Che bello tornare a casa! Vedere la mia città che in autunno diventa languida e tiepida come una mano materna. Ho un solo amico rimasto a Tirana, un amico d’infanzia che non vedo da un po’ e che è diventato un funzionario del comune. Mi propone di vederci in un posto tranquillo, un bar-pasticceria vicino al suo ufficio.
Faccio la strada più lunga per arrivarci, passeggio tra la folla che corre da qualche parte, mi guardo intorno e noto le nuove insegne, i palazzi che si moltiplicano a vista d’occhio. Mi sento quasi una turista, una turista a casa…Il bar è accogliente, profuma di sfoglia e marmellate e torte appena sfornate. Una donna serve ai tavoli. Sul grande vassoio porta caffè, bibite e dolcetti che sicuramente prepara da sola. Mi siedo a un tavolo e aspetto giocherellando con il menu. Non voglio mangiare dolci, devo dimagrire. La lista delle bontà fortunatamente porta solo i prezzi. Se accanto ci fossero anche le calorie per ogni fetta di dolce albanese fatto in casa, sarebbe più facile resistere e mi sarei risparmiata la delusione che labilancia mi offre generosamente ogni mattina. La donna mi si avvicina, la sento dal profumo dello zucchero a velo. Poggia sul tavolo un piattino di delizie, fa per chiedermi qualcosa, ma poi ci ripensa. Mi fissa per un lungo istante e, inaspettatamente, mi abbraccia con vigore. Imbarazzata mi alzo per renderle più facile l’impresa,mentre lei continua a stringermi tra le sue morbide braccia bianche. Mi viene in mente mia nonna, ha le stesse mani bianche e lisce. Ma non posso pensare ora alla nonna. Devo capire cosa succede. La donna mi libera dal suo abbraccio e mi tiene davanti a sé guardandomi negli occhi. In quella posizione anch’io riesco a metterla meglio a fuoco. Ma come no, me la ricordo, è Lumturije. Ora sono io che le salto al collo e la stringo forte.***A Roma sembrava che l’inverno del 1999 non dovesse finire mai. Gli orrori della guerra in Kosovo mi accompagnavano ogni giorno. Per ore e ore facevo da interprete ai profughi che chiedevano protezione in Italia. Cercavo di capire le loro parole spezzate dal pianto, compilavo i moduli per quelli che non sapevano scrivere e non riuscivano ad elencare i nomi di tutti i famigliari uccisi da un odio scoppiato come una bolla di inchiostro indelebile, con la macchia da portare per tutta la vita.Lumturije l’avevo incontrata una mattina di fine febbraio. Malgrado il grande freddo portava una leggera e ampia gonna alla quale erano appese due bambine gemelle. Negli occhi della donna le lacrime avevano disegnato profonde rughe che scendevano verso gli zigomi sporgenti. Aveva una lunga treccia di capelli quasi completamente bianchi. Non aveva più nessuno. La sua famiglia composta da 13 persone non c’era più. Le erano rimaste solo le due figlie del fratello, le uniche, mi confessò, per cui valeva ancora la pena di vivere. Non riuscivo a dirle niente, mi limitavo asorridere alle bambine. Dopo aver finito la procedura per la richiesta di una protezione umanitaria in Italia, salutai Lumturije con un abbraccio e le diedi un foglietto con qualche indirizzo utile.
Alla fine di quella giornata, dopo la riunione settimanale con il capo ufficio, corsi giù per le scale calcolando i minuti che mi separavano da una doccia calda. Uscendo dal portone sentii il gelo che si stagliava davanti a me come un muro. Avevo dimenticato la sciarpa in ufficio e non avevo il tempo di andare a riprenderla. Mi strinsi il cappotto attorno al collo e percorsi gli ultimi gradini della scala esterna, quando scorsi la sagoma di una donna seduta lì accanto. La luce del giorno se ne stava andando e riuscivo a vedere solo un ombra scura con due rigonfiamenti ai lati, che si alzava con fatica e si dirigeva verso di me. Era Lumturije con le due bimbe. Mi sorrideva timidamente e farfugliava parole che non capivo. Da una tasca tirò fuori qualcosa avvolto in una carta di giornale. Le sue parole diventarono chiare: “Le avevo portate per loro. Tienile te e grazie di tutto”. Aprii l’involto. Era una mela gialla e quattro noci. Il ringraziamento più dolce e nello stesso tempo più amaro che avevo mai ricevuto.* * *Confesso a Lumturije che avevo fatto passare molto tempo prima di decidermi a mangiare la mela e le noci..
Era successo quattro anni fa, ma ne ricordavo ancora il sapore. I clienti nel bar-pasticceria non possono sapere del dono che mi fece quella volta Lumturije. Non può saperlo neanche il mio amico quando, chiamandomi al cellulare, mi dice preoccupato: “Ma dove sei finita? E’ mezz’ora che ti aspetto!”. Il nostro appuntamento era dall’altra parte della città.