Dopo la caduta del regime comunista, le elezioni del 23 giugno scorso sono senza dubbio l’avvenimento più importante nella storia del pluralismo politico in Albania. Tuttavia, queste elezioni non dovrebbero essere considerate come un punto di arrivo, si tratta semplicemente di un inizio promettente. La nostra democrazia non si è maturata quest’estate, ma ha cominciato a dare prova del fatto che sta mettendo sane radici.
Ora come ora sembra che la sinistra albanese abbia vinto. Chiunque siano i vincitori, mi auguro che i festeggiamenti siano i più modesti possibili e non durino più del dovuto perché li attende un lavoro da capogiro.
La destra sembra abbattuta, ma ciò non dovrebbe sorprenderci in quanto sotto molti punti di vista il Partito Democratico ha assunto da anni le raccapriccianti sembianze del Partito del Lavoro e sembra che Berisha pensi e decida su tutto. In particolare negli ultimi tempi, Berisha si era circondato da un branco di servili (come succede quasi sempre con i capi delle formazioni politiche in Albania e Kosovo, i quali considerano i partiti che hanno ereditato o fondato come proprietà privata), che in nome degli interessi personali adulavano fino alle stelle questo “glorioso” condottiero, proprio come facevano in altri tempi i cortigiani ed i militanti con Ahmet Zogu ed Enver Hoxha.
L’errore più grande della destra albanese, e in questo non sono gli unici peccatori, è stato quello di credere che il popolo sia un branco di pecore da mandare verso il fiume ogni qual volta non volevano bagnarsi i loro piedi.
Il nostro popolo è stato illuso e deluso spesso dalle cosiddette guide visionarie in questi 100 anni di stato albanese. Anche se non siamo più occupati e fino ad un certo punto indipendenti dagli altri, noi albanesi non ci siamo liberati ancora dalle nostre catene.
Lasciando da parte il patriottismo folkloristico sullo spirito libero degli albanesi, la nostra inerzia e indifferenza nei confronti dello stato potrebbe trovare spiegazione nel fatto che – escluso qualche breve periodo – a partire dall’occupazione romana del II secolo avanti Cristo siamo sempre stati sotto l’occupazione di altri. La sindrome del potere illimitato ha lasciato segni nella nostra psicosi, ma le conseguenze, seppur sempre in democrazia, sono difficili da curare immediatamente, soprattutto in una democrazia che sradichiamo dalle radici ogni volta che piantiamo un nuovo alberello.
Questo è il motivo per cui ogni idealista o avventuriere che si è impegnato nella politica albanese negli ultimi 100 anni non ha avuto difficoltà ad autodichiararsi monarca o considerarsi tale dai successori in un momento in cui il monachismo si è disgregato e continua a vagare come anacronismo nelle democrazie occidentali.
E’ un vero peccato che le tre figure dominanti nel primo secolo dello stato albanese – Zogu, Hoxha e Berisha – non abbiano avuto il senso dell’autocontenimento in determinati casi in modo che il contributo che hanno dato in certi momenti della loro carriera politica a vantaggio della patria non scomparisse per via delle loro azioni riprovevoli, causando gravi conseguenze per la politica albanese e la coesione dello stato e della nazione.
I risultati del 23 giugno non sono merito solo della sinistra: la sinistra avrà sicuramente l’occasione di dimostrare se giustifica il mandato del popolo. Più che un voto di fiducia per la sinistra, il 23 giugno è una sorta di protesta contro una cricca che si è identificata in diatribe ipocrite e congiunturali su una serie di questioni tanto delicate quanto irrealizzabili attualmente sia sul piano statale sia su quello nazionale, con l’unico scopo di perpettuare la propria permanenza al potere.
Questa cricca ha attribuito una connotazione negativa ed ha alterato profondamente il concetto stesso di “democrazia”, di cui si è appropriato in modo esclusivo. E’ questo uno dei motivi principali per cui la democrazia rimane tuttora un ideale amatoriale per noi albanesi. Non potrebbe accadere diversamente dal momento che continuiamo a lottare per costruire quello che sarebbe utile a tutti noi ossia uno stato funzionante giuridicamente in cui nessuno venga posto al di sopra della legge.
Il 23 giugno pone fine a una neo-dittatura albanese dai tratti fascisti fino ad un certo punto. Lo stato albanese negli ultimi decenni, in particolare durante le elezioni del 2005, è diventato la roccaforte del feudalismo parrocchiale in cui regna una mentalità tribale, un’arroganza disgustosa e la pericolosa tendenza a riscrivere la storia. Noi ci siamo quasi abituati a considerare normale ciò che è anormale ed abbiamo perso la speranza che i criminali, chiunque essi siano, vengano giudicati e puniti secondo la legge.
E’ vero che la destra albanese ora è in crisi, ma questo dovrebbe costituire un momento di risveglio per la parte sana che appartiene alle sue file in modo che si distanzino dagli elementi irresponsabili e criminali. Tali elementi attualmente si possono contare anche tra file della sinistra, alcuni dei quali sfortunatamente potranno occupare dei posti nel nuovo governo. La politica albanese rimane tuttora uno stagno inquinato, in cui, ancora per qualche anno, elementi corrotti continueranno a fingersi spudoratamente angioletti mentre gli onesti dovranno sporcarsi le mani con gli incorreggibili con o senza la loro intenzione.
Ora che le elezioni sono finite, sarà interessante vedere quanti deputati avranno la cortesia di andare ad incontrare i loro elettori regolarmente ogni settimana ed ogni mese come fanno i loro colleghi occidentali; quanti deputati dimostreranno coi fatti di essere rappresentanti dei cittadini di tutte le zone che rappresentano e non solo di quelli che simpatizzano per la destra o per la sinistra; quanti deputati oseranno alzare la voce nel nuovo parlamento per chiedere investimenti per le loro regioni, soprattutto per quelle più remote abbandonate a se stesse tanto da non poterle distinguere dalle zone più povere dell’Africa; e quanti deputati avranno il coraggio di dire ai dirigenti dello stato e ai loro partiti che si dimetteranno nel caso non adempiano alle promesse elettorali.
Il 23 giugno scorso, di sua libera volontà, l’elettorato ha dato una buona lezione alla destra che mi auguro serva da avvertimento in anticipo per la sinistra. Sta alla classe politica albanese trarre il prima possibile le opportune lezioni da questo terremoto elettorale.
Quattro anni passano in fretta e il popolo albanese, di lunga memoria, si sta liberando pian piano dei propri vincoli.
Pubblicato nella sezione in lingua albanese di Albania News il 25 giugno 2013. Titolo originale: “Demokracia shqiptare dhe ndërgjegjësimi i elektoratit”.
Tradotto per Albania News da Daniela Vathi.
Leggi anche l’articolo “La democrazia albanese al crocevia” del 10 febbraio 2011