Per caso ho scorto nel web questa foto e immediatamente, visto che questa non è una semplice foto, bensì un fotoracconto, contenendo dentro di sé un rito, un’usanza della società albanese del periodo fino agli anni ’90, ho riportato una breve riflessione in merito.
Quando una foto vale più di mille parole
Nell’arco temporale antecedente agli anni novanta, la sposa albanese – che essa fosse di città oppure dalle zone rurali – il giorno del matrimonio, nel momento dell’uscita dalla propria casa genitoriale, per poi recarsi a casa dello sposo, doveva offrire un’esibizione spettacolare di pianto, accompagnato da urla e scenate isteriche.
La classica emozione che afferra inevitabilmente il cuore di ogni donna in queste situazioni, in Albania si trasformava in eccesso.
Il tutto per poi moderarsi nel periodo successivo post anni ’90.
In questo modo – usanza bizzarra questa che io non l’ho mai capita – dimostrava a quanto pare, attaccamento e rispetto per la propria famiglia, quest’ultima rigorosamente patriarcale.
Sottobraccio al proprio fratello – quando la sposa aveva un fratello -oppure accompagnata dal padre e diretta verso l’auto in cui attendeva lo sposo, appena giunto a prenderla, la sposa doveva arrivare barcollando e in lacrime.
Una donna albanese mi ha raccontato di recente un aneddoto collegato al giorno del suo matrimonio, quando proprio per ironia e in contrapposizione a questa usanza, a lei non veniva di piangere, non c’era verso!
Un dramma!
E allora, avevano assunto una donna che piangeva e urlava al posto suo.
Cioè, attenzione!
Gli ospiti che venivano a far visita a casa sua per portare gli auguri di nozze, si intrattenevano solitamente, dopo un primo saluto rivolto alla sposa, nella stanza accanto a quella sua. Con lei invece in stanza rimanevano le persone più intime.
Gli ospiti dovevano, per l’usanza sopracitata, sentire i pianti, il lamento e le urla della sposa, intanto che loro mangiavano i lokum e bevevano il raki offerto dai familiari della sposa.
Cioè, loro dovevano assistere a questo rammarico eccessivo da parte della sposa per il fatto di dover lasciare il proprio focolare genitoriale e domestico.
“Invece – raccontava questa donna – io mangiavo e bevevo, fumavo pure (sposa trasgressiva per i tempi) e quella “controfigura” piangeva al posto mio.
A parte una naturale emozione personale che ti avvolge spontaneamente in queste situazioni, per il resto, io ho dovuto fingere ed improvvisare il pianto solo nel momento della mia uscita in abito bianco dal portone di casa, quello non lo potevo di certo evitare, visto che fuori si era riunito tutto il quartiere, così com’era solito quando una ragazza del quartiere si sposava e tanti occhi indiscreti vigilavano proprio sull’atteggiamento e sul portamento cliché della sposa…
Però, “il pianto” precedente in casa, almeno quello me lo ero risparmiata…”