In un intervista per l’edizione albanese di Radio Deutche Welle, Kadare racconta i motivi del suo allontanamento dall’Albania nel settembre del 1990, poco prima della caduta del regime comunista.
Vent’anni fa, dopo la caduta del Muro di Berlino e la rivoluzione di velluto che trasformò la Cecoslovacchia, i bulgari destituirono TeodorZhivkov e irumeni giustiziarono Nicolae Ceausescuel. Invece, lo scrittore albanese Ismail Kadare si allontanò dall’Albania in segno di protesta verso il regime comunista che non stava compiendo nessun passo per la democratizzazione del paese. Kadare richiese asilo politico in Francia con la speranza di aiutare il suo paese ad uscire dal totalitarismo. Ricorda il momento in cui ha deciso di allontanarsi dall’Albania? È stato difficile per lei? Certamente, ma non posso dire che è stato difficile in confronto alle fughe drammatiche o tragiche di chi tentava a passare la frontiera. La mia è stata abbastanza facile: sono partito con l’aereo e munito dipassaporto. Mi sono fermato a Parigi e non sono più ritornato, rendendo noto le motivazioni per cui sono stato costretto a lasciare l’Albania.Ovvio, moralmente è stato difficile, dovevo lasciare la mia gente. Nonostante mia moglie e le mie figlie abitavano già in Francia, in Albania lasciavo mia madre, mio fratello, mia sorella e altri parenti.
Lei aveva tentato anche prima di allontanarsi dall’Albania però non l’ha fatto. Perché ha scelto proprio quel periodo? Mi riferisco agli sviluppi di quell’epoca come gli incontri che assieme ad altri intellettuali ha avuto con RAMIZ ALIA, chiedendole l’avvio dei processi democratici.
La mia fuga fu quasi obbligata. L’ho ritenuta una cosa da fare in tutti i modi. Ora sono passati 20 anni e si pensa diversamente. Allora l’Albania si trovava in una condizione di totale ipocrisia, mai vista nella sua storia. Per far fronte alle pressioni, sia interne che esterne, lo stato albanese prometteva ogni cosa senza cercare effettive soluzioni, ingannava i cittadini continuamente, ma in realtà nessuno aveva intenzione di fare qualcosa e lo dico in piena consapevolezza. Dalla corrispondenza avuta con il Capo di Stato di quel periodo, Ramiz Alia, ho saputo che erano tutte fandonie, niente di vero, per questo ho sentito il dovere ditrovare unamanieraper farlo sapere al popolo albanesee al mondo.Come ben sapete in Albania questo non poteva succedere, non c’era la minima libertà di stampa. La dovevano smettere con le allusioni e i doppi sensi, si doveva parlare apertamente al popolo e dirgli la verità. Era tempo di far decidere il popolo, per questo ho ritenuto indispensabile allontanarmi in ogni modo dall’Albania.
In quel periodo ci furono grandi cambiamenti nel Blocco dell’Est. Dopo la caduta del Muro di Berlino anche in altri paesi come la Romania e Bulgaria sono caduti i regimi comunisti. Come scrittore e intellettuale, assieme ai suoi colleghi, non credeva che la dittatura in Albania avesse i giorni contati? Non sperava nella caduta del regime?
Certamente, ho sperato come gran parte del popolo albanese e degli intellettuali. Ho sperato mapoi mi sono pentito di averlo fatto, niente era vero, era tutto una grande menzogna. Ribadisco, la mia fuga fu obbligata. Bisognava porre fine a quella fiducia faziosa perché lo stato albanese mentiva in modo spudorato. È senza precedenti e raro in tutta la storia dell’umanità un simile cinismo.
I politici erano riusciti ad inscenare l’inganno maggiore. Organizzarono una riunione contutti gli intellettuali dell’epoca che avrebbero ostacolato il processo di democratizzazione. Si può ben immaginare quanto fosse vero una cosa simile, specialmente in un paese comunista dell’est: il Partito, il Polit Byro e il Capo dello Stato che avrebbero voluto la democratizzazione del paese ma venivano ostacolati dagli intellettuali. Non si è mai visto che siano filosofi, scrittori, artisti a impedirlo. Tutto questo è successo a fine agosto, due settima prima che io andassi via. Una riunione vergognosa nella quale Ramiz Alia ha accusato scrittori e intellettuali di essere statici.
Dopo 20 anni, come considera gli avvenimenti di luglio 1990, il fatto che tante persone entrarono nelle ambasciate di altri statiin cercadi una vita migliore? Hanno accelerato gli sviluppi successivi in Albania?
Senza dubbio è stato uno tra i fattori che ha contribuito alla caduta della dittatura. Anzi quello decisivo insieme al movimento di dicembre. Gli albanesi hanno dimostrato di non volere piùla dittatura. Ciò che era necessario per rovesciare un regime del genere, capace di usare le armi e il crimine, poteva portare a violenze simili o peggiori di quelle rumene in quanto in Albania era più difficile cancellare le atrocità commesse dal regime. Poteva succedere così o l’esatto contrario: un distacco drastico con il vecchio regime senza violenza che poteva essere forse più efficace, ma 20 anni fa nessuno poteva prevedere l’alternativa migliore. Credo che un’opinione generale si era creata e si sono evitati spargimenti di sangue.
Secondo le dichiarazioni dell’ex Presidente Ramiz Alia in un’intervista per DW, fu suo merito l’assenza di spargimenti di sangue in Albania. Condivide la sua affermazione? È il contrario. Se il Partito comunista avesse iniziato un vero processo di democratizzazione, in particolare l’avvicinamento all’Europa Occidentale, sarebbe sicuramente stato sostenuto dai cittadini albanesi. Invece ha usato inganni per prolungare il suo potere di una decina d’anni. Il popolo Albanese non poteva più aspettare. Se fossero stati sinceri, avvicinandosi all’Occidente, accogliendo la tanto menzionata“opportunità tedesca”sarebbe stato diverso, ma hanno rovinato tutto con le loro mani.Anche oggi continuano a negare questa verità, dicendo che i tedeschi non promisero niente, ma non è vero perché sono stato testimone di questo problema, lo conosco bene.È convinto chel’Occidente abbia teso la mano all’Albania?
Assolutamente sì. Ci fu un periodo d’indifferenza da parte dell’Occidente verso l’Albania, ma per colpa di quest’ultima. Dopo la morte di Enver Hoxha, l’Occidente ha fatto un tentativo tramite la Germania, che però fallì per colpa degli albanesi.
Dopo la caduta del comunismo, cos’è cambiato per lei come scrittore e intellettuale. La libertà che mancava in dittatura agli scrittori, artisti ed intellettuali ora è presente. Quanto sentite questo cambiamento?
In letteratura molto cose sono diverse, non esistono cambiamenti tali come nella vita, che possano cambiare il verso delle cose in modo radicale. Non ci sono scrittori che scrivono in un modo oggi e il domani cambiano come per magia. Non puòsuccedere come nelle banche, negli affari o in economia. La letteratura cambia in modo non evidente: da un lato è meglio cosi. Ha un calendario proprio, leggi diverse e per tornare alla normalità le serve più tempo rispetto ad ogni altro genere di struttura sociale.
In poche parole, anche la libertà dell’artista è diversa?
In letteratura la libertà ha un altro significato, è libertà interiore non libertà sociale. Se non hai la libertà interiore quella sociale non vale niente. Gli scrittori possono essere liberiin schiavitù (raro)e schiavi in libertà. Questo è il paradosso della letteratura, per questo ha ritmi diversi ed è indipendente dalla vita. Degli scrittori, c’è chi dà di più e chi dà di meno, però la letteratura vive solo in libertà, se non è liberamuore, dopo si dimentica e non esiste più.Intervista di Mimoza Cika – Kelmendi. Pubblicato il 20 settembre 2010 nella edizione albanese on-line di Deutsche Welle. Titolo originale “Ismail Kadare: Njëzet vjet më parë Shqipëria ishte në një hipokrizi të pashembullt”. Tradotto per AlbaniaNews da Blerina