Ho incontrato Drita casualmente, qui a Bergamo, in un negozio dove vado ogni tanto a comperare…
Di solito, in questa attività, vengo seguita da una ragazza che conosco da anni, ma quel giorno avevo fretta e non potevo aspettare la mia conoscente quindi chiesi che mi aiutasse Drita.
Notai subito che fosse albanese, conosco bene quei bei lineamenti e quell’ accento dalla r morbida pertanto le parlai subito nella nostra lingua madre. E come succede di solito, quando incontro un compaesano o una compaesana, cominciammo a darci subito confidenza raccontando le nostre esperienze di vita in Italia.
Drita sorride e racconta tutto con un entusiasmo sorprendente. Io l’ascolto e la guardo ammirata pensando di essere stata fortunata ad aver incontrato una persona così vitale e ottimista! Trovo la sua positività molto contagiosa e decido di dirglielo chiedendole anche di come facesse ad essere così serena e felice.
Lei abbassò gli occhi per un momento, sorrise e cominciò a raccontare:
– “Quello che tu vedi e che chiaramente traspare, è la mia grande e sfrenata voglia di vivere.
Quello che tu noti e che chiaramente io trasmetto, è una grande forza che ha radici nella mia famiglia di oggi, nei miei figli e nel mio felice matrimonio con un uomo che mi ama e mi stima.
Quello che tu oggi noti e che chiaramente io rivelo, è frutto di una grande lotta, di una grande sofferenza, di una guerra contro la società maschilista del mio paese d’origine; di una guerra contro quella mentalità malata che vede la donna come un oggetto, o come una schiava, da trattare anche peggio degli animali da lavoro.
Avevo solo 18 anni e tanti sogni. Volevo studiare giurisprudenza e dopo le superiori, mi stavo preparando per l’esame d’ingresso all’Università di Tirana. Una sera d’estate, mentre stavo ancora sui libri, mia madre entrò in camera mia e con un aria da funerale mi comunicò che non avrei proseguito gli studi!
Mi disse che era troppo pericoloso farmi andare da sola in una città grande come la capitale senza la presenza e l’appoggio di un uomo. Era il 1997, l’Albania stava vivendo una sorta di guerra civile e anche se Tirana era la città più sicura del Paese, la mia famiglia temeva per la mia vita e il mio onore: gli stupri erano frequenti a quei tempi, e specialmente nei dormitori delle ragazze vicino all’Università.
Se mai mi fosse capitato una cosa del genere, non avrei più potuto sposarmi e i miei fratelli avrebbero dovuto vendicarsi per difendere l’onore di tutta la famiglia rischiando così la vita! Ecco, mia madre mi disse proprio le testuali parole: “Io non ho figli da regalare alla morte per far studiare te! Per cui ti sposerai come tutte le brave ragazze e avrai al più presto una famiglia. Sotto la tutela di tuo marito e un tetto familiare sulla testa, tutti saremo al sicuro e nessuno si vergognerà di te. Ti abbiamo trovato marito ed è stato tutto deciso, molto presto ti sposerai! Così abbiamo fatto tutte e così farai anche tu.”
Le chiesi se avevo un po’ di voce nel capitolo, se c’era una qualche possibilità di poter dire di no. Fu drastica e non mi lasciò neanche uno spiraglio di luce.
Mi sposai presto con questo uomo di 14 anni più grande di me. Era rude e cupo. Dopo la festa del matrimonio, come da tradizione, mi trasferii subito nella sua casa. Viveva insieme ai suoi genitori, le sue sorelle, i fratelli e un sacco di altri cugini. La casa era molto piccola per tutte quelle persone e mancava quasi tutto, pure il pane! La prima notte di nozze fu un trauma tremendo: lui mi violentò brutalmente.
La mattina ero piena di lividi e dolorante, ma a nessuno parve strano, anzi, sembrava fosse una cosa normale! Sin da subito, quella stessa mattina, mi dissero quali erano i miei obblighi e i miei doveri. Cominciò una vita che non era una vita, ma un inferno in mezzo a uomini e donne che non erano uomini e donne, ma creature del diavolo! Se non facevo bene un qualche lavoro o davo una qualche risposta non gradita, la punizione era una tortura diversa da quella precedente: ogni giorno inventava un nuovo modo per seviziarmi. Ma spegnermi la sigaretta addosso, rimaneva una delle sue torture preferite. Tutto questo mentre gli altri membri della famiglia facevano finta di non vedere e di non sentire!
Non mi era permesso andare dai miei; non mi era permesso andare in città per poter telefonare; non mi era permesso vedere amiche; non mi era permesso frequentare vicine di casa; se qualcuno chiedeva di vedermi, lui trovava una giustificazione per non poter ricevere nessuno in casa; quando scrivevo ai miei, l’unico mezzo di comunicazione che mi era permesso, le mie lettere venivano censurate e corrette. Ero letteralmente segregata in casa. Ma dopo un anno che non vedevo nessuno dei miei familiari, stanchi delle giustificazioni, i miei insisterono con un invito al matrimonio di mio cugino aggrappandosi ad una regola tradizionale che mi voleva senz’altro vicino alla mia famiglia d’origine, almeno il giorno del rito di matrimonio.
Mio marito non poté rifiutare stavolta, anche perché i sospetti dei miei erano molto forti oramai, per cui mi ci mandò, ma con mille raccomandazioni e mille minacce per non raccontare nulla. Promisi di non dire nulla ovviamente, ma non avevo nessuna intenzione di mantenere quella promessa e raccontai tutto.
Ai miei dissi chiaramente che se non mi avrebbero aiutata, mi sarei suicidata o mi avrebbe uccisa lui prima ancora. Per fortuna, nonostante le tradizioni fortemente maschiliste che difendono l’uomo anche di fronte all’omicidio della moglie, mio padre decise che non mi avrebbe più portata in quella casa. Seguì un clima molte teso e conflittuale perché mio marito pretese che sua moglie tornasse a casa, come la tradizione vuole, e disse questo a tutto il Paese facendo cadere il velo della vergogna sulla mia famiglia. Ma mio padre, questa volta, non si scompose. Raccontò la sua versione dei fatti e mi tenne a casa.
Dopo poco tempo iniziai a studiare per imparare questa professione che esercito ancora oggi. In Paese però, nonostante le tante clienti che mi ero guadagnata lavorando tanto e bene, la maggior parte delle persone mi giudicava male. Non ce la facevo più a vivere in quelle condizioni e 10 anni fa decisi di venire in Italia per scappare da quella cittadina che mi rubò la mia gioventù, la mia gioia e i miei sogni.
All’inizio mi diede una mano mio fratello, ma non ci misi molto ad ambientarmi e ad imparare la lingua. Ho conosciuto l’amore della mia vita, albanese anche lui, per caso, in una festa di compleanno. Prima di dichiararmi i suo amore, mi aiutò in un percorso molto lungo di pazienza, di autostima e fiducia negli esseri umani e soprattutto negli uomini. Mi attese a lungo, non perse mai la fiducia, non smise mai di amarmi nonostante i miei rifiuti e la mia sfiducia nei suoi confronti. Non smise mai di starmi accanto e alla fine l’amore vinse. Oggi abbiamo tre figli e una famiglia bellissima. Il mio passato è lì, chiuso dietro ad una porta, indimenticabile, ma mai più un limite, anzi: il mio passato mi insegna ogni giorno di quanto è importante la forza di reagire, gli affetti, l’amicizia, l’aiuto e l’amore.
Ecco cosa vedi tu Sonila: vedi la conquista della libertà e dell’amore ed io penso che non ci sia altro di più importante nella vita.”
Capite allora perché ho deciso di chiamarla Drita (Luce)?
So che mi leggi ora cara amica e scusa se leggendo, torni a ricordare ciò che è meglio non ricordare, ma oggi è la giornata contro la violenza sulle donne ed io non ho potuto fare a meno di pensare a te e di raccontare la tua storia.
Ci ho ragionato molto ed ho deciso di raccontarla, anche se brevemente, perché è piena di forza e di speranza; perché raccontandola possiamo dire a chi vive situazioni del genere, ma anche meno gravi di questa, che la violenza è contro l’amore, contro l’amicizia, contro tutto quello che è vita. Dobbiamo dirlo e ridirlo in tutti i modi possibili che i violenti non sanno amare ed è inutile attendere che imparino perché non lo faranno mai.
Non bisogna illudersi che la situazione migliorerà, non succederà, anzi, la storia ci insegna che la situazione peggiora. Non bisogna avere paura di parlare con i propri cari; non si deve pensare che nessuno ci crederà; non si deve perdere la fiducia nel prossimo e nell’ amore. Bisogna chiedere sempre aiuto … e credere che c’è sempre luce in fondo ad ogni tunnel.
Grazie Drita.