Il 10 febbraio, Musine Kokolari, la prima scrittrice donna albanese, la prima dissidente donna in tutto l’impero comunista, fondatrice di un partito di opposizione, prigioniera politica, che, dopo 20 anni di galera, avrebbe chiuso gli occhi in esilio, mentre 10 anni dopo, nel 1993, quando la dittatura comunista era caduta, è stata decorata dal Presidente con la medaglia “Martire della democrazia” e infine “Onore delle Nazione”, era il suo compleanno.
Tutti avrebbero dovuto ricordarlo. Ma ogni giorno può essere considerato un compleanno dei valori umani, quindi anche del grande nome di Musine Kokolari. La sua vita e le sue opere, azioni, sofferenze, l’atteggiamento, bellezza e tenacia sono un’esperienza preziosa, un’inestimabile ricchezza morale per tutti, fonte di virtù, una cultura importante, un appello permanente di dignità, vantaggioso per il paese…
Musine Kokolari la meravigliosa ragazza di Argirocastro, finito il liceo “Nëna Mbretëreshë (“Reggina Madre”) a Tirana, nel 1937, va a studiare presso l’Università di Roma, in Italia, concludendo con risultati eccellenti. Già da studente pubblica il suo primo libro “Seç më thotë nëna plakë” (Quel che dice la vecchia madre), con storie affascinanti che ha avuto riconoscimenti e apprezzamenti da uno dei maggiori scrittori italiani, Alberto Moravia.
Insieme con altri suoi amici, nel 1943, fondò il Partito Socialdemocratico e il quotidiano “Zëri i Lirisë” (“La voce della Libertà”). Nel 1944, ha pubblicato il suo secondo libro di racconti “Si u tund bota” (“Mentre il mondo trema”), 348 pagine, mentre il 12 novembre dello stesso anno i suoi fratelli Muntaz e Vesim Kokolari sono fucilati senza processo. I nuovi vincitori stavano entrando nella capitale con il terrore. Quattro giorni dopo hanno arrestato anche la prima scrittrice albanese, l’hanno tenuta in prigione per 17 giorni. Pubblica il suo terzo libro “Rreth vatrës” affermandosi cosi una vera scrittrice, ma il 23 gennaio del 1946, la arrestarono per la seconda volta e la condannarono a 20 anni di carcere.
Dalle sue dichiarazioni in Tribunale
“Dopo l’incontro di Mukje, ho partecipato come socialdemocratico al Fronte Nazionale e sono stata responsabile del giornale “La voce della libertà”, dove ho pubblicato articoli che parlano della questione del Kosovo nell’ambito della Carta Atlantica…. La lotta non si faceva per il beneficio di alcuni gruppi, ma per la democratizzazione del paese”
“Io non sono colpevole. Non sono comunista e questo non può essere una colpa. Voi avete vinto le elezioni, ma io non devo essere in carcere… Io sono un’allieva di Sami Frashëri. Condannando me voi volete condannare il Rinascimento”.
Quando qualcuno gridò che lei doveva essere condannata all’impiccagione, e il presidente Frederik Nosi, Le ha chiesto se sentiva quello che il popolo chiedeva, Musine tranquilla ha risposto: “Domani dirà la stessa cosa per voi la folla”.
Nel 1961 viene scagionata e mandata in esilio a Rrëshen: fa lavori fisici pesanti, fa il muratore. La solitudine come punizione e i libri, i libri, erano questi i suoi amici. Comunque lei sarebbe stata la mecenate spirituale dello scrittore Bilal Xhaferri, che fuggirà negli Stati Uniti per sfuggire alla persecuzione, poiché il padre era stato fucilato. Nel 1981 Musine si ammalò gravemente, e morì due anni dopo. L’ hanno gettata in una fossa e coperta insieme alla sua opera, che non le hanno permesso di scrivere, con la macchina della ghiaia.
Alla fine della sua vita
Nel manoscritto ” Sulla mia vita”, Musine scriveva: “I comunisti mi hanno sepolta viva…al processo non ho chiesta scusa per la mia attività. E perché dovevo chiedere scusa?…. Io non sono colpevole…”.
Una fine triste: “Ho conosciuto la cultura democratica, ho conosciuto la tragedia delle grandi repressioni dei moti rivoluzionari. Ho vissuto un processo speciale. Ho conosciuto 16 anni di carcere e 22 anni di esilio. Ho conosciuto il lavoro manuale in agricoltura e in edilizia. Ho conosciuto la solitudine, le amicizie occasionali in carcere e tutte le conseguenze che derivano da questo terremoto per consolidare la dittatura del proletariato. A volte mi dico che non ho vinto niente ad essere rimasta viva. È da 38 anni che non so cosa vuole dire avere una famiglia. Forse sarebbe stato meglio se avessi chiuso gli occhi per sempre. Cosi finivano le mie sofferenze, e questa situazione tragica.
Il suo messaggio: Se muoio, nella mia piccola valigia ho alcuni oggetti di valore etnografico per il Museo di Argirocastro. I pochi risparmi e tutto quello che ho andrà al fondo per la stampa, che bisogna creare a favore dei manovali, è indispensabile, cosi da democratizzarlo e coltivare il semplice operaio”.
Il suo messaggio è ancora più grande, doloroso, importante e permanente. È un richiamo alla memoria collettiva, all’azione, alla vita, al paese. Naturalmente lei oggi viene onorata, ha preso l’aureola della martire, la sua opera è stata pubblicata integralmente, grazie alla volontà dello studioso Novruz Shehu. I suoi lettori sono tanti, gli ammiratori anche, cosi come l’Ambasciatore americano a Tirana. Viene persino dato un premio con il suo nome alle donne, mentre un ricercatore italiano, Mauro Geraci, sta preparando la pubblicazione in Italia dei ricordi di Musine a Roma.
Quando lei studiava là, organizzava incontri culturali e patriottici, le sale le affittava pagando lei stessa un altro albanese, Dane Zdrava, che per primo portò il cinema nella sua città, Berat. Aveva frequentato l’Accademia Navale a Napoli, patriota, ma anche lui sarebbe morto nei carceri comunisti. Ricordiamo questo come un’esperienza meravigliosa, che la dittatura ha devastato, ma che bisogna rianimare.
Musine Kokolari ha ottenuto dei titoli durante la democrazia, ecc, ecc, comunque il suo compleanno è stato dimenticato, anche se era il 95° anniversario della sua nascita. Il messaggio da trasmettere è: che noi dobbiamo mantenere un legame con coloro che sono stati i protagonisti del rinascimento, includerli nel calendario delle nostre attività, sempre. Questo centenario dell’Indipendenza ci deve aiutare a inculcare questo.
Senza un tale calendario alla nostra società mancherà sempre qualcosa, mancherà la luce del futuro. Tali celebrazioni bisogna farle e non devono essere semplicemente routine ufficiale ma parte attiva di una memoria collettiva, della nostra quotidianità.
Devono essere naturali e assomigliare, come dire, all’accensione metaforica di una candela, per la quale un’altra grande donna albanese, Madre Teresa, diceva: Meglio accendere una candela che brancolare nell’oscurità.
Perché la dimenticanza non diventi oscurità.
Pubblicato per la prima volta in lingua albanese su Albania News il 10 febbraio 2012. Titolo originale “Në ditëlindjen e Musine Kokalarit një qortim kujtesës kolektive ”. Tradotto da Dorina Lulaj.
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