La caccia illegale in Albania continua ad essere presente nelle riserve naturali: è questo il responso di un ricercatore tedesco che ha analizzato l’efficacia del divieto di caccia nel paese delle aquile negli ultimi quattro anni.
Da sottolineare, tuttavia, che i casi identificati sono sporadici e significativamente più bassi rispetto al 2014, quando i divieti vennero attuati.
Il divieto, in vigore fino al 2021, è efficace per lo più nelle aree protette, dove i controlli sono condotti regolarmente:
“Questo è dovuto al fatto che le aree protette hanno ricevuto supporto finanziario dalle ONG nazionali, ed, inoltre, poichè le strutture che le governano sono qualificate ed incorruttibili” – ha dichiarato il ricercatore tedesco, Daniel Ruppert, che ha monitorato sei aree protette albanesi.
Solo i parchi nazionali Divjaka-Karavasta e Prespa nell’Albania meridionale hanno evidenziato buoni risultati nell’attuazione del divieto di caccia con quasi nessuna attività registrata da Ottobre a Dicembre 2017.
Situazione diversa, invece, per quanto concerne il lago di Scutari e i parchi nazionali di Nikaj-Mertur, dove sono state testimoniate attività di caccia illegale per lo più riguardante i cinghiali selvatici. Non solo, poiché anche il pellicano riccio, la lince dei Balcani e la lontra (tutte specie in via di estinzione) hanno subito, di conseguenza, una brusca riduzione.
Nella sua analisi, il ricercatore tedesco ha identificato come causa principale di questa situazione la mancanza di risorse finanziarie e di attrezzature. Inoltre, un decreto elaborato dalla Federazione nazionale albanese per la caccia e la conservazione, che si assume la responsabilità di ogni attività illegale, è descritta come la principale minaccia per preservare le specie in via di estinzione nel paese.
L’Albania conta circa 15.000 cacciatori, mentre circa 150.000 armi da fuoco illegali sono in circolazione poichè saccheggiata dai depositi dell’esercito in seguito ai disordini civili del 1997.
Come se non bastasse, gli esperti affermano che la riforma territoriale del 2015 e il decentramento della gestione forestale (che ha spostato l’amministrazione della caccia nelle unità di governo locali, causando responsabilità sovrapponibili) stanno aumentando il rischio non sostenibile delle risorse naturali a causa di mancanza di conoscenza e di istruzione.
Nel rapporto, inoltre, si dubita anche della motivazione del governo a far rispettare il divieto, in quanto sostiene che le persone al governo svolgono in prima persona attività di caccia. Nel 2017 sono stati segnalati 25 casi di abusi, principalmente relativi alla caccia e al disboscamento illegali anche in aree protette; si stima che dozzine di altri casi non sono stati segnalati siano avvenuti poichè un considerevole numero di abusi sono stati pubblicizzati come trofei sui social network dagli autori stessi, apparentemente inconsapevoli delle conseguenze legali che includono pesanti multe o addirittura anche la detenzione in prigione.