Come fa l’economia albanese a reggere la crisi economica che l’Europa attraversa da 4 anni a questa parte? Quale la chiave del successo? Un approfondimento di Afërdita Shani
La crisi attuale in Albania è spinta dalla mancanza di efficienza democratica nelle istituzioni che causa corruzione, ineguaglianza e instabilità all’interno della società. Se da una parte questa rimane una veloce spiegazione d’impatto politico, dall’altra parte il fenomeno della recessione economica ha avuto sicuramente un ruolo decisivo nel deviare recentemente la rotta. Ci si propone – dunque – di capire quali logiche di natura economica capillarmente tengono in vita l’attuale situazione albanese. A ciò consideriamo: gli indicatori di crescita a confronto con altri Paesi tali da dare credibilità all’Albania; il fenomeno delle rimesse come fonte indispensabile del PIL; e lo sviluppo delle istituzioni economiche come base delle regole del gioco che fanno funzionare una società.
Qualcuno ha chiamato l’Albania, riferendosi alla crescita economica, la “Tigre dei Balcani”, a cui però manca una consolidata stabilità politico-istituzionale e regole credibili e durevoli che permettono la creazione di lavoro e investimenti a lungo termine. Dal 2004, quando gli indicatori economici segnavano l’Albania come lo Stato più povero d’Europa, al 2008, dove la popolazione sotto al soglia di povertà (con meno di 2$ al giorno) si fermava al 12% (contro i circa 30% del 2004), visto il salto la stessa classifica la poneva tra le più fioriscenti economie d’Europa. Per anni, laddove mancava il «Made in Albania» da esportare (per esempio si esportava 1 e si importava 11 nel settore agricolo), le rimesse degli emigrati, gli aiuti allo sviluppo ricevuti da alcuni paesi donatori e il flusso di denaro in investimenti di capitale dall’estero coprivano tale mancanza. Oltre a finanziare il pagamento delle importazioni –per la maggior parte beni di consumo-ciò ha contribuito anche alla crescita del boom edilizio, principale settore economico.
La crescita vista dalle Organizzazioni Internazionali.
Nel 2011, il rapporto del “World Economic Situation and Prospects” delle Nazioni Unite quota l’economia albanese tra le più prospere della zona seguendo gli stessi indicatori di crescita a confronto. L’Albania fa parte nelle “Economie in transizione” (insieme a Montenegro, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Serbia e la Repubblica di Macedonia, nonché i Paesi CIS, Comunità degli Stati Indipendenti, o ex-URSS). Ciò significa che il gruppo, che ha condizioni economiche simili in base al RNL (Reddito nazionale lordo, ossia quanto produce realmente il Paese dopo aver sottratto i vari flussi, comprese le rimesse), ha un“reddito medio-alto”. Si distingue dai gruppi delle economie sviluppate con reddito-alto, come anche dai Paesi in via di sviluppo con reddito medio-basso, e dai Paesi meno sviluppati con basso-reddito. Dopo la crisi finanziaria mondiale, anche queste classifiche sono cambiate! Dato che l’Albania dipende meno dalle esportazioni sul PIL rispetto ad altri Stati, della crisi ha sofferto – più di tutto – il declino dei consumi e degli investimenti. Tuttavia, la crescita economica atipica e continuata con l’aumento della domanda interna, e l’indebitamento esterno che causano disavanzi delle partite correnti (ossia abbondante importazione e bassa esportazione che fa aumentare il debito con altri paesi). A controbilanciare tale mancanza di esportazioni, ci sono state le rimesse dagli emigrati (che producono surplus di moneta straniera e pareggiano la bilancia commerciale). Infatti, la conseguenza della recente crisi mondiale per Paesi come l’Albania, la Bosnia e Serbia si è sentita nel calo netto nelle dimensioni delle rimesse che coprono dai 13 ai 20% del PIL, e cioè più del settore delle esportazioni. La formula magica che cambierebbe la situazioni, sottolinea il documento WESP, è data da una crescita dinamica stimolata soprattutto dalle esportazioni nella produzione futura. Anche i servizi dovranno essere modernizzati e diventare più diversificati, tali da richiedere maggiori investimenti diretti esteri (IDE) e creare un cambiamento tecnologico seguito da un miglioramento delle infrastrutture.
L’evidenza empirica e guerra delle cifre sommerse
Per il periodo 2002-2010, la crescita del PIL reale è stata tra le migliori di tutta l’area, per di più costante intorno al 5-6% l’anno, meglio degli altri paesi dell’area che hanno avuto una crescita instabile con una media intorno ai 3-4%. L’inflazione invece si è tenuta irregolare e superiore al 2%, (ad eccezione del 2002 con circa 8% e del 2003 con 0,5%, mentre quella stabilità dalla Bce deve attestarsi tra l’1% e il 2%). La disoccupazione in Albania (che è oscillata dai 13 ai16% nel periodo 2002-2010), durante il 2010 è rimasta intorno al 13%, peggiore di quella croata (12%) ma migliore della serba e bosniaca (rispettivamente 18 e 27%). Le inefficienze sono legate all’alto tasso di lavoro sommerso e informale e alla mancanza delle misure mirate a promuovere la riqualificazione e l’assunzione nel settore formale, che probabilmente sarà destinato a persistere o ad aumentare in seguito all’instabilità politica. Lo stesso vale per le politiche macroeconomiche della disciplina fiscale, degli accessi ai finanziamenti e della sicurezza sociale. Questi sono i punti salienti, tutt’ora non qualificabili, che normalmente incentivano gli investitori strategici stranieri e imprese.Tuttavia, non tutto è perduto! A livello internazionale le economie dei paesi in via di sviluppo e delle economie in transizione continueranno a guidare la ripresa globale. Il fatto che la crescita in questi paesi, molto più delle economie avanzate sia forte, attira gli investitori che cercano rendimenti elevati con bassi tassi di interesse. Pertanto i flussi di capitali privati netti verso i paesi emergenti, dal 2009, seppure con una crescita moderata, sono in ripresa.