Le strade di Tirana caotiche come sempre: il grande cantiere di piazza Scanderbeg con poche macchine di movimento terra e una decina di operai al lavoro, i caffé straripanti di gente durante tutto il giorno, pub e ristoranti pieni fino a notte fonda, tanto movimento, un sacco di via vai all’aeroporto Madre Teresa, la voce del muezzin della moschea di Tirana che si sentiva ad orari cadenzati, il cantiere quasi finito della enorme chiesa ortodossa in pieno centro.
Pubblicità di tutte le marche in giro per la città, l’immancabile polvere di sempre lungo il tragitto delle principali strade della capitale, i residui del cannibalismo di affissioni elettorali sparsi un po’ ovunque. In linea di massima la città mi si presentava in questo modo, direi un po’ come sempre negli ultimi anni. Non parliamo di una data qualsiasi però. Era verso la fine del mese di maggio appena passato, giorni crucciali, mentre la Commissione centrale elettorale stava per decidere le sorti del processo elettorale per il comune di Tirana. Ma come abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo la situazione post elettorale, noi albanesi che siamo in Italia? E soprattutto, siamo sempre consapevoli e in grado di avere una percezione dei fatti, aderente alla realtà? Parto con ordine. Il giorno delle elezioni, il processo è andato sostanzialmente bene, per gli standard albanesi. Nell’arco di qualche giorno abbiamo saputo chi erano i sindaci e i consigli comunali delle principali città albanesi. Ci sono state delle sorprese notevoli in quanto i socialisti guidati da Rama, sindaco uscente di Tirana, hanno espugnato alcuni dei principali feudi della destra berishiana nel paese. Basti pensare a Kavajë, Laç e altri comuni, guidati dal PD di Berisha ininterrottamente dai primi anni 90 ad oggi. Bisogna sottolineare però che in molti comuni, a causa anche della legge elettorale albanese, il consiglio comunale non corrisponde all’appartenenza politica del sindaco e ci troviamo casi con sindaci socialisti, e consigli comunali in maggioranza democratici. Berisha inoltre ha saputo scegliere alleati che li hanno portato una dote elettorale significante, come nel caso del LSI (Movimento socialista per l’integrazione) e il PDIU (partito della minoranza çame). I problemi sono cominciati con la partita elettorale più importante, quella per il comune di Tirana. Ancora infatti non c’è una risposta definitiva e sono in processo alcuni ricorsi da parte del partito socialista, inizialmente avanti con 10 voti di differenza. Differenza che poi, tramite dubbie procedure di riconteggio della commissione elettorale centrale, è sparita per lasciare il posto alla vittoria dei democratici con 80 voti di scarto.
Il partito socialista ha avviato, oltre alle immancabili proteste formali con il “fattore internazionale di Tirana”, una serie di manifestazioni di piazza pacifiche. Nei giorni antecedenti il responso del voto di Tirana hanno portato molti militanti dell’opposizione a circondare l’edificio della CEC, facendo salire la tensione. I media internazionali, noi anche, abbiamo cominciato ad evocare scenari che purtroppo il paese già ha conosciuto in passato. Qualche giorno prima di partire per l’Albania, sembrava che il paese stesse per scivolare in una situazione simile a quella di gennaio, dove 4 manifestanti hanno perso la vita, o addirittura si evocavano scenari peggiori, ancora più bui. Questo almeno a leggere i principali giornali albanesi. A questo si è aggiunto l’annullamento della visita albanese del presidente UE Barroso, e quindi il quadro tetro era completo. Io stesso mi aspettavo di trovare in città un clima diverso, più teso e con un pizzico di tensione in più. La realtà però è stata quella del primo paragrafo in alto. Mentre raggiungevo la città in taxi, insieme ad un amico italiano, l’autista, come nelle migliori tradizioni, si è lanciato in un analisi dettagliata della situazione politica, offrendo anche lui il suo punto di vista, sicuramente riciclato da qualche trasmissione televisiva, dove vari “opinionisti” quasi mai indipendenti spaccano il capello in quattro. Si tratta di una questione di principio, perché anche se uno sbaglia scatola, si deve poter contare il suo voto – sosteneva l’autista, e io lo ascoltavo con attenzione. Dai tassisti si capiscono sempre tante cose, e spesso si può anche misurare il polso della situazione di un paese. In Albania, mi è sembrato che la politica venga percepita ormai come una questione di tifo da stadio, e a volte di tradizione familiare (siamo una famiglia di destra piuttosto che di sinistra). In più tutto si traduce ormai in una questione di capitalisti che fanno politica attiva per potersi accaparrare più concessioni edilizie o di altro tipo, e di questo la gente è pienamente consapevole. Il tassista, il cameriere, l’amico che non rivedi da anni, il giornalaio, il lustrascarpe, il giornalista, tutti sanno. Sanno chi ha costruito alcuni dei più grossi plessi edili a Tirana, oppure chi è il vero proprietario di alcuni asset strategici, e tutti sembrano conoscere tutti i malaffari. Si crea cosi una sorta di rassegnazione senza via di ritorno, tipica di chi ha perso la speranza che le cose possano cambiare, misto ad una sorte di ammirazione per quelli che sono riusciti a “realizzarsi con tutti i mezzi”. In quei giorni infatti, mentre le tv e giornali stranieri, facevano vedere un Albania quasi sul piede di una rivolta popolare violenta, la gente di Tirana ti faceva capire che i diretti interessati, cioè gli abitanti della città non erano lì a protestare. Molti dei manifestanti venivano dalle città di provincia, e i maligni sostengono che forse erano anche pagati per protestare. Ho avuto la netta percezione che i leader politici albanesi non abbiano la benché minima capacità e credibilità di leadership per fare scendere in piazza gli albanesi indignati, quelli onesti che credono ancora nella meritocrazia e nella possibilità di cambiare in meglio un paese grande come la Toscana. Si ha la netta sensazione che comunque vada, chiunque governi sarà più o meno uguale, si tradurrà tutto in quanti posti di lavoro il politico è in grado di offrire, e con questa prospettiva che differenza fa quale è il politico di turno. Ho avuto la sensazione che piove sempre sul bagnato. Moltissimi infatti si stanno accorgendo che il potere è passato dai padri del regime comunista, ai loro figli viziati cresciuti nella cosiddetta democrazia albanese. Si nota una continuità con il passato, senza voler accusare i figli delle colpe dei padri, che a tratti diventa inquietante. La classe dirigente del paese, sembra un mix tra figli e nipoti della vecchia nomenklatura, nuovi boss dal passato nebuloso, funzionari di alto rango diventati tali dopo corsi professionalizzanti di sei mesi nei primi anni 90, con l’aggiunta di un po’ di cooptati a caso in giro per dare una mano di vernice fresca. Le persone di questo si rendono conto, ma sono sempre combattute tra la voglia di cambiamento del sistema, e la possibilità di lavorare per poterne diventare parte. In questo contesto i paradossi diventano il sinonimo del paese. Si combatte a spada tratta per difendere l’albanesità, ma poi non siamo in grado di trovare compromessi e arbitri che non siano gestiti dal “fattore internazionale di Tirana”. Andiamo in giro pretendendo rispetto dagli altri, ma siamo i primi a non rispettarci e non rispettare le regole del gioco democratico. Vogliamo entrare nella UE, e siamo già nella NATO, ma non ne vogliamo in nessun modo seguire gli esempi virtuosi. Ci lamentiamo del razzismo che subiamo nei vari paesi in giro per il mondo, ma poi non c’è un indignazione degna dei cittadini di un paese civile quando a Tirana appiccano il fuoco ad un campo rom. Volgiamo diventare un paese a vocazione turistica eco sostenibile e intanto cementifichiamo ogni centimetro di terra dove possa entrare una ruspa. Intanto il paese prosegue nella sua crescita diseguale e caotica, con una visione del futuro che non sembra del tutto strategica. I tassisti e tutti gli altri continueranno a commentare la politica con la stessa passione che hanno per il calcio, mentre il mondo continuerà a considerarci ancora una polveriera pronta ad esplodere in qualsiasi momento, soprattutto post elettorale, accusandoci di essere infantili nella nostra democrazia. E’ come se noi fossimo in grado di produrre un sacco di solisti virtuosi ed eccellenti, che
però non riusciamo quasi mai a mettere insieme in un orchestra che suoni all’unisono per far andare avanti il paese.