L’alluvione che dall’inizio dello scorso dicembre ha colpito principalmente nel nord Albania, la zona che dal lago di Scutari si estende lungo il fiume Buna, sin al confine con il mar Adriatico, incluso una parte del centro città di Scutari, ha provocato disperazione, critiche e resoconti. È il secondo anno consecutivo che quest’area è soggetta a pesanti alluvioni, di cui l’ultimo è stato il peggiore.
Oltre 14 mila ettari di terreni si sono trovati completamente inondati e più di 15 mila persone sono state evacuate, per un composto di circa 2.600 famiglie. La somma dei danni è stata stimata per circa 130 milioni di euro: per la città di Scutari, per gli 8 comuni,e i 7 assi stradali che collegano queste zone con la città e quindi con il resto del paese. Tutt’ora il dramma non è finito. Gli argini del fiume Buna, principale conduttore dell’acqua che ha causato le alluvioni, sono state distrutte in più parti causando la persistenza delle inondazioni soprattutto con l’arrivo delle nuove piogge e lo scioglimento della neve. Anche il Fiume Drin e il Lago di Scutari infondono timore di nuove alluvioni nei mesi a venire, in particolare da febbraio-marzo. Tutto ciò non fa altro che causare preoccupazione e triste rassegnazione per un futuro in attesa di probabili nuovi disastri. Sembra, di primo impatto e originariamente pensando, la stessa drammatica storia-leggendaria che ha dato vita alla stessa città e si ripete da almeno 1500 anni.Scutari: “la Firenze dei Balcani”.
La città è da sempre stata chiamata “ la culla della cultura albanese”, nonché ultimamente battezzata da Wikipedia “la Firenze dei balcani” in quanto a importanza storica e culturali (tra le più antiche della regione). Il suo valore storico, artistico e culturale per l’Albania è inestimabile. È un albero dalle radici profonde e antiche, espanse nei secoli verso il mondo romano, bizantino, ottomano, orientale, veneziano, e infine occidentale, pertanto profondamente democratiche e filo-occidentali. È la patria di grandi uomini come Gjergj Fishta, At Zef Pllumi, Migjeni, Mjeda e Camaj, nonché patria acquisita di uno dei primi fotografi italiani dell’800, Pietro Marubi.
Alle sue fondamenta si concede il “Castello di Rozafa”, su cui si rifà la leggenda che narra il sacrificio di “Rozafa”, donna ingenua e obbediente resa sacra dal suo dramma. Lei è la moglie di uno dei tre fratelli che lavorano alla costruzione del castello (storicamente iniziato nel IV secolo a.
C.). Inspiegabilmente, però, i lavori che i tre fratelli finiscono di giorno, crollano di notte. Disperati si rivolgono ad un vecchio saggio che insegna loro che “per essere forti e solide, le mura necessitano del sacrificio di una delle loro mogli”. Alla più giovane e madre di un neonato tocca lo sfortunato fato perché dei tre fratelli i due più grandi avevano infranto il giuramento raccontando tutto alle rispettive consorti. Per il bene della comunità, lei accetta di farsi murare viva all’interno della struttura. Pone come unica condizione «che una gamba, un braccio, un occhio ed una mammella, rimangano scoperti per poter vedere, cullare, accarezzare e allattare il proprio figlio». “Rozafa” è una metafora dei vuoti di potere e dello Stato.
Come tutte le leggende, la storia ha come contorno la realtà della vita politica del momento, che per mancanza di istituzioni o di un potere centrale, per credenza popolare alle forze oscure, e soprattutto per proteggere la vita delle genti, assicurare lo sviluppo della regione, e per il bene comune, come dettato dal «vecchio saggio», viene sacrificata la vita della giovane innocente. Fortunatamente siamo in età moderna dove tutto si base sulla scienza, e il “vecchio saggio” è solo il potere centrale senza influenze superstiziose. Sta di fatto che anche oggi, per il secondo anno consecutivo il lavoro degli emigrati e di altri cittadini che, come i tre fratelli, tentano di porre le basi per una nuova “costruzione”, si trovano ad aver la stessa paradossale sorte. Non è diverso dalla leggenda la storia di chi ha come Castello la casa dove vive, il negozio o il ristorante dove lavora, la raccolta dei campi e il bestiame che accudisce, con la differenza che si perdono vite umane. Nell’età moderna esiste lo Stato che interviene. E così ha fatto, ha offerto aiuto, ha fatto fronte all’emergenza, ed ha promesso che, una volta ritirata l’acqua, avrebbe provveduto a rimborsare il tutto. La realtà è che, deve ancora finire di pagare i danni dell’alluvione dell’anno scorso, già in parte esarciti, ed avere entrambi i rimborsi completi è diventato un miraggio per gli abitanti della zona. Non tanto per il costo di circa 130 milioni di euro (quanto stimato dal governo nel mese di dicembre 2010), ma perché – a dir loro – sono “le solite promesse” che negli ultimi 20 anni hanno tagliato ogni pretesa e filo comunicativo tra popolazione e Governo. Ma anche se i danni venissero pagati, magari con aiuti di denaro diluiti neltempo, questo non risolverebbe i veri problemi e rimarrebbe un antidotto improduttivo per l‘economia della zona, che ha bisogno di altro per ricostruirsi il futuro. Quale soluzione per evitare nuovi sacrifici?
Seguendo disastri simili in Italia, la politica post-alluvione si pratica in più punti: risarcimenti dei danni,nuove strutture anti-alluvione, assicurazioni varie sulle proprietà, e agevolazioni fiscali.
In generale le agevolazioni fiscali permettono all’economia moribonda di riprendere a camminare e attirano nuovi investimenti necessari per raggiungere lo status pre-alluvione. Riassumendo, si dovrebbe cominciare dall’agevolare le tasse, assicurare un quadro legislativa adatto, aumentare le infrastrutture e le assicurazioni sociali e finanziarie, diminuire le possibilità di perdita dei diritti acquisiti e degli investimenti in caso di disastri simili.È noto, infatti, che la zona di Scutari ha enormi inefficienze legislative legate ai diritti di proprietà, all’inserimento lavorativo, ed è particolarmente abbandonate da piani economici e strategie di sviluppo lanciati dal Governo. È dunque necessario una profonda strategia di politica economica. Tutto ciò permetterebbe di distinguere la leggenda dalla realtà, creando pertanto nuove basi sicure per lo sviluppo. Purtroppo, però, dovendo lasciare la decisione al “alter” che detiene il potere, possiamo solo sperare che non si costruiscano i soliti “castelli in aria”.