28 Marzo 2011. Quattordici anni dalla strage del canale di Otranto, che ha causato 108 vittime disperse in mare. 108 padri di famiglia, madri, figli di qualcuno. Vite umane che attraversavano il mare alla ricerca di una vita migliore per se e per il loro cari. E’ stata archiviata come una fatalità, una tragedia del mare causata dall’imperizia di chi era al timone del piccolo naviglio stracarico di albanesi che cercava di aggiungere le coste pugliesi. Ma l’affondamento della Kater I Rades resterà invece impressa nella mente di tutti noi, non solo nelle coscienze dei parenti delle vittime (81 i corpi senza vita recuperati), come un’altra strage di Stato, attuata con cinismo e determinazione da una nave della Marina militare, la Sibilla, in ossequio ad una regola folle e deprecata dalla stessa Unione europea, una norma voluta dall’allora governo di centro-sinistra (premier Romano Prodi) per arginare l’immigrazione clandestina di migliaia di albanesi, oltretutto in fuga da una guerra civile. Una norma che stabiliva il blocco militare dell’Adriatico, in aperta violazione di qualsiasi convenzione internazionale.Tutto ha inizio alle tre del pomeriggio del 28 marzo 1997, quando salpano dal porto albanese di Valona più di 140 persone, intere famiglie – molte le donne, moltissimi i bambini – a bordo della Kater I Rades, una piccola motovedetta militare (poteva trasportare solo nove marinai), allestita 35 anni prima. Da una settimana l’Italia aveva schierato diverse navi nel Canale d’Otranto con il compito di bloccare le “carrette albanesi”. La Kater I Rades ha da poco doppiato il capo dell’isola Karaburun, quando viene intercettata dalla fregata italiana Zeffiro che naviga in acque albanesi e che le intima di invertire la rotta. Attorno alle 17.30, la Kater – che continua a navigare verso l’Italia – viene “presa in consegna” da un’altra grande nave italiana, la Sibilla, che comincia ad avvicinarsi pericolosamente al naviglio albanese. Alle 18.45 la tragedia: la prua della nave Sibilla colpisce la Kater. L’urto sbalza molte persone in acqua. Un nuovo colpo e la Kater I Rades si capovolge, prima di affondare alle 19.03. Solo pochi, e soprattutto uomini, riescono a nuotare al buio, nelle acque gelide, fino a raggiungere la Sibilla. Alla fine saranno almeno 108 le persone a mancare all’appello.
L’anno dopo, al termine della sua inchiesta, il sostituto procuratore di Brindisi, Leonardo Leone De Castris, sarà costretto a rinviare a giudizio solo i comandanti delle due imbarcazioni, l’albanese Namik Xhaferi e l’Italiano Fabrizio Laudadio. Una tragedia che mai come ora, dopo quatordici anni, in questo particolare clima politico e varie proposte di legge sull’immigrazione ci dovrebbe far pensare. Oggi a Brindisi alle 16,30, ci sarà il lancio di fiori in mare e vari interventi delle associazioni antirazziste brindisine. Uno dei temi che verrà trattato sara anche il trasporto verso Valona, di quella che è stata la tomba di tante persone, la nave “Kater I Rades” ,che ora giace abbandonata in un’area dismessa della Marina Militare a Brindisi, riducendosi giorno dopo giorno in un ammasso di ruggine e corre il rischio di essere rottamata su richiesta dei giudici della corte di Appello di Lecce ( ove si sta celebrando il processo di secondo grado), se entro pochi giorni il governo di Tirana non se la porti via. Oggi, tutti noi che abbiamo vissuto in prima persona quella tragedia ci uniamo al dolore delle famiglie. Undolore che non dimenticheremo mai, misto di rabbia e voglia di giustizia.