Il centro-sinistra trionfa nelle elezioni politiche: il PS si riconferma primo partito, il LSI fa salti da gigante e il PD subisce una sconfitta pesante.
La coalizione di centro-sinistra ha trionfato nelle elezioni politiche del 23 giugno scorso: 84 mandati contro i 56 della coalizione di centro-destra del Governo uscente. Il Partito Socialista guidato da Edi Rama si è aggiudicato il primato come forza principale politica ottenendone 66, mentre il Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI) si è accaparrato 16 mandati. Gli altri due mandati sono andati ai partiti minori della coalizione: uno all’Unione per i Diritti Umani (PDBNJ) dei minoritari di Vangjel Dule e l’altro al Partito Cristiano Democratico (PKDSH), formazione di centro-destra, ma alleato con i socialisti in questa tornata elettorale.
Di fatto, per il PS si tratta di un mandato in più rispetto alle elezioni del 2009 e il suo slogan “Rinascita”, grazie anche al sistema elettorale vigente, si adatta meglio al LSI di Ilir Meta che dai 4 mandati del 2009 ha qudruplicato il bottino. Il LSI ha segnato la maggiore progressione anche in valori assoluti, ossia 105 mila voti in più rispetto ai 70 mila del 2009. Invece il PS ha ottenuto 91 mila voti in più e il Partito Democratico di Sali Berisha ha subito una sconfitta pesante con un calo di 85 mila voti rispetto al 2009, ovvero il 9.4% in meno. Tenendo conto che tranne il PD, tutti i principali partiti della coalizione di governo uscente hanno segnato una crescita (LSI, ma anche il PR o il PDIU), e che l’affluenza alle urne è cresciuta del 3% rispetto al 2009, sembra che il voto degli albanesi è stato un “NO” a carattere referendario contro Berisha.
In molti sono rimasti sorpresi dal successo del LSI di Meta che fino al Primo Aprile scorso ha governato insieme a Berisha. Sembra che Meta abbia preso tutti i meriti degli ultimi quattro anni di governo al contrario del suo ex-alleato che ne è uscito sbaragliato. Ciò, oltre all’assoluto protagonismo ed autoritarismo di Berisha, potrebbe derivare anche dal fatto che il suo partito ha sempre deciso sulle politiche nazionali incluso gli investimenti strategici e la distribuzione delle risorse. Invece, il LSI di Meta le ha semplicemente ratificate, senza prendersi sulle proprie spalle nessuna responsabilità per le grandi politiche del Paese. Dall’altra parte, il LSI ha diretto alcuni dei Ministeri di peso durante l’ultima legislatura, accumulando un capitale politico immenso grazie ai favori politici concessi ai suoi militanti.
Oramai è indubbio il fatto che Meta sia considerato la via di mezzo tra Berisha e Rama, l’ago della bilancia tra le due grandi forze politiche, ovvero un elemento di freno per le loro ambizioni illimitate, constatazione che si è sicuramente tradotto in un ulteriore raffica di voti dagli indecisi e non solo. Tuttavia, non stiamo parlando della Norvegia: si deve tener conto anche di una zona grigia, ossia dei fondi pubblici appropriati dal suo partito e utilizzati come mezzo per allargare il proprio elettorato. Per capirlo basta andare in giro per Tirana e chiedere ai votanti del LSI il movente del loro voto.
Qualcuno di essi mi ha confessato che il LSI lo abbia sovvenzionato, pagandogli tutte le tasse di una Università privata per tre anni, ovviamente in nero e non tramite procedure previste legalmente. Questo e le assunzioni nella pubblica amministrazione centrale e locale che in Albania avviene “formalmente” attraverso i concorsi pubblici potrebbero essere tutto sommato elementi sufficienti per spiegare la crescita di un partito che governa ma che non rende conto del suo operato, dato che nessuno glielo chiede.
Dal canto suo, dopo 8 anni di governo e 23 anni alla guida del PD, Berisha ha dato le dimissioni da tutte le funzioni di partito, ma rimarrà in ufficio fino alla elezione del nuovo leader. Inoltre, governerà fino alla formazione del nuovo parlamento e governo a settembre, come previsto dalla costituzione.
Tra i papabili come nuove leader del PD c’è Lulzim Basha, sindaco di Tirana, ex-compagno di università ed ex-collega nell’amministrazione internazionale in Kosovo della figlia di Berisha, forse una delle ragioni fondamentali della sua ascesa al potere dal 2005 ad oggi, compiendo un incredibile salto in alto: da semplice membro del PD a ministro delle infrastrutture, degli esteri, poi degli interni e infine a Primo Cittadino di Tirana.
Ora che Berisha “non c’è” dobbiamo stare attenti a non permettere che Rama presenti gli stessi orientamenti semi-dittatoriali del suo predecessore, sempre tenendo d’occhio Meta, che rischia di diventare una sorta di Tayllerand, il ministro presente in ogni governo francese sia ai tempi della Monarchia sia durante la Repubblica napoleonica. Come sostiene Fatos Lubonja, il voto albanese ha condannato le tendenze dittatoriali ed autoritarie, ma non il sistema di corruzione, un modello societario nell’Albania di oggi. Per quest’ultimo servirebbe una rivoluzione democratica alle urne che si spera l’Albania sarà pronta ad accoglierla alle prossime elezioni politiche. Fin ad allora, si deve segnare al taccuino, che – forse – dal 1992, quelle del 2013 sono state le elezioni più democratiche e libere in Albania, e se a questo progresso il nuovo parlamento ci mette anche il dialogo e la collaborazione interpartitica, lo status di Paese candidato concessa da parte del Consiglio Europeo non sarà che una formalità.