A scriverla sul pentagramma sarebbe mi mi sol fa diesis re. Ma per Alban è molto più di un grappolo di note. L’arpa sembra arrivare dal Medioevo per accompagnare Alban e Edlira all’altare.
I fiori gialli che addobbano l’ambiente, i completi eleganti degli uomini e i raffinati colori che portano le signore danno pennellate da sogno a questo matrimonio. Molti degli invitati sono colleghi di Alban, avvocati e giudici che movimentano ogni giorno i corridoi del Tribunale di Bari. Il resto delle persone che affollano il cortile della chiesa sono parenti dei due sposi, arrivati appositamente dall’Albania per la cerimonia.
Il prete inizia la cerimonia parlando dello sposo, di questo bravo ragazzo, conosciuto molti anni fa, quando era arrivato dall’Albania.
Mentre la voce suadente del prete parla di lui come se lo conoscesse da sempre, Alban si guarda intorno e osserva fugacemente Edi e Arben, gli amici di sempre. Portano una rosa bianca nel taschino e si sono perfettamente calati nel ruolo di testimoni di nozze. Mentre il prete ricorda il loro arrivo in Italia, i pensieri di Alban corrono impazziti all’indietro e si fermano nella stiva di una nave. Carica fino all’inverosimile, dopo essere salpata per miracolo da Durazzo, quella nave arrugginita lo aveva portato a Bari. E quella che doveva essere la prima giornata di mare primaverile con gli amici, per Alban diventò il giorno che segnava il confine tra il prima e il dopo. Nella confusione generale aveva perso Edi e Arben. Una volta superata quella terribile notte di navigazione, Alban era rimasto privo di forze e cercava di dormire incollato alla parete metallica della stiva. Le palpebre gli scendevano pesanti, come il sipario dopo un lungo spettacolo. Una colonna sonora accompagnava il suo dormiveglia, simile alla melodia che fischiava a Tirana. In assenza di citofoni ci si limitava a fischiettare un motivetto sotto le finestre. Pensando che la fame lo stava portando ad avere le allucinazioni, Alban cercava di non farci caso, ma quel maledetto fischio non lo lasciava dormire. Voleva liberarsene, scacciare quella melodia che gli trasmetteva una nostalgia prematura e improvvisa. Non potendone più si alzò e uscì sulla coperta della nave. Lì, in mezzo alla folla brulicante, scorse Edi, che sembrava galleggiare su migliaia di teste. Allungando il collo si guardava intorno e fischiava ininterrottamente. Era sfinito. Quando vide Alban andargli incontro, il suo largo sorriso testimoniò lo splendido lavoro fatto dal suo dentista che per anni l’aveva costretto a portare la macchinetta per i denti da bambino. Aveva fischiato per ore, convinto che gli altri due amici erano saliti sulle navi. L’unico mezzo per rintracciarli era il loro motivetto. Trovare Arben fu più facile, a quel punto erano in due a fischiare…“Siete qui, in questo luogo benedetto, davanti al Signore, davanti a questo altare, davanti a questo simbolo sacro, circondati da chi vi vuol bene, i vostri amici, i vostri parenti, i vostri genitori”. Il primo pensiero dei tre fu quello di andare via da Bari. A Roma avevano un’amica di scuola e certamente sarebbe stata contenta di aiutarli. Alban, Edi e Arben arrivarono alla stazione in condizioni pietose. Portavano vestiti impregnati di salsedine, sudore, pianti di bambini, urla, acqua, attesa. Potevano fare ben poco per migliorare il loro aspetto, e questo stranamente li dava un senso di leggerezza. L’allegria svanì insieme alle persone che ebbero la sfortuna di trovarsi nello stesso loro scompartimento. La situazione precipitò con l’arrivo del controllore. Appellandosi a quel poco di italiano che sapeva, Arben cercò di spiegare che erano appena dall’Albania e che gli unici soldi che avevano erano un migliaio di lek. Poteva pure prenderseli, se voleva. Probabilmente non erano sufficienti per pagarsi i biglietti, anzi non erano sufficienti a pagarsi nulla, perché nessuno li avrebbe mai e poi mai cambiati. Il controllore, nell’ombra della sua visiera scura sentiva in silenzio quell’italiano storpiato e con accenti impossibili. Quando si sedette e aprì la sua borsa, immaginarono che il loro primo documento in Italia sarebbe stata una multa. Dal borsello a tracolla spuntò una banconota che il controllore mise in mano a Edi dicendo: ”Ragazzi, facciamo che oggi ho lavorato gratis. E’ il mio personale augurio per voi”. Non riuscivano a crederci. Erano centomila lire che successivamente spesero per far ritorno di nuovo a Bari, quella volta con regolare biglietto. Un paio di giorni bastarono per capire che Roma non faceva per loro. I documenti di soggiorno potevano rilasciarli solo a Bari dove c’era stata l’emergenza. Alla Questura centrale eranno stati categorici.Alban si volta e nei primi banchi della chiesa incrocia il sorriso di Giovanni, il controllore del treno che portò fortuna a tutti e tre. Lui lo accompagnerà anche in Albania, dove ci sarà la festa per i parenti. Sicuramente, come da tradizione, ci saranno balli e canti fino al mattino.