Era inevitabile che tanti sforzi minimi di esprimersi sfogano in una lista di nome chiamati o presunti “scrittori migranti”. Sono rimasto stupito nel sentire che qualcuno è rimasto stupito da questo fatto. Eppure ve l’avevamo detto tanto di quelle volte che in seno a tutti i gruppi etnici che si spostano ci sono rappresentanti delle più svariate categorie: idraulici, spacciatori, studenti, Testimoni di Geova e dunque, scrittori?
Una volta appurata l’esistenza degli stessi, e fin qui ci siamo, si tratterebbe di classificargli meglio con riferimenti incrociati di uso e costume comune. Colore, argomenti trattati, nazione, religione, razza, età. Ma di questo si possono occupare gli impiegati, quelli che hanno una familiarità morbosa con Excel & dintorni. La mia intenzione, ben più modesta, è di darvi alcuni strumenti iniziali, ancora tutti da collaudare sul territorio, per capire la differenza, ove ce ne siano, da quello che per comodità definiamo migrante intendo per distinguere la letteratura migrante e l’altra, diciamo autoctona, diciamo, grazie e benvenuti.
Accetto la definizione di letteratura migrante, ma è un concetto da prendere con le pinze. Non sappiamo ancora se la letteratura migrante – diciamo, lettemigra – è quella fatta dagli migranti oppure per gli migranti. Respingo la prima soluzione perché per quanto comoda e utile, l’approssimazione, alla lunga porta solo a degli malintesi. Ci sono esempi, sempre meno rari, di scrittori italiani che hanno costruito delle bellissime pagine sull’immigrazione. Il che non significa necessariamente descrivere bene questa realtà in più libri, ma solo sapere di cosa si sta scrivendo, anche se si tratta di un unico paragrafo.
Gianni Biondillo in “Con la morte nel cuore” fa trovare al suo personaggio il suo arcinemico, un serbo-albanese trattato per quello che è: una persona illecita. Passando prima però dal Barbiere: si vede il vero festival delle culture migranti, trattato per quelli che sono agli vostri occhi: incomprensibili, tanti, disagiati e disagianti, utili quando necessario ma in definitiva, lontani seppur meno lontani di quanto si presuma negli Tg nazionali o nelle case padane. Sembra quasi un gioco di prestigio quello di Biondillo, straniero cattivo / straniero buono. Ma funziona perché è reale, perché la realtà nel territorio è molto vicina alla realtà letteraria, così come quando il nostro si sposta nei così detto CPT. Eastvood sintetizza Gran Torino in un ” Ho più cose in comune con questi musigialli che con i miei figli.” Il messaggio che Biondillo da non è così immediato, ma la radice è comune.
E, giusto per non fare solo lodi, l’albanese che usa ogni tanto nei suoi libri lascia molto a desiderare.
Non sono da meno però tipi come Massimo Carlotta ( la seria dell’Alligatore ) Andrea Camilleri ( più volte Montalbano ) o Carlo Lucarelli ( Coliandro), Carmine Abate ( La moto di Scanderbeg, ) per fare solo i primi nomi che mi vengono in mente e stranamente, tolto Abate, sono tutti gialli contaminati.
La provenienza di chi scrive ci serve, dunque, per individuare un possibile scrittore straniero, ma da qui in poi sono un altro paio di maniche. Non sono pochi gli scrittori stranieri che fanno i salti mortali pur di non scriversi ( Ornela Vorpsi ), lo evitano in modo elegante o goffo a secondo della loro bravura. Meglio sbarazzarsi di un’etichetta per essere scrittori e punto, perché a volte, le parentesi di una definizione sono più solide di quelle di Guantanamo, diventano una seconda pelle impossibile da scrollarsi di dosso.
Non nella geografia dunque, ma tra le righe va trovato la lettemigra. Il fatto è che c’è questo bagaglio di conoscenze e esperienze proprio degli stranieri, inutile girarci attorno. Un scrittore migrante sa che il vucompra è senegalese. Se lo fa diventare personaggio, lo qualificherà wolof, sérèr o fula. Ha come amici tanti di quei clandestini che cerca di descriverli onestamente. E, se e quando introduce un personaggio curdo gli farà chiedere:
<< Curdo? Dell’Iran, Iraq o…
Turchia?>>
I personaggi stranieri di uno scrittore non migrante possono trovare casa in appena due paragrafi, per poi proseguire con la storia che si sta narrando. Nella lettemigra invece ciò non potrebbe mai succedere, lo sanno che ci vogliono minimo due capitali, carichi di disprezzo e rifiuti per via della razza. Sa dov’è la Mecca, sa chi è Arkan e anche se i personaggi si muovono in italiano, bestemmiano benissimo in tutte le lingue del mondo, rigorosamente in italic. A descrivere la guerra civile o la guerra normale, purtroppo non deve basarsi sulla fantasia. È per questo che nella sua storia ci saranno eroi amari, sconfitti e perennemten a un passo dall’arrendersi. Se uno degli suddetti eroi spara con un’arma spara un solo colpo per volta, deve riprendersi dal rinculo. Gli altri invece possono sparare tranquillamente come Rambo.
Queste, ma non solo queste, sono le differenze. Ed oltre ad essere una nuovo letteratura, la lettemigra prima di tutto è un patrimonio. E – sentite la figata – è a disposizione di chiunque lo voglia sfogliare.
L’uso, anche collaterale dunque, dell’onesta narrativa quando si tratta l’argomento “straniero” è la prima è l’unica caratteristica della letteratura fatta da o per migranti. Che sia Biondillo o Lamri, Carlotta o Metref, è sempre la stessa onesta.