Quando Aleksander Meksi, il primo ministro albanese dopo la caduta del regime comunista, ha visto recentemente la documentazione che la polizia segreta comunista, la Sigurimi, aveva preparato su di lui, è rimasto molto sorpreso di come lui e la sua famiglia non siano andati in prigione.
Nel 1982, quando la Sigurimi inizia ad interessarsi a lui, Meksi era restauratore nell’istituto dei monumenti culturali.
La polizia era stata informata che Meksi aveva espresso critiche nei confronti del regime ma aveva bisogno di ulteriori prove per metterlo in prigione. Quando lui e sua moglie iniziarono a capire che la Sigurimi era alle loro spalle, iniziarono ad evitare conversazioni profonde con amici, parenti, vicini e colleghi e non menzionarono più alcun problema politico nella loro casa a causa dei ‘muri con le orecchie’ che erano diventati una realtà quotidiana per tutte le famiglie.
Oggi, a quasi trent’anni dalla caduta del regime, molti artisti utilizzano lo slogan ‘muri con le orecchie’ per avviare un più ampio dialogo sul passato comunista del paese. In questo contesto si inserisce il progetto ‘Even Walls Have Ears’, che sarà presentato in anteprima l’8 Maggio attraverso una raccolta delle storie dei sopravvissuti del regime. Seguirà la pubblicazione di un libro delle loro storie personali, insieme ad un documentario in cui le vittime raccontano le loro esperienze. Quest’ultimo verrà anche presentato a festival internazionali.
Una missione per la verità
Alketa Xhafa-Mripa, artista nata in Kosovo, guiderà la campagna artistica. Lei spera che la campagna porterà ad un maggiore riconoscimento pubblico e alla consapevolezza del passato repressivo dell’Albania, a livello internazionale e nazionale.
Uno degli obiettivi principali del progetto, infatti, è la creazione di una memoria visiva riguardo il comunismo albanese in lingua inglese, al fine di connettere i sopravvissuti non solo all’interno del paese ma anche a livello internazionale.
La psicosi dell’essere sotto sorveglianza
Agron Tufa, scrittore e direttore dell’istituto per gli studi sui crimini comunisti, crede che il terrore diffuso dai comunisti in Albania sia stato così potente da distorcere la coscienza delle persone. Sotto il regime di Enver Hoxha furono imprigionate circa 18.000 persone, di cui circa 6.000 furono giustiziate.
Secondo Tufa, per sopravvivere alla sorveglianza, le persone hanno smesso di comunicare liberamente e questo ha lasciato gravi conseguenze sulla loro psiche. L’evitare conversazioni potenzialmente incriminanti per un decennio è stato il fardello di quasi tutte le famiglie, compresa quella di Aleksander Meksi che ricorda ancora oggi quei momenti:
“Ogni pomeriggio uscivamo per una passeggiata molto lunga con nostra figlio nel passeggino, per evitare ogni possibile visita a casa e il parlare apertamente l’un con l’altro” – ricorda Meksi.