Il 23 giugno si terranno in Albania le elezioni parlamentari. Oltre un milione e mezzo di elettori si recheranno alle urne per decidere chi governerà il Paese nei prossimi quattro anni, decisivi per ottenere lo status di candidato all’Unione Europea.
Per l’uscente governo democratico dell’attuale Premier Sali Berisha, si tratterebbe del terzo mandato consecutivo in caso di vittoria; invece i socialisti all’opposizione, guidati dal loro leader Edi Rama, ex-sindaco di Tirana, cercano di risalire al potere dopo otto ardui anni.
Già dai rispettivi slogan elettorali dei due maggiori partiti politici si potrebbero desumere due ottiche assai differenti sulla situazione in cui si trova “Il Paese di fronte”. Il PD -che in Albania rappresenta la destra- tuona infatti con un entusiastico “Avanti”, sottintendendo che il Paese delle Aquile ha già fatto progressi, per cui serve un altro mandato per poter dare seguito a questa politica nel nome della continuità. Il PS, dall’altro lato, emerge con un richiamo diametralmente opposto: “Rinascita”: ciò significa che per l’opposizione l’altra sponda dell’Adriatico è invece tutta da rifare.
A differenza del post-elezioni del 2009, quando Ilir Meta, insieme al suo partito LSI (Il Movimento Socialista per l’Integrazione), passarono da tenaci oppositori ad alleati che permisero a Berisha di formare una maggioranza parlamentare, in vista delle elezioni di giugno la situazione si è capovolta. Così ora l’irriducibile Primo Ministro si trova a fare i conti da un mese con l’assenza del socialista minore, terza forza parlamentare e incisivo nel formare i governi. Infatti, Meta ha stretto un’alleanza preelettorale con il PS, insieme ad altri 36 partiti, di fronte all’alleanza del PD con altri 25 soggetti politici; è un altro capovolgimento, questo, rispetto al 2009, quando una situazione identica era invece a favore della destra. La coalizione di destra si stringe attorno allo slogan “l’Alleanza per l’Occupazione, il Benessere e l’Integrazione”, il che indica la via maestra da seguire dopo il 23 giugno, mentre la sinistra risponde per le rime con “l’Alleanza per l’Albania Europea”.
Dalle prime battute elettorali non si può non notare un abbassamento della guardia di Berisha: la sua campagna si sta incentrando su un leggerissimo senso di mea culpa. Infatti, non sono rare le occasioni in cui egli ammette che non tutto è stato rose e fiori e che resta ancora tanto da fare. E chi è a conoscenza della linea sempre seguita dall’eterno leader democratico sa benissimo che si tratta di un cambiamento radicale di rotta.
Un altro elemento da segnare sul taccuino è il fatto che per mostrare le imprese del governo, durante gli spot televisivi, il Premier non si mostra in prima persona ma si affida alla vox populi, differentemente dal suo oppositore Rama, che ha scelto invece di caricarsi sulle spalle tutto il peso delle promesse fatte. Entrambe sembrano scelte da laboratorio, di consulenti stranieri e costosissimi, esperti in materia che entrambi i leader non si sono risparmiati di mettere a capo delle rispettive squadre elettorali.
Ma intanto, la Commissione Centrale Elettorale, l’organo supremo che dovrebbe amministrare le elezioni, si trova ad agire con i soli membri proposti dall’attuale maggioranza governativa, a causa delle dimissioni date dai membri proposti dall’opposizione, a seguito all’esonerazione di uno di essi da parte del Parlamento, tramite una procedura assai discussa.
Stando così le cose, secondo il codice elettorale la situazione potrebbe paralizzarsi, sicché molte decisioni durante e dopo le elezioni, la Commissione li può adottare solo a maggioranza qualificata. Fin ora non ci sono stati segnali incoraggianti verso lo sblocco di questo inconveniente, e la diplomazia statunitense, molto presente nel Paese, si è già mossa per cercare di mediare una soluzione.
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