Un altro esempio che il documentario riporta è relativo agli Stati Uniti che rifiutarono il pagamento del debito di Cuba contratto del regime coloniale spagnolo in seguito al Trattato di Parigi del 1898.
Nel 1982, la First National Bank of Chicago ricordò alle istituzioni finanziarie che: “Le conseguenze esercitate sugli accordi di prestito in seguito a un cambiamento di sovranità possono dipendere in parte dal’utilizzo dei prestiti attuati dallo Stato predecessore.
Se il debito del predecessore è giudicato odioso, vale a dire se l’ammontare del prestito è stato utilizzato contro gli interesi della popolazione, allora può essere che il debito non sia trasferito al governo successore.”Recentemente chi si è occupato di debito detestabile è stato il CISLD (Centre for International Sustainable Development Law) che, in un rapporto del 2003, ha definito i tre criteri fondanti il carattere odioso di un debito:
- L’assenza del beneplacito: il debito è stato contratto contro la volontà del popolo.
- L’assenza di benefici: i fondi sono stati spesi in maniera contraria agli interessi della popolazione.
- La conoscenza delle intenzioni del mutuatario da parte dei creditori.
Per ultimo il documentario accenna all’applicazione di questo concetto da parte degli Usa per sfuggire all’eredità del debito di Saddam Hussein in seguito all’invasione dell’Iraq nel 2003. Un modo per sottolineare come questo tipo di giurisprudenza sia stata adottata anche nel 21esimo secolo.
Ne sanno qualcosa forse gli islandesi che, in piena Europa, ma lontano dai riflettori hanno dato vita a una vera e propria rivoluzione e, in seguito a referendum, hanno rifiutato la restituzione di 4 miliardi a Gb e Olanda.
Sarà forse un caso se nessuno ne parla?
Il centro è cieco, la verità si vede dai margini.