Il Parlamento albanese ha bocciato ieri sera con 69 voti contro e 56 a favore, la proposta dei socialisti per l’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle elezioni del 2009.
La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle elezioni del 2009 non s’ha da fare. I negoziati tra maggioranza e opposizione nel fine settimana non hanno portato a nessun accordo, pertanto nella seduta parlamentare di ieri, per l’ennesima volta, i sofismi e la cacofonia politica hanno fatto da padroni. Da Nexhmije Hoxha, moglie dell’ex-dittatore Hoxha, a Marc Chagall e Harry Potter, dal codice d’onore dei montanari e le angurie coltivate a Tropoje, regione montuosa e luogo di nascita di Berisha, alle massime nell’ingresso della Facoltà di legge di Oxford, tutto fa brodo per demonizzare l’avversario e non adoperarsi per risolvere la crisi.
Gli schieramenti non si sono mossi dalle loro posizioni. Nulla di nuovo è stato aggiunto al dibattito in aula caratterizzato da accuse reciproche e dettagli sugli incontri avuti questi mesi tra le parti per trovare un accordo. I democratici rimangono fermi nelle due offerte fatte da Berisha ai socialisti durante la seduta di giovedì scorso: scegliere tra la proposta approvata il 19 marzo 2010 con i solo voti della maggioranza, oppure integrare i primi tre punti dell’ultima proposta dei socialisti con un quarto della maggioranza. La prima non converrebbe assolutamente ai socialisti. Per quanto riguarda la seconda, i democratici sarebbero d’accordo sull’istituzione della commissione, l’oggetto dell’inchiesta parlamentare e la maggioranza in senno alla commissione, concessa all’opposizione con la formula dei tre voti riconosciuti al suo Presidente. Dall’altra parte, come ha sostenuto Berisha, “l’inchiesta deve essere fatto ai sensi del Codice elettorale e delle sentenze della Corte Costituzionale”. Cosa significa? Nella scena politica, tanto e nulla allo stesso tempo: dipende chi le interpreta. Secondo Berisha, “la Corte Costituzione sancisce che l’oggetto dell’inchiesta deve essere chiaro e contenere fatti tangibili e gruppi di fatti”. Opinione sostenuta anche dal relatore democratico sulla proposta, il deputato Viktor Gumi, per il quale, tra l’altro, la Corte Costituzionale stabilirebbe in varie sentenze che le commissioni parlamentari d’inchiesta dovrebbero rispettare la divisione dei poteri, non indagare su casi per i quali si sono espressi i tribunali e non sostituirsi ad altri organi costituzionali. Una posizione che si è andata sofisticandosi in questi mesi di crisi. In parole povere significa, tra le altre cose, escludere dall’inchiesta tutte i ricorsi fatti dai socialisti nelle zone più calde e rigettati dal Collegio Elettorale della Corte d’Appello di Tirana tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 2009.
Invece per i socialisti, come ha sostenuto il Capogruppo Gramoz Ruçi, i fatti sono agli occhi di tutti, basta leggere la relazioni dell’OSCE sulle irregolarità riscontrate da loro durante il processo elettorale, e tutte le denunce tangibili fatte dall’opposizione al tempo delle elezioni. È il deputato Pandeli Majko, a fornire i motivi che spingerebbero i democratici a voler includere questa fatidica frase “secondo le sentenze della Costituzione Costituzionale”. Si vorrebbe trasformare la commissione “da una di inchiesta ad una di interpretazione per perdere tempo durante il suo operato su cosa significa fatto o gruppo di fatti e cosa si può indagare oppure no”. Dall’altra parte, il quarto punto dei democratici sarebbe andato a sostituire quello dei socialisti. Quest’ultimi volevano mettere bianco su nero l’obbligo della Commissione Elettorale Centrale di mettere a disposizione della Commissione d’inchiesta tutta la documentazione elettorale escluso le schede. Insomma, i democratici vogliono che l’inchiesta sia fatta rispettando anche il Codice Elettorale, e nella realtà dei fatti questo significa che, entro i 24 mesi dalle elezioni, la CEC dovrebbe decidere sulla destinazione del materiale elettorale sigillato nei contenitori dalla chiusura del processo elettorale: quale archiviare, quale riutilizzare e quale bruciare. Come sostenuto dai democratici in aula, anche se la CEC decide nella riunione del 29 dicembre, cioè oggi, su questo punto, la Commissione può rivolgersi all’Archivio di Stato per avere la documentazione necessaria. Ma i socialisti non ci stanno perché significherebbe aver manomesso il contenuto, adesso che vogliono indagare solo sulla documentazione senza l’opzione del riconteggio delle schede elettorali.
Ed è proprio sul riconteggio che maggioranza ed opposizione si sono cimentati in uno dei sofismi di turno. Il Capogruppo dei socialisti Ruçi ha voluto ripetere in aula le parole del suo leader Edi Rama, secondo il quale, i socialisti non avrebbero mai chiesto il riconteggio dei voti ma solo indagare sul processo dello scrutinio. Sarà stata un errore di comunicazione allora, perché lo slogan “Voglio vedere il mio voto”, uno dei tanti usati dai socialisti i primi mesi delle proteste, parla chiaro. Invece Berisha, da sempre contrario al riconteggio, adesso che i socialisti non lo includono più nella loro proposta d’inchiesta, li ha invitato “di non ritirarsi e ricontare ogni voto, per dimostrare come sono stati adempiuti gli standard nelle elezioni del 2009”.
Alla fine, il Parlamento ha votato la proposta come presentata dai socialisti e l’ha bocciato con 69 voti contrari, 56 a favore e 1 astenuto. E prima di chiudere la seduta anche la risoluzione dei democratici a seguito della mozione dei socialisti sull’opinione della Commissione europea sullo status di paese candidato, non prendendo in considerazione quella avanzata dai socialisti. A nulla è valsa l’opposizione di Gramoz Ruçi, secondo il quale, non è stata rispettata la procedura. La mozione e la risoluzione sono stati presentati dai socialisti per primi, pertanto se mai si doveva votare la risoluzione dei socialisti con gli emendamenti fatti dai democratici. Allora considerala così, gli ha risposto la Presidente dell’Assemblea Jozefina Topalli, sciogliendo la seduta e augurando un buon anno a tutti. Sarà?