Il 12 settembre 1998, Azem Hajdari veniva ucciso a pochi metri dall’ingresso della sede del partito democratico.
Deputato e membro della commissione dei servizi segreti, Azem Hajdari ha affrontato la morte fin dal primo momento in cui diventò leader della protesta studentesca: tutti gli albanesi ricordano i tempi in cui si diceva che avrebbero ucciso “la persona con il giubbotto nero”.
Nel corso degli anni subì diversi attentati, senza considerare le innumerevoli provocazioni durante la campagna elettorale. Il primo episodio avvenne dieci giorni prima della vittoria del partito democratico nelle elezioni del 1992, quando gli fu recapitato un pacco a casa che all’interno conteneva una testa di gallo mozzata e un foglio con su scritto “Azem Hajdari, sei condannato a morte”.
Prima di essere ucciso nel 1998, Hajdari fu vittima di altri numerosi attentati come il 4 giugno 1998 a Tropojë, quando verso le 22:30 lui e altri membri del pd subirono un’imboscata armata organizzata dalla polizia di Tropojë, o come il 16 settembre del 1997 quando fu colpito per cinque volte dalla pistola del deputato socialista Gafur Mazreku a seguito di una disputa su una proposta di aumento dell’IVA.
Chi era Azem Hajdari
Nato l’11 marzo del 1963 a Tropojë, Azem Hajdari studiò filosofia prima e giurisprudenza poi presso l’università di Tirana. Fu uno dei principali leader delle manifestazioni studentesche che portarono al crollo del partito del lavoro albanese, unico partito legale durante il regime comunista.
Inoltre, per breve tempo, fu il leader (il primo) del partito democratico d’Albania, prima di lasciare il posto nel 1991 a Sali Berisha che in seguito diventerà primo ministro del paese.
Nel 1997, quando il partito socialista salì al potere, iniziò la serie di attentati che poi portarono alla sua morte il 12 settembre dell’anno successivo. Il suo omicidio – per il quale furono arrestate 12 persone, tra cui il direttore del commissariato di polizia di Tropojë – scatenò proteste cittadine nei giorni successivi e attirò l’attenzione dei principali media internazionali che descrivevano la sua morte come “una grave perdita per la democrazia albanese”.
“Chi e perché ha ucciso Azem Hajdari, l’uomo la cui morte ha portato l’ Albania a un passo dal colpo di Stato? C’ entrano i loschi traffici in cui si diceva Hajdari fosse coinvolto? Domande alle quali forse non si troverà mai una risposta, anche se Sali Berisha ha già fatto il nome del presunto assassino, il colonnello Jaho Salihi Mulosmani, capo della polizia di Tropojë.
L’unica cosa certa è che Hajdari era diventato scomodo. Troppo scomodo per una classe politica che ha fin troppi scheletri nell’ armadio. E Azem si era deciso a parlare. Era un duro, un vero mastino, di quelli che non mollano mai la presa. Potente e informato.
Per un periodo era stato a capo della commissione di controllo dei servizi segreti. Conosceva, dunque, vita, morte e miracoli di tutti. E minacciava di fare nomi e cognomi con tanto di prove. Prove audiovisive, non chiacchiere.” – scriveva il 16 settembre del 1998 “La Repubblica”.
Nel febbraio del 2002 cinque persone, tra cui l’ex capo della polizia di Tropojë Jaho Mulosmani, furono condannate all’ergastolo per l’omicidio di Azem Hajdari. Il leader democratico fu premiato post-mortem nello stesso anni con l’ordine “onore della nazione”dall’allora presidente Alfred Moisiu ed è tutt’oggi ricordato come uno dei principali esponenti della democrazia albanese.
Sua figlia, Rudina Hajdari, è oggi deputata del partito democratico e dal 2017 e leader dell’opposizione parlamentare del paese. E’ stata tra i pochi esponenti dell’opposizione a non partecipare alle dimissioni parlamentari in blocco dello scorso febbraio, affermando che le proteste di Lulzim Basha “stanno diventando sempre più violente”.