Veis Sejko, uno dei più grandi saggisti e studiosi albanesi sull’autoctonia e il folclore albanese, è stato messo in disparte dal regime comunista. Nonostante il trattamento crudele riservatogli, Sejko non ha mai mollato la sua vecchia “Olivetti” fino a quanto si è spento 26 anni fa. La sua nipote lo ritrae attraverso i suoi ricordi.
5 gennaio 1985. Un uomo con la schiena un po’ curva dal peso delle lunghe malattie che da anni lo affliggevano, si sedette per l’ultima volta nella sua scrivania. I suoni della tastiera di quella vecchia macchina da scrivere “Olivetti”, echeggiavano come al solito in quel piccolo appartamento situato in “Rruga e Durrësit” (Viale Durazzo) a Tirana. Dopo un po’ la tastiera smise di suonare, cosa talmente strana, che fecce sobbalzare dalla sedia della cucina sua moglie. Lei entrò in quella cameretta e lo vide sorridente ma affaticato. Lui le disse solo che voleva riposare un po’. Lei si sedette vicino a lui e continuarono a parlare, tenendosi mano nella mano come avevano fatto sempre in ogni momento della loro vita insieme. Dopo un quarto d’ora, lui le disse di andare in cucina a fumarsi la sua sigaretta, così lui poteva dormire un po’. La moglie gli diede ascolto, ma tornò subito dopo aver dato solo due tiri alla sua sigaretta “Partizani”. Una voce dentro di sé le diceva di tornare in quella cameretta. Lo trovò con un sorriso nelle labbra mentre dava il suo ultimo respiro. Lui le diede la mano e chiuse gli occhi per sempre. Quell’uomo pieno di energie se n’era andato.
Rimase solo quel grosso manoscritto, la sua enorme biblioteca personale con i libri rari e preziosi, il suo schedario improvvisato ma tenuto in maniera meticolosa, la sua vecchia “Olivetti” e il ricordo indelebile che lasciò ai figli e ai suoi 7 nipoti.
Se ne andò con un rammarico nel suo cuore indebolito dai troppi infarti. Non riuscì a vedere il suo manoscritto diventare un libro, non glielo permisero. Il regime era così crudele con le figure grandi che non tessevano le lodi del dittatore e dei suoi seguaci, come fecero molti altri (chi per convinzione, chi per comodità). Aveva molti amici e persone che apprezzavano i suoi studi e la sua figura di uomo e di saggista, ma loro avevano le mani legate, non potevano fare niente per lui e per la sua opera. Tra loro anche il grande Prof. Eqerem Çabej e l’indimenticabile Prof. Jup Kastrati, il più noto studioso e saggista albanese della Cultura e Letteratura Arbëresh, che lo appoggiarono sempre, ma purtroppo senza risultato. Il suo manoscritto era pronto per essere pubblicato già nel 1978, ma la politica del regime e l’egoismo professionale degli pseudosaggisti e degli pseudostudiosi storici del tempo non permisero che la sua opera venisse alla luce, anche se era l’unica del suo genere in Albania, ed era basata su ricerche profondamente scientifiche, fatte in un periodo molto vasto della vita di Veis Sejko. Lo maltrattarono, lo accantonarono, lo lasciarono senza lavoro, lo misero a vendere le sigarette per lo stato, lo derubarono del suo materiale e del suo diritto d’autore, ma non sono mai riusciti a piegarlo.
Non è facile ritrarre il grande uomo che fu Veis Sejko, tanto grande che, ogni volta che gli derubavano il materiale raccolto sulla più grande opera della cultura nazionale albanese “Eposi i kreshnikëve” (L’Epos dei Martiri), lui diceva: “Non è successo niente di grave; la causa a cui è servita è moltopiù grande di ognuno di noi”. Sì, la causa..perché la Patria per lui era la grande causa. Gli scritti di Veis Sejko, quelli pubblicati o in forma di manoscritto, sono fonti inestimabili di sapere nel campo degli studi storici sull’autoctonia della nostra nazione. Veis Sejko ha toccato con mano l’arte folcloristica di Malësia e Madhe in Albania e quella della Serbia, della Croazia e della Bosnia-Erzegovina. Ha fatto lo stesso con l’arte folcloristica degli arbëresh in Italia. Da giovanissimo, in condizioni di vita non facili, usando anche un pseudonimo, Mark Mikelini per sfuggire alle censure, lui si applicò con passione e con grande razionalità ed oggettività in un campo così difficile com’era lo studio dell’autoctonia delle note e dei versi del “Eposi i Kreshnikëve”.
Chi come me ha avuto fortuna di passare ore e ore a parlare con lui, ascoltare le argomentazioni da lui riportate, trafugando nel suo ricchissimo schedario e leggendo il suo manoscritto, ha capito il suo amore e il suo rispetto verso le proprie origini come uomo e come storico, senza passare mai in sentimenti nazionalistici malati che potevano nutrire odi e rancori. Amava e difendeva la giustizia, anche quella storica senza mai proclamare sentimenti di vendetta e di sangue.
Nelle lunghe conversazioni con lui, spiccavano 2 punti di riferimento per la sua profonda formazione: l’essere nato e cresciuto a Konispol, a sud dell’Albania, nella gloriosa Cameria martirizzata, ed aver iniziato la sua istruzione e i suoi studi storici a Shkodra, culla della cultura dei Balcanici. Proprio questi due punti cardini della sua vita fecero sì che Veis Sejko fosse quello che familiari e amici conobbero: grande uomo e grande storico. Continuò a lavorare sulle sue ricerche anche durante gli anni degli studi in Serbia, dove fu condannato per i suoi articoli nei giornali serbi sull’autoctonia del Kosovo come terra antica albanese. Proseguendo gli studi universitari a Roma nella Facoltà di Giurisprudenza, continuò l’esplorazione della cultura folcloristica degli arbëresh, recandosi per molto tempo anche in Calabria, studiando ed analizzando i canti antichi di questa popolazione Per 18 anni della mia vita ho avuto la fortuna di crescere vicino a questo grande uomo, respirare quell’aria serena e ricca di amore e di sapienza nella sua casa a Tirana, nella sua cameretta in fondo al corridoio, che fungeva anche da studio.
Ho toccato con mano la sua sofferenza fisica causata dalle sue troppe malattie e la sofferenza dell’anima causata da quel “lasciarlo in un angolo” da parte del regime del tempo e dai suoi seguaci. Ma ho toccato con mano anche la sua forza per non abbattersi mai, vedendolo continuare a lavorare senza mai interrompere i suoi studi, anche quando il regime lo mise a vendere sigarette in un chiosco di legno di fronte al Ginnasio “Qemal Stafa”, un luogo freddissimo d’inverno e caldissimo d’estate. Il rumore dei tasti della sua macchina da scrivere” Olivetti” si sentivano anche lì come un eco d’amore e di sapienza. Anche in quel chiosco piccolissimo e scomodo lui non smise mai di lavorare sulle sue ricerche. Lui non interruppe il suo lavoro fino a 20 minuti prima di andarsene per sempre, in quel giorno freddissimo d’inverno di quasi 26 anni fa. Se ne andò con un sorriso dolce sul viso. Tra le migliaia di persone che vennero in quella casa per esprimere le condoglianze c’erano anche coloro che avevano contribuito nel lasciarlo indisparte e nel derubarlo del materiale prezioso storico e scientifico da lui così attentamente raccolto ed elaborato.
Stavano lì, seduti con gli occhi bassi. Nessuno di loro osò alzare lo sguardo e guardare ifigli e i nipoti negli occhi. Erano lì, come se volessero assicurarsi che quell’uomo con la suasaggezza comoda fosse veramente andato. Uno di loro, particolarmente accanito contro di lui, l’ho scolpito nella mia memoria come un’ombra del male: il suo nome, il suo viso, la sua fronte appoggiata nel manico del suo ombrello. Non alzò quella fronte neanche quando gli offrirono il caffè. Lui non riuscì a guardare Veis negli occhi mentre era vivo, non riuscì a guardarlo neanche da morto. Spero vivamente che a Veis Sejko, gli sia dato il posto meritato tra i saggi adesso, molti anni post mortem.Sarebbe la sua grande vittoria, anche se di gloria personale a Veis Sejko non interessava nulla. Lui amava il sapere e del sapere fecce il suo motivo di vita.
Dedicato ai figli, Luljana ,Yllka e Artan e ai suoi nipoti; Esmeralda, Elena, Brikena, Irvin, Gjergji, Erid e Dea.