Famoso storico, il professor Arben Puto, è uno dei piu’ proliferi nel campo degli studi storici. Dall’alto dei suoi 87 anni puo’ ritenersi soddisfatto della collana delle opere che ha gia’ realizzato, opere che gettano luce su aspetti e fenomeni rilevanti della storia del nostro paese e della regione balcanica, sui rapporti internazionali e la diplomazia. In questa intervista a Mapo, egli accetta di parlare anche della situazione politica attuale, il censimento sulla base etnica, l’Accademia delle Scienze e la questione della minoranza greca.
Professore, siamo in campagna elettorale e giustamente l’interesse si concentra sul suo andamento. Come sta vivendo Lei queste settimane prima delle elezioni? In che modo reagisce un accademico a ciò che molto spesso in modo violento e polemico, avviene attorno a lui?
Come ogni cittadino di questo paese, seguo con preoccupazione gli eventi politici. La campagna elettorale è stata gravemente compromessa da casi di violenza. Speriamo che le parti ragionino e trovino un equilibrio in questo confronto elettorale. Sono d’accordo con l’appello da parte del presidente della Repubblica per un’atmosfera più rilassata, un linguaggio più moderato e civile. Lo trovo molto giusto. La violenza verbale genera violenza fisica. Potrebbe trasformarsi in un escalation e anche portare ad eccessi con conseguenze gravi.
Trovo giusto anche l’appello fatto negli ultimi giorni dal Primo Ministro, a porre fine agli attachi personali tra gli avversari politici. Questo e’ ancora piu’ importante detto dal Primo Ministro, il quale parla al nome del governo che ha il compito principale nella gestione delle elezioni.
Il rispetto per la legge e un impegno più serio da parte del governo sono fondamentali per ridurre le tensioni e normalizzare la situazione prima che vada fuori controllo.
Il Primo Ministro si e’ rivolto al suo avversario politico, invitando a non usare piu’ insulti, umiliazioni, violazioni della privacy. Egli ha trovato un’espressione figurativa di Faik Konica, molto adatta alla situazione, che dice “ogni lingua ha un cesto di parole sporche“. Che non si metta la mano in quel cesto. Vogliamo credere che questa sia una riflessione del Primo Ministro, che lo spinga a rinunciare a questa pratica non corretta, a non mettere piu’ le mani in quel cesto. Intendiamoci, questa non e’ una polemica, e’ sincera preoccupazione di ogni cittadino per l’immagine del paese e per una communicazione civile anche in politica. Soprattutto in politica.
C’ è un nuovo elemento a margine della campagna elettorale, l’iniziativa per Tirana. Può servire questa iniziativa come un elemento razionale nella campagna?
In linea di principio, come una possibilita’ di occuparsi dei problemi di Tirana, l’idea e’ buona. Ma l’iniziativa e’ unilaterale, solo da una parte. Da quello che si vede dai primi incontri, la riunione sta assumendo il carattere di una manifestazione da parte di un candidato. E’ nota la tendenza degli organizzatori, ma la chiariscono ancora di piu’ la maggior parte dei partecipanti, anche se qua e la’ si sente qualche voce critica “indipendente”. In breve, questo è parte della campagna del candidato della maggioranza. I partecipanti non hanno davanti a loro il candidato, ma il sindaco eletto. Essi danno il loro parere su come fare meglio il suo lavoro. Il voto dei partecipanti non e’ piu’ segreto. Loro hanno votato prima del 8 maggio. Ovviamente questo è un successo di Basha.
Lei sta scrivendo un nuovo libro sulla guerra greco-italiana e sul fenomeno del collaborazionismo. Puo’ raccontarci del suo contenuto?
Questo e’ un libro sulla guerra greco-italiana del 1940-1941. Io la tratto come una parte della nostra storia durante la seconda guerra, sotto l’occupazione italiana, poi quella tedesca. Gli sviluppi sul fronte della guerra non sono inclusi in questa visione. L’attenzione si è concentrata sulla situazione creata all’interno del paese e a livello internazionale. Un elemento chiave e’ il collaborazionismo con gli invasori, il comportamento e l’attivita’ dei governi fantocci, che hanno agevolato la missione degli invasori, compromettendo seriamente il futuro del paese.
Diverse volte si e’ preteso che questi governi collaborazionisti avessero raggiunto un obiettivo primario: aver ottenuto l’unita’ nazionale, aver corretto le ingiustizie del passato, aver creato “la Grande Albania” con il Kosovo e la Çameria unite al paese d’origine. I governi fantocci hanno cercato di legittimare il collaborazionismo, a nome del nazionalismo albanese per l’unita’ nazionale. Ma in quelle circostanze non si poteva parlare di “unita’ nazionale”. Era falso, illusorio, una finzione. In realta’ la Grande Albania era un estensione territoriale dell’occupazione, era una finzione.
L’irredentismo, se non e’ stato un ambizione rampante per il potere, sacrificando anche l’indipendenza, è stato una cecità politica estrema per la semplice ragione che i confini non si definiscono, tantomeno si cambiano in tempo di guerra. Stavano facendo un gran danno, schierandosi dalla parte di Italia e Germania, degradando così la posizione dell’Albania nella Seconda Guerra Mondiale, da vittima dell’aggressione, a parte combattente belligerante accanto alle potenze dell’Asse, che è stato sconfitto. Con il loro attegiamento e la loro attivita’, i collaborazionisti fornivano argomenti “prova” che l’Albania era un’alleata dell’Asse e per questo doveva pagare.
In questo libro ho scritto un capitolo a parte sulla Conferenza di Pace di Parigi del 1946. La’, la Grecia porto’ appunto questi argomenti sull’Albania come alleata dell’Asse, paese sconfitto in guerra, per annettere l’Albania del Sud (Vorio-Epiro). Tutta la piattaforma della delegazione greca alla conferenza si basava su questi argomenti. Non ci sono mai state cosi tante possibilita’ per la Grecia come in questa conferenza, di raggiungere il suo obiettivo. Aveva fallito due volte Venizellos, sia nel 1912-1913, che alla Conferenza di Pace dopo la Prima Guerra Mondiale. Questa terza poteva essere la volta buona.
Ma nel corso del dibattito in occasione della conferenza divenne chiaro che l’argomento più forte è stata la resistenza albanese. La Guerra di Liberazione Nazionale, che schierava l’Albania a fianco della Coalizione Antifascista. Di conseguenza, l’Albania si salvo’ da una nuova invasione ed è stata riconosciuta in quanto firmataria del Trattato di Pace con l’Italia del 1947, come stato vincitore.
A dire il vero, c’e’ una cosa che mi preoccupa quando tratto questo argomento, perche’ criticando l’irredentismo, potrei essere frainteso, rimproverato per non prendere in considerazione l’idea della grande unità nazionale. La questione è semplice. Si tratta del periodo della guerra sotto l’occupazione. Oggi e’ un altro tempo. Ci sono una serie di fattori della nuova realtà, in cui l’Unità Nazionale apre nuove strade e dà speranze per uno stato comune della nazione albanese. L’Albania ne esce intatta, il Kosovo si sveglia e comincia una resistenza cosciente contro il dominio serbo, trova il supporto internazionale per l’autodeterminazione, si libera e diventa stato a parte con una frontiera in comune con il paese di origine. Ora e’ il momento che “I giovani dell’ Autodeterminazione” richiedano un Kosovo senza tutela internazionale. È il momento in cui lo scienziato visionario Rexhep Qosja alza la voce e s’impegna con passione per l’Unità Nazionale. Speriamo che arrivi il giorno in cui il messaggero del futuro dica la sua dalla tribuna del Parlamento.
Recentemente si sta parlando e discutendo molto sul censimento della popolazione. In particolare: bisogna includere nel censimento anche la dichiarazione di etnia?
Ho seguito il dibattito dagli inizi. Il suo punto cruciale si concentra sulla dichiarazione secondo la volontà individuale. Questo e’ giusto? Questo problema, specialmente qui nel nostro paese, ha a che fare con la questione delle minoranze. Non e’ un problema dei membri di minoranza. E’ un loro diritto incontestabile che loro abbiano il loro posto nel censimento come membri del rispettivo gruppo etnico.
Tuttavia durante il dibattito e’ stato espresso il parere che è diritto di tutti dichiarare la propria nazionalità, secondo la propria volontà. Per esempio, che uno con nazionalita’ albanese si dichiari parte della minoranza greca. Questo è in contrasto con il diritto delle minoranze, come soggetto di diritti umani nel più ampio contesto del diritto internazionale.
C’è una definizione della nozione di minoranza in generale?
Si discute da tempo di questo problema. Le minoranze hanno attirato l’attenzione relativamente tardi, nelle Nazioni Unite, dopo la Prima Guerra Mondiale, quando ci furono molti cambiamenti di confini e diverse nazioni si sono trovate sparse in tanti stati. C’e’ mai stato il bisogno di definire la minoranza? Che cos’e’ la minoranza? Il dibattito si è svolto in molti convegni internazionali, ma ci sono stati pareri contrastanti e non è stato possibile ad arrivare a accettare una definizione precisa della nozione di minoranza.
Questo si spiega con il fatto che molti paesi sostengono di avere popolazione omogenea e non riconoscono le minoranze. Ad esempio, la Francia, la Bulgaria, la Romania e la Grecia stessa.
Vi è un atto internazionale apposta per le minoranze, come la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, adottata dal Consiglio europeo nel 1994. La Convenzione ha evitato di dare una definizione. Tuttavia, l’Assemblea Parlamentare ha sviluppato un protocollo in cui si è riusciti a dare una definizione. Secondo questa definizione, minoranza nazionale è un numero di persone che a) risiedono nel territorio di uno stato e sono suoi cittadini; b) mantengono vecchi legami stabili con questo paese, ma c) manifestano caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche particolari.
Il progetto, in questa definizione, individua due critteri: oggettivo e soggettivo. Non basta dichiarare l’appartenenza etnica, senza il supporto di dati oggetivi: qual’e’ l’origine, qual’e’ la lingua, quali sono i legami familiari.
Che cosa si può dire allora sulla questione delle minoranze in Albania?
Qui da noi, il dibattito ha assunto un carattere forte, a causa di sforzi compiuti da certi ambienti greci per aumentare artificialmente il numero della popolazione della minoranza greca. Nel libro che ho citato, dedico uno spazio particolare alla politica di anessione greca con il Vorio-Epir, che viene accompagnata da una campagna ossessiva anti-albanese con aperte connotazioni razziste.
Alla fine, nonostante i suoi vecchi tradizionali legami sul piano internazionale, la Grecia ha fallito. Ma non si e’ tirata indietro. Dopo la firma della Pace con l’Italia, che sanciva l’integrita’ territoriale dell’Albania, il governo greco dichiaro’ che non l’avrebbe riconosciuto, in quanto non aveva ottenuto l’Epiro settentrionale. In realta’ la questione ha sempre avuto un posto nell’agenda diplomatica greca. E continua tuttora ad averlo.
Non e’ piu’ tempo di rivendicazioni territoriali, non si tratta piu’ di spostamenti di confini. Ma l’obiettivo e’ lo stesso: di ampliare la zona di influenza greca, attraverso l’aumento artificioso della popolazione della minoranza, il porre dei memoriali della presenza greca in nuovi spazi, come la questione delle tombe su altre tombe, la questione di Himara e Korça. E il problema è che nessuno governo albanese in questi 20 anni e’ stato in grado di resistere alle pretese greche, né per le scuole aperte un po ‘ovunque, ne’ per le visite provocatorie di parlamentari che esprimono la loro soddisfazione per far visita alla “patria”, ne’ per l’accordo sullo spazio marino. Speriamo che non si faccia un uso improprio del censimento per le medesime finalita’. Non si può negare a nessuno il diritto di dichiarare la propria etnia, ma i criteri oggettivi hanno il peso principale sulla bilancia.
Alla fine, si puo’ avere la convinzione che da noi, la maggioranza ha fiducia nella nuova situazione creatasi in Europa e nei Balcani, che le animosità e i conflitti del passato non tornerano piu’, che si sente una forza nuova senza contrattempi nelle relazioni greco-albanesi. Ma senza leggi di guerra.
Come giudica la situazione presso l’Accademia delle Scienze oggi?
A dire il vero non conoscevo bene la situazione nell’Accademia delle Scienze, perche’ ne ero entrato a fare parte relativamente tardi. Ma mi sono fatto un’idea di essa dopo la cosiddetta “Riforma”. I dirigenti dell’Accademia non escludevano la riforma. Si trattava di una nuova relazione tra il centro e gli istituti. Ma questa “riforma” è inquietante. A mio parere, il problema non è la separazione degli istituti dall’accademia, come istituzione centrale.
Erano istituti con un certo prestigio ed efficenti: Istituto di Storia, Linguistica, Archeologia, Cultura Popolare nel campo delle Lettere e Filosofia. Istituti altrettanto consolidati nel campo delle Scienze Tecniche: Istituto di Sismologia, Nucleare, Idrologia. Gia’ cosi la lista e’ sufficiente. Il problema oggi è che questi istituti sono quasi inesistenti. I fondi sono stati tagliati, non ci sono pubblicazioni, non ci sono piu’ le riviste prestigiose di albanologia, non vengono erogati fondi sufficienti, viene tagliato il personale. Per la direzione degli istituti vengono scelti militanti di partito. Questo e’ evidente soprattutto nel Centro Albanologico, dove la direzione e’ stata affidata a un ricercatore noto come bravo e preparato, ma che non ha nulla a che fare con l’albanologia. Di conseguenza vi è un significativo regresso nei studi albanologici.
Il mondo accademico dovrebbe esprimere con piu’ forza la preoccupazione per questa situazione, per le conseguenze devastanti di questa riforma. E’ arrivato il momento per gli ambienti Scientifici di intensificare gli sforzi affiche’ le autorità siano più sensibili al bisogno del recupero urgente degli istituti.
Intervista di Skënder Minxhozi. Pubblicato sulla rivista MAPO. Titolo originale “Arben Puto – Plani grek për regjistrimin etnik dhe qeveritë shqiptare ”.
Tradotto per Albania News da Armela Kalemi